Recensione The Last Guardian

Sturm und Drang, tempesta e impeto

Esclusiva PlayStation 4.

The Last Guardian, ultima fatica di Fumito Ueda, padre di capolavori indimenticati per PlayStation 2 quali ICO e Shadow of the Colossus, è un gioco ambivalente, incredibilmente difficile da recensire e soprattutto da inquadrare con un semplice numero finale che ne stabilisca il valore. Come tante opere autoriali viaggia costantemente sul filo di lana del capolavoro assoluto e del disastro completo e, alla fine dei giochi, come un’opera d’arte, il giudizio non può che essere personalissimo, determinato essenzialmente dalle sensazioni e dalle emozioni che sarà stato in grado di generare in voi videogiocatori.
Tuttavia, The Last Guardian è anche un’opera dell’ingegno, un prodotto della tecnica il cui scopo principale è intrattenere il videogiocatore e, come tale, può essere giudicato con assoluta oggettività.

Originariamente annunciato nel 2007 come un titolo PlayStation 3 destinato a succedere ai due capitoli della saga di Ueda già menzionati, il suo sviluppo è stato quanto mai travagliato con continui ritardi, problemi tecnici e finanziari, fino all’apparente scomparsa dai radar. Nel frattempo la nuova generazione faceva capolino e, in una storica PlayStation Experience, il titolo tornava a mostrarsi, questa volta come esclusiva per la nuova console di Sony, ora finalmente in grado di reggere un gioco che sin dal principio appariva incredibilmente ambizioso: creare un collegamento emotivo tra il giocatore e Trico, un enorme ibrido tra un gatto ed un uccello, in una ambientazione enorme e sconfinata. Valore essenziale della produzione è stato sin dal principio la caratterizzazione di Trico, un animale fantastico a volerlo definire utilizzando un termine “potteriano”.

Il gioco ci mette dei panni di un bambino che si risveglia in un luogo sconosciuto, con il corpo interamente ricoperto da strani segni. Poco distante da lui una strana creatura, Trico, è incatenata e gravemente ferita. Recuperando piccole botti piene di una strana sostanza blu di cui lo strano animale pare essere ghiotto, vinceremo la sua diffidenza e, a poco a poco, il rapporto tra i due malcapitati crescerà diventando quasi simbiotico. Trico e il giovane ragazzo, la cui voce narrante da adulto ci accompagnerà nelle varie fasi del gioco, hanno bisogno l’uno dell’altro per poter finalmente ritrovare la libertà.

Come un’opera d’arte

Dal punto di vista artistico gli appassionati di animazione giapponese, quella per intenderci dei Ghibli studios o dei precedenti lavori di Ueda, avranno di che gioire. Ambientazioni, personaggi, palette cromatica, tutto richiama un certo immaginario comune a questi prodotti che hanno definito nel corso di più di un trentennio il concetto di animazione giapponese. Le enormi ambientazioni, fatte di sterminate vallate colorate dal verde acceso dell’erba accarezzata dal vento e della lussureggiante vegetazione, che contrastano con il grigio di enormi costruzioni in rovina, misteriose quanto inaccessibili, restituiscono una certa sensazione di libertà sognante che ricorda da vicino quella provata in Shadow of the Colossus. L’aspetto sicuramente più originale e interessante, sotto questo punto di vista, è il curioso mix di cel shading e renderizzazione fotorealistica, a cui si aggiunge un pesante effetto di sfocatura che rende le intere ambientazioni quasi oniriche, come se l’intero viaggio di Trico e del nostro alter ego non fossero altro che un sogno. Chi ha giocato ai precedenti lavori di Ueda, sa bene quanto il game designer ci tenga a caratterizzare le ambientazioni, tuttavia con The Last Guardian il poliedrico sviluppatore giapponese ha raggiunto la vetta più alta dei suoi lavori, restituendoci un’ambientazione incredibilmente suggestiva ed evocativa di una civiltà oramai perduta.

All’eccellente comparto artistico fa però da contraltare un gameplay ostile, frustrante, che più di una volta ha messo alla prova i nostri nervi. L’intero gioco si basa su puzzle ambientali che in compagnia del nostro Trico dovremo provare a superare. Il sistema di controllo però non fa nulla per agevolarci nella nostra ricerca di una via di fuga e attività piuttosto semplici diventano complicatissime grazie a controlli lenti, legnosi, completamente fuori contesto per un gioco del 2016. La gran parte delle sfide proposte da The Last Guardian consiste nell’attraversare con Trico zone apparentemente troppo piccole per la sua massa: il compito è reso complicato non dalla oggettiva difficoltà di trovare una via d’uscita, o di un modo di accedere a questa o a quell’area ma da una certa cattiva responsività ai comandi, ad esempio quando si raccoglie un barilotto o lo si lancia, quando si prova a spingere un blocco in una certa direzione, quando si prova a richiamare il nostro Trico verso un certo luogo. Le animazioni del personaggio (alcune di queste già ribattezzate “flash dance”) inoltre, rendono difficile giudicare le potenzialità di un salto, il che per un platform game è un peccato che oserei dire “mortale”. La pessima gestione della telecamera, che nei luoghi più angusti finisce sempre nel pelo piumato del nostro Trico, aumenta ulteriormente la sensazione di frustrazione che l’esperienza di gioco con The Last Guardian ci ha regalato giusto in tempo per le feste.

