Sono passati tredici lunghissimi anni da quando James Cameron, regista di capolavori quali Titanic, Terminator e Aliens – Scontro finale, ha deciso di portare a compimento un suo remoto desiderio: ovvero “aggiornare” con dei sequel “Avatar” pellicola che gli è valsa la bellezza di ben 3 premi Oscar nel lontano 2010.
Back to the Past!
Prima di iniziare a parlarvi del nuovo capitolo, pensiamo sia doveroso fare una premessa inerente la storia precedente: Nel primo storico capitolo (ATTENZIONE SPOILER: anche se sono passati diversi anni, sono presenti degli spoiler sulla trama del primo film atti giusto per contestualizzare meglio quest’ultimo con il secondo film) una multinazionale tenta di colonizzare un pianeta lontano cinque anni dalla terra chiamato Pandora; l’obiettivo della spedizione è quello di estrarre un minerale dal valore economico molto costoso chiamato Unobtanium. Il pianeta, però, è abitato dai Na’vi un popolo tribale dalle sembianze umanoidi che ovviamente non gradisce l’attacco “alieno” sul loro pianeta d’origine. Ciò innesca una naturale rivalità tra le due fazioni. Protagonista della pellicola è un tale chiamato Jake, un ex marine ridotto in sedie a rotelle dopo una missione di guerra, convocato per sostituire il fratello Tommy scienziato morto in missione proprio su Pandora.
Fortunatamente Jake possiede dei geni compatibili con l’Avatar del defunto, e lo rimpiazza rendendosi immediatamente conto di avere dimestichezza nel controllo del suo secondo “corpo”. Gli “Avatar” sono infatti dei corpi controllati a distanza creati utilizzando un misto tra sangue umano e quello dei Na’vi: gli studi su questa particolare razza vengono gestiti dalla dottoressa Grace Augustine, capo della divisione inerente proprio a quest’ultimi. La spedizione di “guerra” è capeggiata invece dal colonello Miles Quaritch, viscido comandante che promette a Jake di dargli una possibile cura, con relativa operazione, per tornare a camminare in cambio di alcune notizie inerenti i Na’vi che lo “agevolano” nell’obiettivo di distruggerli. Jake accetta l’offerta salvo poi cambiare successivamente idea rendendosi conto (dopo essersi perso in una foresta salvo poi venir salvato da Neytiri, figlia del capo della tribù dei Na’vi) che quest’ultimi non sono una tribù malvagia adattandosi e comprendendo (senza non poche fatiche) usi e costumi dei nativi. Affezionandosi sempre di più a quest’ultimi ripudia la razza d’origine assetata solo di guerra e vogliosa di occupare e conquistare con violenza un pianeta che non gli appartiene. Seguiranno poi diverse battaglie sanguinolente, ma alla fine vinceranno i Na’vi con conseguente uccisione del colonnello, esilio sulla Terra dei restanti esseri umani e conversione di Jake in nativo di Na’vi con il corpo fake Avatar.
Questa, a grandi linee, è la base da cui Cameron ha deciso di ispirarsi per continuare una storia che, apparentemente, poteva tranquillamente concludersi con il primo film. Cameron aveva deciso, già da circa la metà degli anni 90′, di investire su questo mastodontico progetto di Avatar prima della lavorazione di un suo altro indiscusso capolavoro, Titanic, scrivendo già all’epoca diverse pagine della sceneggiatura e ispirandosi ad alcune opere letterarie dei romanzi di fantascienza. Trattandosi di un lavoro gigantesco e non avendo all’epoca né i mezzi CGI adatti per trasportare l’universo da lui creato né il budget per poterselo permettere, virò quindi sulla saggia scelta di attendere qualche anno (il progetto riprese vita solo nel 2005) per poi mettersi successivamente all’opera nella realizzazione della sua storia sfruttando tecnologie migliori. La goccia che fece traboccare il vaso della creatività fu la visione del “Signore degli Anelli” del collega Peter Jackson e nello specifico l’interpretazione del personaggio di Gollum in CGI unita con la Motion Capture, fe capire a Cameron che forse qualcosa nell’industria cinematografica stava effettivamente cambiando e un film come il suo, che richiedeva tante tecnologie per far emergere al meglio alcuni lati emotivi difficilmente replicabili dei Na’vi, potevano essere utili nell’obiettivo di creare la pellicola dei suoi “sogni”.
