Lunga vita al single player!
Il single player sembrava essere sulla via del tramonto. Fra eSports, battle royale, competitivi online, effettivamente le tendenze videoludiche degli ultimi mesi, non ci hanno fatto dormire sogni tranquilli. Fortunatamente nell’industria qualcuno con un po’ di sale in zucca c’è ancora. È il caso di Sony, il colosso giapponese che ha deciso di puntare ancora fortemente sulle esperienze in single player, quelle classiche che ci hanno tenuti incollati allo schermo, visto fare le ore piccole e regalato tantissime emozioni.
Impossibile non citare una delle ultimissime produzioni targate Sony, God of War un titolo che si è saputo reinventare, offrendo un gameplay fresco, una trama affascinante e un’esperienza a dir poco avvincente che ha ridato nuova linfa alle avventure in singolo. Adesso è arrivato il momento di mettere le mani su una nuova e attesissima esclusiva PlayStation 4, stiamo parlando di Detroit: Become Human. Le prime tracce del titolo risalgono ad un lustro fa, quando il CEO della software house francese Quantic Dream, David Cage, autore di Fahrenheit, Omikron e delle due fortunatissime avventure grafiche, Heavy Rain e Beyond Two Souls, annunciò che lo studio aveva iniziato a lavorare su un titolo che ricalcasse gli ultimi due lavori citati ma in modo molto diverso.
Il 27 ottobre 2015 durante la conferenza Sony sul palco della Paris Games Week viene quindi annunciato Detroit: Become Human, attraverso una tech demo che mostrava uno dei personaggi principali Kara e la futuristica città di Detroit. La tematica proposta è ben diversa da quelle di Heavy Rain e Beyond Two Souls. In Detroit: Become Human la lente di ingrandimento è rivolta ad uno dei temi più controversi e forse difficili da spiegare, ovvero cosa vuol dire essere umani, in tutte le sue sfaccettature, positive e negative. Cosa ci contraddistingue? Può un organismo sintetico provare emozioni? Una tematica in vero stile Io Robot di Asimov e che forse oggi affascina ancora di più in quanto non siamo così lontani dal realizzare “androidi” che in un futuro, più vicino di quanto si possa immaginare, possano aiutarci nella nostra vita quotidiana.
Sta a voi la scelta da fare!
Detroit: Become Human riprende direttamente il contesto narrativo proposto nella tech demo Kara rilasciata il 7 marzo 2012 da Quantic Dream, utilizzata per mostrare la nuova tecnologia di motion capture allora utilizzata su console PlayStation 3. Siamo a Detroit, la città sta attraversando un vero e proprio boom industriale, che le ha permesso di diventare in tempi rapidi il centro all’avanguardia, un po’ come accaduto in passato per l’industria automobilistica, nel campo dei lavoratori non-umani. La trama principale del titolo, della quale faremo solo una sorta di breve riassunto in modo tale da evitare anticipazioni, si concentra sulla vita di tre personaggi: Connor, Kara e Marcus. Ognuno di loro ha un proprio ruolo in questo futuristico e avanzatissimo mondo, Connor è un androide avanzato al servizio della polizia. Il suo compito è quello di indagare sui non-umani che hanno deviato il proprio comportamento, Kara è un modello standard di largo consumo di androide domestico tuttofare, l’incontro con la piccola Alice, rappresenterà la molla che spingerà Kara a “ribellarsi”, infine, abbiamo Markus un prototipo di assistente familiare per famiglie agiate che dopo un diverbio è scappato con l’unico intento di scoprire il mondo e viverlo da essere libero.
Detroit: Become Human lo possiamo definire come una produzione a tutti gli effetti di stampo cinematografico. I registi e gli attori, saremo proprio noi giocatori, che dovremo districarci attraverso una serie di eventi intricati e complessi. Come i giochi di Quantic Dream ci hanno abituato, i giocatori, in una sorta di grande esperimento sociale, dovranno prendere una serie di decisioni, o per meglio dire emozioni, attraverso i quick time event, di importanza rilevante. Ciascuna scelta, spesso dura, difficile e struggente, modificherà l’esperienza di gioco (addirittura potremmo ritrovarci a saltare interi capitoli), gli eventi narrati e l’epilogo finale. Dalle nostre decisioni, potrebbe inoltre derivare la morte prematura di uno o più personaggi. Il game over non esiste realmente, le produzioni passate di Cage ne sono la conferma, ciò che conta è la narrazione che, sebbene con diramazioni differenti, in un modo o nell’altro arriverà alla fine.
