Recensione A Pixel Story

Un eroe nato dalla nostalgia per i tempi d’oro dei videogiochi.

Versione testata PlayStation 4.

Il retrogaming è una cosa bellissima, e noi lo amiamo. Amiamo anche la pixel art, d’accordo, ma del nostro giudizio potete fidarvi: siamo sufficientemente imparziali da saper riconoscere un bel gioco incentrato sull’amore per il retrogaming e sul sapiente uso della pixel art da un brutto gioco realizzato da un’accozzaglia delle stesse cose. Non ci credete? Ve lo abbiamo già dimostrato in più di una occasione, per esempio quando vi abbiamo parlato di Cursed Castilla.

Ebbene, anche il primo titolo di un neonato studio indipendente, noto come Lamplight Studio, fa leva esattamente sugli stessi fattori: nostalgia e amore. Ma il risultato è quanto di più lontano si possa immaginare da un (melenso) melodramma: ci siamo ritrovati tra le mani un ottimo platform a base di pixel, puzzle games, enigmi ambientali e strizzatine d’occhio alla preistoria dei videogiochi da tutte le parti. Con premesse simili di solito seguono due possibilità: o si tratta di qualcosa di già visto e di tediosamente anonimo, oppure esce fuori un gioco divertente, uno di quelli che te li ricordi anche due anni dopo (di questi tempi ricordarsi di un gioco due anni dopo la sua uscita è un risultato incredibile per una software house). A Pixel Story rientra nel secondo caso.

Ma perchè mai un platform basato su un miscuglio di pixel e alcuni enigmi ambientali dovrebbe essere diverso da tanti altri titoli simili? Ve lo spieghiamo noi.

Una pallina salverà il mondo

A Pixel Story: letteralmente, “la storia di un pixel”. E infatti il protagonista della storia è un pixel: per l’esattezza il pixel della pallina di Pong. Avete presente Pong? Più o meno risale al Big Bang della storia dei videogiochi. La nostra pallina viene prescelta per una missione sui generis in cui dovrà ribellarsi al Sistema, che governa l’ordine del mondo immaginato dagli sviluppatori (un meta-mondo basato sempre sui videogiochi). Estratta dal suo mondo fatto di un background nero e due racchette bianche, l’eroe ottiene una forma antropomorfa e una missione: distruggere un programma malvagio che vuole instaurare una dittatura informatica controllando tutte le applicazioni del sistema.

Abusato del solito luogo comune dell’eroe costretto a fare questo e quello “perchè sì”, al povero Pixel non resta che imbarcarsi in un lungo viaggio, guidato e aiutato da programmi ribelli. Inizialmente può solo saltare, ma superando le mappe svilupperà altri poteri: una meccanica che così, a pelle, ci ricorda tanti Metroidvania e il primo Rayman. Ad esempio nel secondo livello otterrà un cappello che gli consentirà di creare una sua copia cache, utile per superare alcuni puzzle. Tutti i poteri sviluppati saranno legati al copricapo rosso e determineranno un aumento della difficoltà, ma anche la possibilità di raggiungere aree prima inaccessibili. Insomma, esplorazione, storia e puzzle andranno a braccetto.

Meccaniche interessanti, ottimo livello di sfida

A Pixel Story è prima di ogni altra cosa un platform ben studiato, in grado di offrire un livello di sfida accessibile a tutti i giocatori, se hanno giocato almeno un platform in precedenza nel corso della loro vita. Dunque si salterà, e si salterà un sacco. Da una piattaforma all’altra, da un albero a terra, da terra in alto, su molle, su dirupi minacciosi, minacciati da nemici, spine e altri elementi ambientali, sarete costretti a saltare. Il bello è che Lamlight Studio ha pensato anche ai giocatori più esperti, e per non annoiarli ha disseminato nei vari mondi di gioco non solo una nutrita scorta di preziosi collezionabili da raccogliere, in punti assurdi da raggiungere, ma anche delle vere e proprie stanze nascoste. In questi ambienti, di solito al chiuso, vi ritroverete a sfidare voi stessi e i vostri riflessi in gare di agilità/abilità/velocità nell’eseguire svariate azioni: completare percorsi, eliminare un certo numero di nemici, arrivare nel punto più in alto, o tutte queste cose assieme. E fidatevi: non sono sfide facili, e non sono pensate per i deboli di cuore.

