Nel corso degli ultimi dieci anni, il sottogenere dei soulslike si è arricchito di prodotti molto più intraprendenti. Prodotti che hanno cercato di ritagliarsi un posticino nel cuore di noi appassionati con elementi identitari sempre più marcati. Basti pensare al reboot di Lords of the Fallen, o al più recente Bleak Faith: Forsaken. Anche Deathbound cerca di entrare a far parte di questo sempre più consistente gruppo di produzioni.
Il piccolo team brasiliano di Trialforge Studio sarà riuscito a regalarci un prodotto con qualcosa di originale, ma soprattutto valido? Non vi resta che continuare la lettura per scoprirlo.
Deathbound, edito da Tate Multimedia, sarà disponibile da domani 8 agosto 2024 su PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC.
Versione testata: PlayStation 5
Fede e scienza
In Deathbound vestiremo i panni di un crociato in un mondo basato su credenze medievali che tuttavia si erge sulle ceneri di una tecnologia ancora più avanzata della nostra. In un connubio fantasy davvero particolare in cui fede e scienza collidono all’ombra di una società al collasso.
A seguito di una serie di fortuiti eventi, il nostro protagonista, nella morte, riceverà il potere di assorbire le essenze di altri personaggi.
A differenza della maggior parte degli esponenti del sottogenere, in Deathbound la storia è molto presente e risulta avvincente fino alla fine, nonostante l’incipit richiami l’abusatissimo cliché di fede contro magia. Interessantissimo anche il world building che prende forma oltre che attraverso le note ambientali, tramite i ricordi dei protagonisti e i dialoghi tra gli stessi, spesso molto eccentrici perché di fatto condividono un unico corpo.
Legami
Proprio questo espediente narrativo è altresì il fulcro ludico della produzione. L’elemento distintivo a cui facevamo riferimento nell’introduzione, che dona identità all’opera.
A metà di un combattimento, o persino durante una schivata o con una “finisher”, potremo trasformarci in un altro “archetipo”. Passando così dal classico guerriero, alla ladra, al mago, e così via.
Gli sviluppatori, per questo motivo, hanno sempre parlato di soulslike party-based, ma ci teniamo a precisarlo, potremo controllare sempre un personaggio alla volta. Vedetelo più come un soulslike in cui cambiare build in maniera repentina e che quindi incoraggia la sperimentazione. Anche perché avremo una sola vita, di base, dato che pur potendo utilizzare quattro essenze alla volta, alla morte di un personaggio è già game over.
Tra l’altro, questa, è una schermata che vedremo molto spesso, per via di una serie di criticità, più o meno gravi. Se per il bilanciamento possiamo chiudere un occhio, pur dovendo fare i conti con un posizionamento dei nemici non sempre ottimale, trappole praticamente invisibili, sistema di cure davvero poco utile, per i problemi di hitbox e di input lag la situazione diventa più spinosa.
Per quanto riguarda le prime, gli sviluppatori hanno dato consistenza a tutti gli elementi dello scenario. Attaccando con il guerriero o con il tank, che hanno fendenti “più aperti”, questi finiranno il 50% delle volte su una parete, su una palafitta, su un palo. Per quanto riguarda l’input lag, invece, a causa di qualche singhiozzo tecnico molto spesso i nostri colpi o le nostre manovre difensive ritarderanno di quell’istante necessario a fare la differenza tra il piacere e la frustrazione.
Ma il problema più grave dell’impianto ludico di Deathbound è una scelta di design alla base del combat system. Praticamente ogni azione, offensiva o difensiva che sia, ha recovery lunghissime e non può essere cancellata. E in un gioco che praticamente ti spinge a giocare con le metamorfosi mid-combo o durante le manovre evasive, che ti spinge a trovare le giuste sinergie tra i personaggi in modo da poter concatenare i loro poteri durante i combattimenti, la scelta è tutt’altro che azzeccata.
Questo conflitto tra l’idea alla base del combat system e una sua componente ludica così fondamentale, ma altresì così incompatibile con l’idea di base, è senza dubbio il più grosso difetto della produzione. Sarebbe bastato inserire una meccanica di cancel e staremmo parlando di un sistema di combattimento, oltre che originale, anche molto riuscito. Peccato.
Dritto per dritto
Oltre al sistema di combattimento, l’altro elemento fondamentale dei soulslike è il level design. Per quanto le mappe siano comunque riuscite, in Deathbound non ci siamo mai sentiti parte di un mondo “alla Souls”. Parliamo, alla fin fine, di una serie di livelli lineari, consequenziali, con qualche shortcut circoscritta al livello stesso.
Fortunatamente il contrasto visivo tra elementi medievaleggianti, come ad esempio le armature dei protagonisti, e il contesto “high magic fantasy”, con un pizzo di desolazione post-apocalittica, riesce ad appagare l’occhio. Peccato per alcune animazioni, veramente bruttine.
Commento finale
Deathbound è un prodotto con alla base un’idea originale che ha una funzione bivalente. Da un lato caratterizza la narrativa in maniera piuttosto efficace. Dall’altra permette di godere di un sistema di combattimento originale. Peccato però che tra l’idea e la realizzazione meramente ludica non si è trovata la giusta sinergia.