Diario del capitano
Anno 2330 – Giorno 3 dall’ingresso in Constellation
Sono su un’astronave al largo del pianeta Jemison, nel sistema di Alpha Centauri, non molto distante da casa. Ho appena risposto ad una chiamata di emergenza da parte di alcuni civili che sono stati attaccati da feccia spaziale. Ho sterminato la banda di spazianti e, frugando nelle tasche di uno di questi, ho scoperto una tavoletta che parla di un avamposto segreto su Denebola I-B, nel sistema solare omonimo.
Non posso pensare a questo ora, ho altre cose da sbrigare. Constellation, la leggendaria organizzazione di esploratori spaziali che mi ha accolto pochi giorni fa, ha bisogno di me per svelare l’ultimo mistero dell’universo: ricostruire un antico manufatto che potrebbe rivelarsi la più grande scoperta scientifica dell’ultimo secolo, o forse solo un inutile gioco per bambini.
Anno 2330 – Giorno 5 dall’ingresso in Constellation
Sono nella mia astronave Frontier, un vecchio catorcio regalatomi da uno strano tizio di nome Barrett e continuo a vagare per lo spazio alla ricerca di frammenti di questo misterioso manufatto, ma è tutto così noioso… il mio pensiero torna continuamente alle parole impresse su quel datapad. C’è eccitazione nelle parole dello spaziante, ma avverto anche un po’ di paura.
Anno 2330 – Giorno 7 dall’ingresso in Constellation
Non riesco a smettere di pensare a quell’ Avamposto Segreto. Oggi la mia routine di esplorazione è terminata presto. Ho scannerizzato un pianeta ricco di Elio-3, Alluminio, Berillio e Alcani: sono tre materiali che mi saranno utili per i miei viaggi spaziali e per la ricerca di nuovi armamenti, e ho deciso di Installare qui un avamposto, con tanto di trivelle di estrazione alimentate da un mix di pannelli solari e pale eoliche, storage per il contenimento dei materiali e piattaforma per l’atterraggio della mia Frontier.
Anno 2330 – Giorno 8 dall’ingresso in Constellation
Sono riuscito a recuperare un frammento senza sparare nemmeno un colpo. Era sepolto, come gli altri in una caverna su di un pianeta privo di umani, ma ricco di fauna aliena. E’ tutto così tranquillo, penso che stabilirò qui il mio campo base.
Anno 2330 – Giorno 10 dall’ingresso in Constellation.
Quella tavoletta è diventata una ossessione, e oggi ho deciso di recarmi su Denebola I-B.
Anno 2330 – Giorno 11 dall’ingresso in Constellation
La mia missione alla ricerca dell’ avamposto segreto si è rivelata più complicata di quanto pensassi: non ero il solo ad essere ossessionato da quel datapad. Quei maledetti spazianti devono aver fiutato l’odore dei crediti, ce n’erano a decine. E’ stata dura, ma alla fine sono riuscito a farne fuori una ventina almeno. Uno di essi si chiamava Leon e deve aver avuto un rapporto abbastanza complicato con la madre …ma ora è tardi, riposerò qui su questo pianeta sperduto da Dio, ho bisogno di recuperare energie. Mi attende l’esplorazione dell’avamposto.
Anno 2330 – Giorno 12 dall’ingresso in Constellation
L’ho trovata! Ho trovato la leggendaria Razorleaf e il nascondiglio della Mantide, il terrore degli spazianti. L’unico simbolo in grado di disegnare il terrore sulla faccia di quei dannati pirati spaziali. E’ tutto così assurdo. Ho scoperto che …
Versione testata PC
Abbiamo deciso di cominciare così la nostra recensione, perché probabilmente è l’unico modo per raccontarvi di Starfield, la galattica opera magna di Bethesda in esclusiva PC e Xbox. E’ difficile infatti raccontare un’opera così complessa, vasta, imperfetta, focalizzandosi esclusivamente su questo o quell’aspetto della trama, così come sarebbe inutile e controproducente soffermarsi ad analizzare singole meccaniche di gameplay, senza un minimo di contesto. Per questo abbiamo deciso di raccontarvi almeno un pezzo della nostra esperienza con Starfield, per parlarvi dei sentimenti contrastanti (proprio come l’amore) che nutriamo nei confronti di quest’opera, tanto maestosa quanto imperfetta. Un’opera che ti fa imprecare maledicendo lo sviluppatore che ha solo pensato ad una GUI tanto stupida, e il minuto dopo ti lascia a bocca aperta.