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Meccaniche platoform messe da parte, per proseguire nell’avventura dovremo innanzitutto recuperare il nostro cappello magico (che ci fornirà via via nuovi poteri) ma anche risolvere enigmi ambientali e puzzle dalla difficoltà sempre crescente, fino a completare la vicenda. Uno dei primi poteri che otterremo sarà la possibilità di creare una copia sostitutiva dell’eroe: in questo modo avremo sempre un backup pronto a salvarci la pelle nelle situazioni disperate. Ad esempio, posizionando il clone su una piattaforma sicura e cadendo nel vuoto, con i giusti riflessi potremo generarci al posto del clone appena prima di morire, il chè è una bella soddisfazione. Oppure lo si può sfruttare per risolvere enigmi altrimenti impossibili da aggirare.

E qui viene il bello

Una delle caratteristiche più interessanti di A Pixel Story è il lato tecnico. Oltre a essere diviso in livelli, il gameplay è diviso anche in generazioni tecnologiche. Andando avanti nell’avventura la grafica si evolve e passa dall’essere in stile pixel art a 8-bit, al diventare un 2.5D di buona fattura. Nel mezzo ci sono altri stili di pixel art che fanno riferimento all’epoca 16-bit. In totale le generazioni tecnologiche sono quattro, tutte molto diverse tra loro nello stile, ma tutte realizzate ottimamente per quello che è il fine del titolo: essere una cavalcata nell’evoluzione tecnologica del medium videoludico. Insomma, è un videogioco che oltre a divertire sa parlare anche del suo genere e di se stesso.

Anche la colonna sonora, formata da brani davvero eccellenti, segue lo stesso percorso, intonandosi alla perfezione all’epoca grafica rappresentata sullo schermo. Ci troviamo di fronte a uno di quei casi in cui il lato tecnico rappresenta davvero un valore aggiunto perché usato come strumento di crescita del videogiocatore e non soltanto come modo per appagarlo nei suoi bassi istinti da consumatore tecnologico. Per il resto dobbiamo anche parlare dell’ottimo sistema di checkpoint, che consente di teletrasportarsi da una parte all’altra dei livelli già percorsi in modo da favorire la ricerca di segreti e memorie, queste ultime necessarie in un certo numero per proseguire (le restanti sono legate a degli extra). Anche in termini di durata il titolo di Lamplight Studios non se la cava male: per concludere la storia principale ci vogliono circa sei ore, mentre l’intero gioco richiede più o meno venti ore per essere terminato.

Commento finale

A Pixel Story è un titolo coraggioso: è il primo videogioco realizzato da un team tutto nuovo, e sceglie di fondarsi su meccaniche tutto sommato viste e riviste. Ma ha dalla sua un carisma tutto particolare e un sapiente uso meta-narrativo della storia del videogioco stesso, dalle origini ai tempi moderni: un uso che viene reinventato nella progressione della storia, laddove il giocatore si trova a ripercorrere stili grafici a base sì di pixel, ma curatissimi e tutti diversi tra loro, differenziati “dalle epoche storiche”. Se uniamo questa novità pressochè assoluta a un gameplay divertente, a poteri interessanti e a enigmi mai banali, ecco un platform che ci ricorderemo anche in futuro. E buona fortuna a Lamplight Studio: speriamo di sentire parlare al più presto del loro prossimo gioco.

Pro Contro 
– Meccaniche interessanti
– Ehi, è un videogioco che parla della storia dei videogiochi!
– Ottima realizzazione tecnica
– Il livello delle sfide non conosce una via di mezzo
– Alla base manca ancora un pizzico di originalità
– Scrittura e testi un po’ incerti
  Voto Globale: 80 
 
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