Recensione Call of Duty: Modern Warfare 3


Fermare Makarov

E’ chiaro che per fermare un esercito intero, l’unica cosa da fare è fermare il suo capo. Cercare e fermare Kingfish, il nome in codice dell’agente russo Makarov, diventa così il motivo trainante di tutto la storia. In giro per il mondo, toccando alcune delle più importanti città tra cui New York, Parigi, Londra e Berlino, e passando attraverso zone impervie delle foreste africane, dobbiamo cercare di stanare il leader del commando terrorista in un continuo versamento di fiumi di proiettili, respirando l’odore delle canne fumanti delle nostre armi e stringere i denti nelle fasi più ostiche.

La Campagna riesce a impegnare circa 6 ore per essere completata a difficoltà Regolare. Seppure un pò più lunga del precedente capitolo, quello che purtroppo salta all’occhio è una continua sensazione di “già visto”, almeno per metà della storia. La varietà del gameplay, rispetto alle fasi puramente shooter, riprendono momenti già rodati come sparare da un’auto mentre il nostro compagno d’armi guida a folle corsa, in equilibrio precario all’interno di un aereo in caduta, da un elicottero per difendere un veicolo amico, a rallentatore nelle irruzioni. Insomma sparare sempre allo stesso identico modo che ci ha abituati MW2 per ogni scena diversa da quella tipica della fanteria. Certo è che quei furbacchioni di Infinity Ward e Sledgehammer Games riescono comunque sempre a strappare un sorriso di divertimento grazie alla magistrale concatenazione di eventi che si susseguono ora nei panni di Frost, ora di Yuri, ora di Nikolai e così via tra i vari personaggi da impersonare.

La novità, forse unica, che si scopre appena passati da un P90 o un M4A1 a un M60 è il rinculo. Finalmente, è il caso di dire, alcune armi hanno un più marcato feeling di puntamento e portano un pò di realismo nella serie decisamente votata all’arcade, tanto che la ricarica di un’arma o il passaggio da un fucile ad una pistola è rimasta veloce come se avessimo imparato una delle abilità di Chuck Norris.

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Ogni mappa di gioco, artisticamente corredata e ricca di elementi, mostra però lo stesso problema che è presente dai precedenti capitoli, ovvero la poca, quasi nulla libertà di movimento, resa più marcata negli spazi angusti e stretti e meno soffocante nelle zone all’aperto. L’intelligenza artificiale dei nemici è rimasta invariata, cioè con i soldati che si nascondo e si alzano dallo stesso riparo così come quelli che corrono proprio nella direzione ottimale per trasformarli con una pioggia di proiettili come in trita carne. Un vero peccato che mina nettamente il gameplay. Se a ciò si aggiunge che basta correre puntando al prossimo checkpoint per far partire il prossimo script lineare, il divertimento si abbassa di tono.

Non mancano alcuni colpi di scena che rendono la narrazione poco curata molto più interessante, a volte con momenti drammatici che interessano persino dei civili, ma non vogliamo dirvi oltre. Ricordatevi di selezionare la giusta opzione ad inizio gioco per attivare o meno una scena che potrebbe urtare la vostra sensibilità. Gli script aiutano nella regia e creano quell’effetto cinematografico tanto caro alla serie nelle esplosioni sia piccole che grandi. Persino gli eventi catastrofici, come nella metropolitana londinese e sotto la Tour Eiffel, sono frutto di animazioni pre-calcolate e non riescono a mascherare quel bassissimo livello di distruttibilità che rimane ancorato solo a vetri che si infrangono oppure a mezzi che esplodono. Così come l’uso di re-spawn dei nemici fino ad un determinato evento rende alcuni missioni davvero frustranti quando non si è compreso appieno cosa fare per attivare quello successivo, specie se giocate al livello Difficile di difficoltà. Insomma è CoD, nel bene e nel male, con una conclusione epica che mette fine, forse, ad una trilogia storica nel mondo dei videogames, creando un format che durante il suo corso ha saputo imporsi pur con le sue limitazioni.

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