Cuphead – la recensione… definitiva

Benvenuti negli anni ’30

Lo premetto subito: difficilmente porterò a termine Cuphead. Non tanto perché il gioco non mi piaccia, ma semplicemente perché il 2017 è il quarto anno in cui gioco l’opera di studio MDHR. Non fraintendetemi, non sono un privilegiato beta tester o un amico intimo dei boss del team di sviluppo, tutt’altro: sono un semplice editor che ha avuto modo di partecipare a ben tre edizioni della Gamescom, in cui era sempre presente Cuphead. Insomma, oramai i contatti con il gioco e le prime impressioni (un po’ come tutto il mondo) sono storia vecchia, ma all’appuntamento con la build finale non ho potuto far altro che metterci le mani sopra, per cominciare quello che avevo iniziato nel 2015. Ovvero giocare il più possibile a quello che non ho paura a definire una versione giocabile della serie Silly Symphony.

Don’t gamble with the devil

A differenza di altri platform, Cuphead non ha una vera e propria storia. C’è un pretesto narrativo, ovviamente, per introdurre le avventure dell’omonimo protagonista e del suo compagno di sventure, Mugman, ma si tratta appunto di un qualcosa di molto, molto abbozzato. La coppia, piuttosto eccentrica, si trova in un casinò, dove accetta una scommessa piuttosto singolare: tutti gli incassi della casa da gioco in caso di vittoria ad un tiro di dadi. Se sconfitti, i due però devono vendere la propria anima al diavolo, gestore del casinò. Inutile dire che il tiro risulta fallimentare, ma Satana intravede una soluzione: i due potranno rimanere in possesso della loro anima, se faranno per conto suo da esattori delle tasse, o meglio delle anime.Fatta questa breve introduzione, Cuphead si imbarca dunque in un’avventura piuttosto singolare e io imbraccio il pad come se fosse l’ultima cosa da fare su questo mondo. Sì, perché al di là della trama piuttosto singolare, il gioco è una vera e propria opera d’arte, che fa della difficoltà e della sfida il suo punto di forza, mettendo sempre tutti contro tutto.

Run & Gun…

Fin dalla nascita, in molti hanno classificato Cuphead come platform. In realtà l’opera di Studio MDHR non è proprio un gioco di piattaforme nel senso classico del termine, anzi. Le fasi platform offerte dal gioco sono decisamente minori rispetto alle boss battle, vera e propria anima del gioco (di cui parleremo più avanti). Durante le sessioni a scorrimento verticale, Cuphead è impegnato ad affrontare una vasta serie di nemici che arrivano da ogni parte, in alcuni casi letteralmente ingolfando il vostro schermo, in un crescendo che si concluderà, inevitabilmente con la vostra dipartita, una, due, 10 volte. Si parte con 3 punti vita (aumentabili a 4 acquistando un apposito potenziamento nello shop del gioco), un’arma primaria e secondaria (special) e il dash che vi permette di  superare determinati ostacoli o semplicemente di schivare i pericoli e i nemici che vi si presentano di fronte, più avanti si potrà acquistare addirittura una bomba fumogena che trasforma il dash in un utilissimo strumento di difesa. Da qui in avanti si tiene premuto il tasto di shooting e si procede, cercando di arrivare indenni (o quasi) alla fine del livello, raccogliendo monete d’oro da spendere per acquistare altri potenziamenti e cercando di migliorarci sempre di più. Assente, in questo caso, il selettore di difficoltà: i livelli Run & Gun son uguali per tutti.

Sebbene Cuphead non nasca come platform e le sessioni Run & Gun siano state inserite solamente dopo per allungare un titolo già di per sé non proprio longevolo, che però fiera dopo fiera raccoglieva sempre più consensi, la cura riservata nella creazione di queste fasi ha decisamente superato ogni nostra più rosea aspettativa. Tutto funziona alla grande, inclusa la grande difficoltà che caratterizza ogni stage.