Quando Trico si rifiuta di seguirci, il che accade molto spesso nelle prime ore di gioco, potremo spronarlo offrendogli in pasto le botti piene della sostanza blu di cui vi abbiamo detto. Questo è l’altro obiettivo del gioco: la raccolta delle piccole botti che il più delle volte, richiede la risoluzione di piccoli enigmi ambientali. L’intelligenza artificiale di Trico, anche in questo caso, non aiuta: molte volte ci troveremo a provare ad interpretare il comportamento dell’animale pensando che lo stesso sia non causale, ma finalizzato ad indirizzarci verso una determinata strada, ed in effetti in alcuni casi è così; in altri però il suo comportamento non ci dice letteralmente nulla, tant’è che senza alcun motivo, dopo aver provato in tutti i modi a fargli superare un cancello o una altura, senza successo, la creatura compirà spontaneamente il salto che con tanta insistenza avevamo provato a fargli fare. Non avendone compreso il motivo, pertanto, ci sarà praticamente impossibile in situazioni analoghe provare a replicare le nostre azioni. In altre situazioni Trico resterà stupidamente a fissare un barilotto, con l’intenzione di cibarsene, senza riuscirci, salvo dopo un piccolo impercettibile spostamento riconoscerlo e afferrarlo.

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Non tutto il comparto gameplay però è da buttare; alcune intelligenti e divertenti meccaniche di gioco, come la possibilità di puntare ostacoli e nemici con uno scudo riflettente, che verrano poi inceneriti dalla scarica di fulmini generata dalla coda di Trico, funzionano e risultano ben congegnate, tuttavia sono fin troppo poche se paragonate al resto del gameplay. Il level design apparentemente incomprensibile all’inizio, ma coerente e grandioso quando arriverete ai titoli di coda è ben strutturato e sebbene in molti casi vi sembrerà di ritornare, come in un loop, al punto di partenza, vi consigliamo di avere fiducia: almeno in questo campo Ueda non si batte.

Dal punto di vista tecnico le enormi ambientazioni, il pelo incredibilmente dettagliato di Trico, ci ricordano il motivo principale per cui il gioco ha subito tanti ritardi, fino a saltare una intera generazione di console. Persino la PlayStation 4 (non abbiamo avuto modo di provare con la Pro) in alcunii frangenti sembra arrancare con qualche evidente calo di frame rate. Manca ad esempio un efficace filtro antialiasing e qualche texture non è propriamente curatissima. Il colpo d’occhio resta tuttavia meraviglioso, sostenuto com’è da una buona tecnica che, pur non facendo gridare al miracolo, riesce a tener testa ad una produzione evidentemente impegnativa ed ambiziosa.

Splendida la colonna sonora, in grado di accompagnare con altrettanta grazia le immagini a schermo.

Commento finale

Obiettivo dell’opera di Fumito Ueda è creare un legame del cuore tra il giocatore e l’animale. A meno che il vostro cuore non sia fatto di solida pietra, quando arriverete a leggere i titoli di coda questo legame sarà così saldo che difficilmente vi dimenticherete di un titolo come The Last Guardian. Trico è il fulcro dell’intero impianto narrativo e, di sicuro, uno di quei personaggi che ci porteremo nel cuore negli anni a venire, a patto che si riesca a superare l’enorme ostacolo di un gameplay datato, inutilmente ostico e in definitiva mediocre, capace più volte di mettere in crisi la nostra voglia di proseguire. Se riuscirete a superare questa inaccessibilità iniziale e le montagne russe emozionali, che ad ogni momento di assoluta bellezza ne contrappongono uno di frustrazione e delusione e vi farete toccare il cuore, non sarà di certo il voto qui sotto a condizionare il vostro giudizio sull’opera, che, come tutte le opere d’arte, è destinata a dividere negli anni a venire.

Pro Contro
– Artisticamente meraviglioso
– Emozionante e toccante
– Gameplay da dimenticare
– Comparto tecnico non sempre eccellente
Voto Globale: 78

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Arturo D'Apuzzo
Arturo D'Apuzzo
Nella vita reale, investigatore dell’incubo, pirata, esploratore di tombe, custode della triforza, sterminatore di locuste, futurologo. In Matrix, avvocato e autore di noiosissime pubblicazioni scientifiche. Divido la mia vita tra la passione per la tecnologia e le aride cartacce.

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