Recensione Omega Quintet

Spade e microfoni contro le forze del male!

Versione testata PlayStation 4.

Cantare è da sempre una bella cosa: fa stare bene. Se quando canti riesci poi anche a salvare il mondo dall’ennesima minaccia ancestrale, allora sei doppiamente una brava persona, perchè rendi un servizio al tuo prossimo. Lo sanno bene le protagoniste di Omega Quintet, nuova produzione esclusiva per PlayStation 4 prodotta da Galapagos RPG. Le protagoniste fanno le eroine a tempo determinato per mestiere: voi se volete potrete accompagnarle senza rischiare la pelle, e se adorate le melodie nipponiche tutto sarà anche più gradevole. Tra parentesi l’azienda produttrice fa parte di Compile Heart, i ragazzi che si occupano tra le altre cose della serie Hyperdimension Neptunia. Il riferimento dovrebbe già avervi fatto intuire la modalità di gioco che ci troviamo di fronte: se così non è, nessun problema, avremo modo di analizzarla nel dettaglio per vedere, oltre al noto, quanto altro abbiamo di innovativo.

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Io canto, tu canti, egli canta…

Il problema con il mondo è che una volta che lo salvi lui non resterà mai in salvo abbastanza a lungo: questa formula, scontata in qualsiasi produzione ludica che verta sulle figure dei supereroi, è portata in Omega Quintet alle sue estreme conseguenze. Viviamo in un futuro non troppo lontano in cui ormai abbiamo messo una pietra sopra alla necessità di salvare il mondo: non si può salvarlo, perchè da tempo immemorabile ormai conviviamo con una dimensione alternativa che ci rigetta contro le sue creature oscure. Il fenomeno si chiama Blare, e visivamente è una massa di nebbia rosa da cui escono creature nere (o tendenti al nero) un po’ di tutte le dimensioni e particolarità anatomiche desiderabili (aquile, cani, topi, draghi, e via dicendo). I civili come fanno allora a sopravvivere? Grazie alle Verse Maiden, cioè a una rivisitazione di Sailor Moon, Doremì e compagnia in chiave un po’ più contemporanea (e consumistica): sono delle guerriere che per professione cantano e combattono contro i mostri. Questa tipologia di impiego a tempo determinato ha una propria denominazione in Giappone: idol. Parafrasando, appunto: ragazzine in giovane età che invece di tenere solo semplici concerti si esibiscono a colpi di musica eliminando le forze del male. Perchè a tempo determinato? Perchè raggiunta una certa età, relativamente precoce (i trent’anni), le idol vanno in pensione e lasciano il posto alle nuove reclute. E qui si comincia a parlare di noi.

Noi entrimo in scena quando Momoka (l’attuale leader idol delle Verse Maiden) deve timbrare l’ultimo cartellino perchè non è più nel fiore degli anni. Più una Verse Maiden invecchia, più il suo potere si deteriora: e non è che i mostri guardino con rispetto gli anziani. Al suo posto subentriamo noi, controllando il gruppo delle sue cinque potenziali eredi (Omega Quintet, cioè quintetto, cioè cinque persone insieme: avete capito) determinate a proteggere la Terra. Ognuna di esse avrà la sua storia peculiare e il suo carattere: potrete scoprirli abbondantemente nel corso della vicenda, tenendo presente il fatto che il punto di vista privilegiato della narrazione sarà quello di Otoha, una delle cinque, la prima che incontrerete. Anche se il gioco prevede che voi le controlliate tutte, non c’è una vera e propria narrazione corale, quanto piuttosto la storia personale di Otoha che prende il posto della vecchia idol Momoka, e al suo fianco ha vari e potenti alleati, tra i quali il suo miglior amico d’infanzia Takt. Spiegato in soldoni sembra molto meno interessante di quanto effettivamente sia: giocando si finisce con l’appassionarsi a queste adolescenti vivaci, timide, estroverse, coraggiose (ognuna ha una caratteristica evidente) e alla loro missione, nonchè ai rapporti interpersonali che le vedono coinvolte. Prevedibili e convenzionali che siano, fanno il loro lavoro.