… until you die

Subito dopo le fasi di Run & Gun, è tempo di passare alle boss battle. Queste rappresentano il vero cuore pulsante del gioco: ricordate la trama? Ecco, sono proprio i boss che devono le loro anime al diavolo. Cruciale è riuscire a sconfiggerli per ottenere il loro contratto. Ed è qui, davvero, che Cuphead dà il meglio di sé.
Ogni boss battle è articolata in più fasi (da un minimo tre ad un massimo di cinque) ed è possibile affrontarla in due modi: Regular o Simple. Solamente la prima permetterà di raccogliere l’anima del boss e, di conseguenza, vedere il vero finale del gioco. Cosa cambia? La difficoltà, ovviamente: in Regular bisogna davvero sudare sette camicie per eliminare il boss, mentre in modalità Simple sebbene la difficoltà resti elevata, i suoi colpi si fanno decisamente più permissivi.

Può capitare che in alcune fasi sia necessario vedersela anche con altri nemici su schermo e non solo il boss. In questo caso la difficoltà aumenta: oltre al pattern del boss principale infatti sono presenti anche altri piccoli imprevisti, che rischiano di far perdere punti vita preziosi. Su YouTube sono presenti video di appena 2 o 3 minuti per la conclusione delle boss fight, ma è davvero difficile arrivare a quei livelli, soprattutto se non avvezzi al gioco in primis e al genere. Ciò non toglie comunque che il senso di soddisfazione è davvero elevato nel momento in cui un boss viene sconfitto: un buon segno, soprattutto di questi tempi.

Dalla penna al pad

Al di là dei contenuti in game, Cuphead è anche bellissimo da vedere. Frutto del mastodontico lavoro di creazione dei contenuti grafici del gioco. Ogni animazione è disegnata ed inchiostrata a mano. Studio MDHR è infatti passato direttamente dalla penna al pad. Il gioco non perde mai un colpo: i 60fps sono garantiti pressoché ovunque, mai un calo né un freeze. La pulizia grafica è davvero perfetta e l’aggiunta di filtri che sporcano l’immagine, richiamando  i vecchi filmati anni ‘20 e anni ‘30 sono quel tocco di classe che eleva la produzione a piccolo gioiello.

Anche il livello di ottimizzazione su PC è davvero elevato, così come la pulizia e il lavoro di debug sebbene non manchino piccole imperfezioni. Ho per esempio rilevato un blocco dello sprite di Cuphead alla fine di una boss fight, con conseguente necessità di riavvio, ed un altro bug che ha cancellato l’ultimo salvataggio. Insomma niente è perfetto ma a questo Cuphead gli si perdona tutto o quasi.

Perfetta la colonna sonora che, richiamando le vecchie pellicole animate con protagonisti Topolino e Betty Boop e le colonne sonore prese direttamente da vecchi grammofoni, ci trasportano in un tempo che oramai non c’è più, eppure incredibilmente ricco di fascino.

Squisitamente diabolico

Dopo circa 4 giorni di gioco intenso ed essermi confrontato con amici che hanno deciso di intraprendere questo viaggio verso il masochismo insieme a me, ho elementi sufficienti per valutare Cuphead. Il gioco funziona, le sezioni Run & Gun per quanto slegate dal resto sono comunque godibili, le boss fight decisamente appaganti. In tutto questo però c’è un enorme, continuo senso di frustrazione. Il gioco non è per tutti (e neanche per me), dunque l’acquisto è caldamente consigliato a tutti coloro che hanno già un minimo di fraternità con il genere e sono pronti a passare circa una decina d’ore (ma scommetto anche molte di più) davanti all’ennesima sezione platform piuttosto che la Baronessa Bon Von o il pennuto bastardo.

In poche parole, Cuphead è squisitamente diabolico. Un gioco che si lascia giocare fino a quando, chiaramente, non si perde la pazienza. Qualcosa che mi ha riguardato personalmente per tutte le sessioni di gioco, ma qualcuno là fuori è pronto chiaramente a smentirmi.

Commento finale

Cuphead si presenta come un gran bel gioco, un must have per gli amanti del genere e per tutti coloro che vogliono un piccolo capolavoro su Xbox One o PC. Preparatevi ad ore di divertimento, bestemmie, insulti, ma anche tanta soddisfazione e una sensazione di adrenalina come non se ne vedeva negli ultimi dieci anni.

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