Nonostante l’ambizione e la voglia di portare su schermo questa storia, passarono molti anni prima che il film prendesse vita visto il lavoro meticoloso del regista canadese alle prese anche con la scelta del casting adatto (per il ruolo di protagonista venne scelto Sam Worthington) che per le tecnologie impiegate (alcune, addirittura, create ad arte per questo film come la “simulcam” che consentiva di unificare le riprese reali con quelle digitali in computer grafica) e fu così che quindi la 20th Century Fox (attualmente 20th Century Studios) decise di assumere il controllo del progetto credendo nella visione creativa di Cameron e concretizzandolo poi di fatto nel 2009. Ogni attore, letta la mastodontica sceneggiatura, decise di metterci del proprio per tentare di migliorare il prodotto finale: il protagonista voleva far immedesimare gli spettatori in qualcosa di unico, mentre l’attore che interpreta il nemico principale cercò di imparare delle apposite mosse da implementare nei mecha presenti nel film per dare l’impressione che essi fossero realmente animati dai personaggi ripresi.
Per migliorare addirittura le interpretazioni in luoghi angusti come le foreste, Cameron portò proprio i protagonisti a visitare, per un certo periodo, delle foreste reali per farli immedesimare e capire nel dettaglio cosa significasse vivere in ambienti sfavorevoli. Insomma, dettagli intramontabili che valsero la bellezza (dei già citati) 3 premi Oscar.
Trovavamo doveroso farvi questa lunga premessa per farvi immedesimare al meglio con la nuova opera di Cameron.
Tuttavia lo stesso regista canadese non ha mai nascosto (anche post uscita nel 2009) il desiderio di voler espandere l’universo di Pandora e farne un sequel, speranza poi concretizzata ufficialmente dopo l’acquisto di 20th Century Fox da parte della Disney e conseguente scelta di fare più film inerenti al marchio “Avatar”.
Trama di Avatar: La Via dell’acqua
Gli umani a Pandora sono un’antica minaccia, abbattuti dal coraggioso ex marine Jake Sully (Sam Worthington) che dopo aver abbandonato la sua gente da cui non si sentiva più rappresentato, ha approvato la causa dei nativi Na’vi diventando ufficialmente uno di loro e trovando anche l’amore con la guerriera Neytiri (Zoe Saldana). Nonostante siano passati dieci lunghi anni dalla disfatta subita, gli umani vogliono riprovare a colonizzare Pandora comandati da una vecchia conoscenza, Lyle Wainfleet, un mercenario ed un’altra serie di marines il cui obiettivo è mischiarsi tra i Na’vi sfruttando gli Avatar e, soprattutto, cercare Jake Sully e rapirlo per vendicarsi del torto subito (dato che viene visto come il Na’Vi che ha guidato la rivolta anti terrestre). La vita di quest’ultimo, però, è cambiata al punto da aver creato una famiglia: Neteyam (Jamie Flatters), primogenito, Lo’ak (Britain Dalton) dal carattere particolare, quasi complessato e il secondogenito, il piccolo Tuk (Trinity Bliss), hanno adottato anche Kiki (figlia della dottoressa Grace) e “Spider” il “cucciolo” di umano orfano rimasto su Pandora.
I figli, però, in quanto adolescenti, sono irresponsabili e proprio a causa di quest’ultimi si presenteranno alcune situazioni alquanto negative a vantaggio di Lyle e che costringeranno quindi Jake e la famiglia a fuggire a malincuore dalla propria terra natia per cercare riparo nelle lontane terre dei Metkayina, tribù che vive in alcuni piccoli arcipelaghi marini il cui habitat è il mare.
Riusciranno i Na’Vi ad ambientarsi e sfuggire dalle grinfie del perfido Lyle?
Visivamente? Impressionante!
Dal primo film, ormai, sono passati anni e come ampiamente prevedibile sono cambiate diverse cose: come specificato pocanzi, partendo innanzitutto dalla tecnologia implementata che portò alla creazione di un nuovo mondo, Pandora, e che contemporaneamente creò una rivoluzione anche all’interno del mondo del cinema in grado di creare grandi profitti.
La cosa più straordinaria è che “Avatar: La Via dell’acqua” ha un mondo che, se confrontato al precedente, risulta addirittura più sconfinato quasi straniante e, soprattutto, magnificamente riprodotto.