I’m singing in the Blare

Che vogliate gustarvi appieno il lato story-telling o quello prettamente ruolistico di Omega Quintet, sarete colti dall’imbarazzo della scelta: le cose da fare sono tante, e la longevità è l’ultimo dei problemi della produzione. Certo, sono necessarie un paio di premesse: primo, deve piacervi il genere. Trattandosi di un gioco fondamentalmente indirizzato al pubblico nipponico, solo gli appassionati riusciranno a goderselo appieno e ad apprezzare anche i lati innovativi che comporta, non certo il giocatore occasionale che non si è mai approcciato alle sue meccaniche. Devono quindi piacervi il sistema RPG a livelli incrementali e l’impostazione di combattimenti a turni (che risultano nonostante le apparenze notevolmente dinamici e concitati). Secondo, alla lunga non potrete certo sottrarvi a qualche sbadiglio legato alla monotonia e alla ripetitività delle quest secondarie. Passi la trama: quella ci accompagna nei dodici capitoli principali senza problemi, interessante e avvincente quanto basta per condurci fino alla fine della narrazione. Ma le missioni secondarie, che sono tante, non brillano di originalità: aiuta quel tipo, elimina quel mostro, trova quell’oggetto, e poi ricomincia da capo. Far salire di livello le vostre cinque eroine e potenziarle è fondamentale, dunque sarete portati a giocare parecchie missioni secondarie per proseguire nella vicenda, ma servirà anche una buona dose di volontà per rimanere concentrati e non annoiarsi quella sesta volta in cui ci sarà un mostro da cercare: problema che, tuttavia, resta relativo per gli amanti del genere, abituati ad ore ed ore di sessioni di livellamento intenso.

Fortunatamente viene in aiuto la dose esplorativa: dovrete sì eliminare i mostri, ma prima andranno cercati. E di mappe esplorabili Omega Quintet abbonda, che si tratti della cittadina invasa dalle truppe del Blare o di una pianura verdeggiante in periferia. Una minimappa prontamente presente in alto a destra sullo schermo vi aiuterà ad orientarvi segnalandovi i punti di riferimento più interessanti: dove potrete andare, dove non potrete andare prima di aver ottenuto questa o quella abilità, dove non potrete andare finchè non arrivete a un certo punto della trama. Ognuna delle Verse Maiden possiede abilità caratteristiche, che vi torneranno utili in particolari frangenti: ad esempio Otoha non può saltare molto in alto, ma Kanadeko sì, e Nene sa hackerare i sistemi informatici. Le aree poi, per quanto non particolarmente estese, si prestano a sufficiente rigiocabilità per due motivi: i mostri vengono rigenerati continuamente (forse anche troppo velocemente, in effetti), e solo determinate specie possono essere incontrate prima di aver raggiunto un dato livello, mentre le restanti verranno sbloccate in seguito. Progredendo nell’avventura la vostra base principale, il “covo segreto” delle Verse Maiden, si arricchirà di nuovi luoghi dove svolgere determinate azioni (disfare e creare oggetti, camerini per i vestiti, canzoni su palco da registrare): sempre da esso potrete accedere alla mappa del mondo. I sistemi di salvataggio sono invece dislocati in tutte le aree esplorabili, ma non sempre sono facilmente individuabili.

La profondità delle meccaniche di combattimento, dello sfruttamento degli oggetti e del potenziamento delle singole protagoniste è uno degli aspetti migliori e meglio curati rispetto al passato, ma anche un tantino confusionari. Proprio per l’elevatissimo livello di elementi, il loro sfruttamento finisce con l’essere saltuario, e la loro capacità di gestione un tantino lasciata al caso. Di potenziamenti consum
abili da utilizzare in battaglia ce ne sono un’infinità, reperibili con l’esplorazione o tramite drop dai nemici, ma usarli tutti è impresa quasi titanica. Stesso ragionamento per lo sviluppo delle abilità speciali delle Verse Maiden, suddivise tra attacchi fisici e attacchi speciali, ognuno dei quali sfrutta un sistema di punti abilità differente dall’alto: come usarli? Quali usare? E soprattutto: come sapere quanti e quali sviluppare sfruttando i punti guadagnati tra un livello e l’altro? Gli specialisti degli RPG giapponesi faranno festa a oltranza, i meno esperti si ritroveranno (si spera solo all’inizio) a premere sempre il tasto di azione contro i nemici, che tanto prima o poi finiscono a terra comunque, data anche l’elevata resistenza della salute delle protagoniste. I livelli di difficoltà selezionabili sono tre, e il primo è quello che consigliamo a chiunque si trovi per la prima volta di fronte ad un gioco del genere. I tutorial poi non mancano di certo, anzi, ne siamo invasi: soprattutto nelle prime fasi di gioco ne spunta uno ogni cinque minuti, ma sono stringati e fin troppo sintetici. Le meccaniche sono complesse, e non sempre sufficientemente esaustive. Renderle appaganti dipenderà soprattutto dalla vostra volontà di approfondirle.

