Recensione Jennifer’s Body

jennifer-body_thumbUn corpo da reato

Jennifer e Neddy sono due amiche inseparabili. La prima è la bomba sexy della scuola, disinibita e spregiudicata; l’altra è decisamente sobria nell’aspetto e poco popolare. Nonostante le opposte personalità, le due ragazze sono legate da un rapporto viscerale sin dall’infanzia. Una sera si recano in un locale per assistere al concerto dei Low Shoulder, una band indie rock disposta a tutto pur di emergere. Jennifer, che ammira il loro stile, si fa subito notare dal cantante del gruppo e non ci mette molto a stringere amicizia. Neddy osserva con occhi sospetti il loro rendez vous ma nel frattempo un tragico incendio interrompe la serata. Riuscite a scampare alle fiamme, le due amiche rimangono piuttosto stordite. Jennifer accetta ingenuamente un passaggio nel furgone della band fregandosene degli avvertimenti di Neddy. I Low Shoulder infatti hanno cattive intenzioni: Jennifer viene rapita e sacrificata a Satana in cambio di fama e denaro ma qualcosa va storto e invece di morire la ragazza viene posseduta da un demone.

Liberamente ispirato al film Schegge di Follia di Michael Lehmann del 1989 (con Winona Ryder e Christian Slater) e sceneggiato dall’autrice del più recente Juno, Diablo Cody, Jennifer’s Body può definirsi senza troppi preamboli come una commedia nera per adolescenti – genere indicato altrimenti “teen-age horror” – che oscilla continuamente (e in alcuni casi fastidiosamente) tra il tono drammatico e quello grottesco. Lo spaccato del mondo giovanile proposto non brilla certo per originalità, essendo tra quelli più abusati del filone, con la classica bellona di turno che fagocita letteralmente gli uomini, il brutto anatroccolo che scopre la sessualità e così via; ma il tentativo di riportare l’atmosfera “black” degli anni Ottanta e di fonderla con lo slang e l’universo adolescienziale di ultima generazione appare come un elemento positivo. A questo si aggiunge una struttura narrativa azzeccata, che prosegue in modo non lineare e si snoda a partire da un lungo flashback, chiudendo il cerchio verso tre quarti del film con un guizzo notevole che riguarda i titoli di coda.

Riassumendo, il copione scritto dalla Cody si lascia seguire con gusto anche se delle falle incorrono qua e là. In molti gli hanno infatti rimproverato la debolezza del suo plot, che unito alla regia un po’ impersonale della asiaticoamericana Karyn Kusama (conosciuta al grande pubblico per Girlfight), risulta alla fine difficile da giudicare, soprattutto perchè non punta a conferire risalto nè alle sequenze più propriamente horror (che non fanno mai davvero paura) nè alle gag (che non fanno mai davvero ridere). Senza dubbio la protagonista Megan Fox è splendida e il fatto che al centro di tutto ci sia il suo corpo non è un elemento trascurabile. L’attrice, dopo essere stata consacrata come icona sexy grazie al film Transformers di Michael Bay, dimostra di non avere solo un corpo da contemplare esteticamente e dal quale non si riesce a distogliere lo sguardo per i circa cento minuti della pellicola, poiché riuslta anche in grado di infondere al suo personaggio una giusta dose di autoironia, contrapposta alla “voracità” attraverso cui Jennifer prova a riempire il suo vuoto interiore. Ma la sua pur gradevolissima presenza non basta a giustificare e reggere un’intera impalcatura cinematografica.

Inoltre, si ha l’impressione che a tratti si voglia puntare su un messaggio di critica nei confronti della società americana e della sua manifesta superficialità a cui fa da contraltare il personaggio di Neddy, interpretato con spessore drammaturgico da Amanda Seyfried (già apprezzata in Alphadog). Ma è chiaro che non osando abbastanza e creando un’amalgama di situazioni e di temi poco convincenti si corre seriamente il rischio di mancare qualsiasi bersaglio. La parte più interessante a livello visivo, ricordiamolo, resta solamente il finale, dove Neddy mette in pratica la sua vendetta “demoniaca” a danno della band indipendente. Delle diapositive ci mostrano le fredde esecuzioni della ragazza contagiata dal demone e ci riportano su un piano catartico capace forse (da solo) di motivare ontologicamente l’horror di Karyn Kusama, altrimenti passato nel dimenticatoio come tante altre pellicole del genere, eccezion fatta ovviamente per l’effettivo valore estetico della protagonista.

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