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Più che un gioco è un’esperienza intima e profonda
Già con Heavy Rain e Beyond Two Souls, è stato piuttosto difficile categorizzare la produzione di Quantic Dream. È un gioco, un film, un’esperienza a metà strada? Dal punto di vista prettamente narrativo, come detto poche righe più su, Detroit: Become Human è un vero e proprio Colossal cinematografico. All’interno del gioco, dovremo muovere i nostri personaggi i quali si avvicenderanno capitolo dopo capitolo, interagendo con Detroit e gli ambienti proposti dallo sviluppatore francese. A fare da deterrente è il tempo, che andrà a scandire ogni nostra mossa, decisione/scelta. Come riportato nel nostro articolo: Tutto quello che c’è da sapere su Detroit: Become Human, i quick time event e le relative scelte durante i dialoghi saranno affidati ai tradizionali tasti Triangolo, Quadrato, Cerchio e Croce, mentre allo Stick destro, è affidata l’interazione con l’ambiente, come esaminare l’ambiente, prendere oggetti, aprire porte e il controllo della camera. Ai due grilletti dorsali R2/L2 le funzioni di avanzamento veloce e di rewind e al TouchPad l’interazione con alcuni oggetti come schermi ed altre tecnologie.
Durante la nostra avventura, l’interattività proposta a differenza di quanto accadeva con le passate produzioni di Quantic Dream, ha un ritmo più veloce, il che richiede spesso anche l’interazione fulminea con il DualShock 4, fra pressione rapida di tasti e movimenti del Pad stesso, come rotazioni, swipe veloci sul TouchPad, movimenti riportati a schermo e molto altro ancora. Se in passato non avete apprezzato la scelta stilistica dello studio francese, con Detroit: Become Human, l’evoluzione del sistema è evidente e pertanto vi consigliamo di dare una possibilità alla produzione in quanto merita di essere giocata. Anche la narrazione risulta essere meno compassata, spingendoci spesso a ricerche costanti di elementi e oggetti utili per il capitolo e che potrebbero fare la differenza fra la sopravvivenza e la dipartita prematura di uno dei nostri tre protagonisti. Attenzione però, non aspettatevi sezioni esplorative sconfinate, si tratta pur sempre di un’avventura grafica e come tale la libertà esplorativa, seppur enormemente migliorata rispetto ad un Heavy Rain, è comunque limitata e in diversi frangenti guidata.
Se volete tenere sotto controllo cosa è stato fatto o bisognerà fare nel capitolo, in nostro soccorso arriva un diagramma che ci mostrerà le scelte compiute e quale è stato l’effetto prodotto in termini narrativi. Le scelte invece non fatte, rimarranno bloccate e verranno indicate come tali fino a quando non deciderete di rigiocare quel capitolo o porzione dello stesso. In tal modo a beneficiarne è sicuramente la rigiocabilità. Saranno necessarie circa 10 ore per completare il gioco, ma almeno il triplo per completarlo al 100%.
Una gioia per gli occhi
Abbiamo giocato Detroit: Become Human su PS4 Pro e l’esperienza è stata davvero piacevole. Il gioco è infatti scivolato liscio come l’olio senza incertezze o cali di framerate. Ciò che ci ha particolarmente colpito, anche se non è una novità assoluta per Quantic Dream, è la resa grafica del titolo. In particolar modo le espressioni facciali dei personaggi è al limite del fotorealismo, grazie all’ottimo lavoro di motion capture. Forse in alcuni frangenti si avverte una certa legnosità in alcune espressioni ma in definitiva il lavoro svolto dallo studio francese è a dir poco perfetto.
Ad impreziosire ancora di più Detroit e la nostra avventura è l’ottima telecamera implementata in vero stile hollywoodiano, grazie ad una serie di tocchi di maestria unica nel panorama videoludico. Assolutamente di pregio sono anche la colonna sonora che richiama alla mente alcune produzioni cinematografiche in salsa fantascientifica e il doppiaggio italiano che si mantiene su livelli davvero eccelsi.
- - Trama profonda ed emozionante
- - Longevità elevata
- - Tecnicamente superbo
- - Colonna sonora e doppiaggi di primissimo livello
- - Il genere potrebbe non piacere a tutti
- - Troppi quick time event