Belle ragazze in mondi vuoti

Fintanto che Omega Quintet offre immagini graziosamente bidimensionali e disegni da visual novel che si rispetti, il risultato di primo acchitto è gradevole. Le uniche pecche sono l’eccessiva fissità delle immagini, la ripetitività delle espressioni facciali e una sostanziale monotonia di situazioni che si ripetono sempre uguali (anche queste tradizionali di certe produzioni nipponiche, e basate su canovacci prestabiliti). Nelle fasi eplorative tutto questo cambia: compaiono i modelli poligonali tridimensionali delle protagoniste, sufficientemente definiti e colorati, senza sbavature di sorta. Anche nelle battaglie non c’è da lamentarsi per quanto riguarda animazioni, movimenti ed espressioni: si nota particolarmente la cura dedicata all’impianto visivo delle protagoniste. Per quanto riguarda gli scenari e i nemici, però, tutto cambia rapidamente: è come se le attenzioni della produzione si fossero rivolte solo e soltanto alle ragazze (e al loro accompagnatore). Gli ambienti esplorabili sono sì numerosi, ma poverissimi negli elementi naturali: due alberi e un sasso in croce, per capirsi. I mostri creati dal Blare sono di una fantasia disarmante (in senso ironico, ovviamente): talpe, uccelli, draghi, e qualcosa di simili a serpenti troppo cresciuti, tutti quasi rigorosamente neri. Uno sforzo in più per variare almeno gli antagonisti nelle battaglie non avrebbe di certo fatto male.

Ottimo invece il comparto sonoro, e ci sarebbe stato da stupirsi del contrario: dopotutto le protagoniste sono idol che cantano per eliminare gli avversari. Le melodie sono orecchiabili e non troppo invadenti: anzi, talvolta soprattutto nelle fasi esplorative di loro si tende a perdere la presenza, almeno finchè non si incappa nel mostro di turno, dove la musica torna concitata a fare da protagonista. Il doppiaggio inglese non è fastidioso, fa il suo dovere, ma sembra quasi blasfemo utilizzarlo quando si potrebbe semplicemente impostare dal menù le voci originali giapponesi e lasciare i testi a schermo in inglese. Perchè sì, il gioco non è doppiato nè nei sottotitoli nè nel parlato: se non sapete l’inglese, dovrete farvene una ragione. Tanto più che non è neppure richiesto chissà quale livello di lingua per godersi le vicende: la sintassi dei discorsi è abbastanza elementare, e quei pochi elementi slang si memorizzano facilmente dopo due o tre battute.

Commento finale

Omega Quintet è indirizzato palesemente ad un pubblico selezionato: un pubblico che aspetta la localizzazione di questo genere di giochi dal Giappone sul suolo occidentale. Un pubblico che sa apprezzare un livellamento lento ma interessante, un sistema di combattimento profondo, forse troppo, ma appagante se gestito nel giusto modo. Un pubblico, da ultimo, che non si secca di fare e rifare in continuazione le stesse cose, e che è affascinato da ambienti, temi e luoghi comuni di una certa cultura nipponica di facile consumo. E che non storce il naso quando delle ragazzine in abiti stravaganti cantano per salvare il mondo. Se non rientrate in questo pubblico, togliete mezzo voto a quello che abbiamo assegnato in sede di recensione. Se il genere vi fa impazzire, aggiungetelo. Per tutti gli altri va bene così.

Pro Contro 
– Sistema di combattimento profondo…
– Trama godibile
– Buona longevità…
– … forse anche un tantino confusionario
– Tecnicamente si poteva fare di più
– … ma alla lunga ripetitivo
  Voto Globale: 70  
 
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PRO


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