Esattamente come accade nel 2010 (purtroppo il lancio del film in Italia fu ritardato ma per non mettere in concorrenza la pellicola con i cinepanettoni) gran parte dell’esperienza da vivere è con l’utilizzo degli occhiali 3D che se all’epoca avrebbero dovuto rivoluzionare l’industria cinematografica (solo per Avatar, il resto delle produzioni, purtroppo, non riuscì ad eguagliare il successo della moda lanciata dallo stesso Cameron) in questo film tornano prepotentemente a svolgere il loro egregio compito facendo immedesimare lo spettatore in scenari dall’indescrivibile bellezza visiva, specialmente dei fondali marini, estremamente realistici. L’esperienza è talmente appagante e, permetteteci il termine, “immersiva” che da sola vale in assoluto l’acquisto del biglietto in sala anche visto il frame rate (termine solitamente inerente all’ambito videoludico) che appare stabile e godibile e che non inficia negativamente nei movimenti dei personaggi e degli ambienti circostanti.
Metafore cameroniane
Se credete di trovarvi nuovamente nelle fitte foreste di Pandora, ci dispiace deludervi, ma Cameron questa volta svolge gran parte delle attività cinematografiche in un fittizio arcipelago di isole marine con i nativi Metkayina ispirati, molto probabilmente, alla popolazione samoana. Nel film viene trattato, anche se solo di sfuggita, il tema (apparente) del razzismo tra popoli. Tuttavia ciò che veramente sconvolge (in positivo) è come Cameron sia riuscito, ancora una volta, a parlare delle mitologie utilizzando metafore create appositamente per il suo mondo. Implementando tematiche quali il ripudio per le guerre (ancora una volta con i possibili genocidi dei nativi americani) il rispetto dell’ambiente e della natura circostante ma anche i rapporti ed il forte legame che si crea nelle famiglie, restando insieme sempre uniti e compatti anche nelle situazioni di pericolo incessante.
Storia lineare ma con alcuni “spunti” davvero interessanti!
Per quanto concerne la storia, analogamente un po’ come avvenne con il precedente, non vi sono grandi colpi di scena e l’andamento della stessa risulta abbastanza prevedibile e a tratti lineare. Tuttavia contemporaneamente agli eventi che accadono è impossibile non rimanere estasiati dal mondo circostante e da alcuni dettagli presenti nella pellicola che, addirittura, sembrano citare anche grandi classici del cinema. Senza farvi alcuno spoiler, diciamo che se siete amanti della settima arte potreste trovare delle sensazioni/vibes “cameroniane” di altre opere esterne anche in questo film.
Pro e contro
Buone anche le performance attoriali di ogni singolo interprete, nello specifico dei giovani attori selezionati per interpretare i figli delle rispettive tribù Na’vi/Metkayina (a cui sono riservati diverse ore di minutaggio cinematografiche) e che ci sentiamo di dire che, in quanto tali, sono quasi i protagonisti della stessa pellicola. Un’operazione voluta, probabilmente, da Disney per empatizzare con i nuovi arrivi anche in vista dei numerosi sequel (stando ai piani della società americana, saranno 5 le pellicole dedicate a questo brand) previste per i prossimi anni. Strategia, dal nostro punto di vista, intrigante ma abbastanza pericolosa: poiché il rischio è quello di snaturare un po’ la natura dello stesso film e quell’alone di “unicità” che già con questo sequel, si è parzialmente rovinato nonostante il magistrale lavoro registico.
Altra nota negativa, ma qui cadiamo nel campo della localizzazione, è nel doppiaggio che tendenzialmente è buono ma ha solo un grande difetto: ci sono momenti in cui sono presenti delle frasi con la parola “Bro” ripetuta più volte come se fosse uno slang che rischiano di rovinare l’esperienza visiva e sensoriale rendendola un po’ imbarazzante; capiamo che il film in questione sia rivolto principalmente a un pubblico giovanile e che mettere un linguaggio simile potrebbe attirare proprio quest’ultimi, tuttavia non sono solo loro ad usufruire della sala e probabilmente anche loro si potrebbero sentire in imbarazzo e non rappresentati da simili slang che, involontariamente, diventano comici e fuori contesto.
Commento finale
In conclusione ci sentiamo di consigliarvi questo sequel e di vederlo possibilmente in una sala ben organizzata e spaziosa per immedesimarvi e immergervi nella magia 3D di Pandora. Avatar: La Via dell’acqua riesce a mantenere le aspettative (alte) e paradossalmente ribaltare i possibili (e leciti) pregiudizi sui sequel di film di successo, probabilmente anche grazie all’enorme cura nella regia da parte di James Cameron che ha approfittato del tempo occorso per produrre un’opera ancora più mastodontica. Si spera che gli ulteriori sequel sappiano mantenere altrettanto le aspettative, ma ne riparleremo (forse) l’anno prossimo. Vi ricordiamo che Avatar: La Via dell’acqua è in sala dal 14 dicembre 2022.