Nel corso di questa recensione leggerete tante, tantissime, considerazioni critiche sul gioco. Vi invitiamo però a leggere l’articolo fino alla fine perchè come dicono i sostenitori della teoria di Gestalt “Il tutto è più della somma delle singole parti”
Un RPG ben strutturato
Starfield è un’opera in cui le variabili sono così tante che probabilmente non esiste una run uguale all’altra, pertanto, le esperienze che vi racconteremo nel corso di questa recensione sono per forza di cose in parte influenzate dalla nostra run, o meglio dalle nostre run, e dal modo in cui abbiamo deciso di affrontarle.
A partire dalla scelta della classe o meglio del background (ce ne sono ben 21 tra cui scegliere, da quello di Cyberpirata a quello di Cacciatore di taglie, ciascuno associato a tre abilità principali) – passando poi per la scelta dei tratti (altre 17 caratteristiche uniche), è possibile sin dall’inizio delineare la personalità del proprio alter ego ed in questo modo indirizzare in un certa maniera il vostro gameplay.
Scegliendo così l’approccio del Cyberpirata, avrete la possibilità sin dall’inizio del gioco di operare in modalità stealth, taccheggiare gli avversari o violare la sicurezza di casseforti e navi. Nell’altro caso, invece, la vostra abilità di pilotaggio di navi e la capacità di utilizzare sin da subito il boost pack, vi porterà in giro per la galassia a caccia di pirati spaziali sulla cui testa pende una sostanziosa ricompensa.
Queste abilità poi, potranno essere ulteriormente potenziate svolgendo attività specifiche correlate all’abilità. Così, ad esempio, violando la sicurezza di un certo numero di porte e casseforti (tramite un simpatico minigioco che prevede l’utilizzo di grimaldelli digitali, i digipick), sarà possibile sbloccare un grado ulteriore di quella abilità e violare casseforti via via più difficili; eliminando nemici utilizzando il boost pack, si sbloccheranno punti in grado di fornirvi più spinta con il vostro jetpack e così via.
Naturalmente la componente RPG non si esaurisce qui. Nel corso della vostra run potrete acquisire punti esperienza completando missioni, eliminando i nemici, scoprendo nuove aree, mappando pianeti o raccogliendo informazioni sulla loro flora e fauna, e con questi sbloccare nuovi punti abilità da investire nei cinque rami disponibili: Fisico, Sociale, Combattimento, Scienza e Tecnologia. Ognuno di essi sblocca abilità fondamentali come ad esempio la possibilità di utilizzare i propulsori sulle vostre navi, o di utilizzare un jetpack, di sviluppare poteri di occultamento ecc.
La progressione del gioco, insomma, è davvero immensa. Come Skyrim, anche Starfield infatti, non pone limite allo sviluppo del personaggio; potrete così decidere di intraprendere un certo percorso, ma poi accorgervi che il vostro stile di gioco necessita di alcuni cambiamenti e abilità e finire su una strada completamente differente da quella che avevate intrapreso inizialmente. Nemmeno i titoli di coda influenzeranno più di tanto il vostro percorso. Dopo la prima run potrete infatti continuare la vostra avventura senza limiti, attraverso un corposo NG+ che sblocca alcune interessanti caratteristiche che non vi sveleremo per evitarvi ogni spoiler.
La combinazione di questi due elementi, ovvero punti esperienza raccolti attraverso operazioni generiche e la meccanica che vi consente di migliorare un determinato parametro sulla base del suo utilizzo, non vincola il giocatore ad un certo stile di gioco preimpostato in partenza ma lo invita a giocare nel modo che gli è più congeniale e a provare nuove strade.
Per la nostra run iniziale, ad esempio, avevamo scelto di percorrere la via del Cyberpirata, ovvero un esperto di sicurezza che fa dell’approccio stealth il suo modus operandi. Nelle prime ore di gioco, tuttavia, l’assenza di armi che facessero al caso nostro, ci ha spinto ad un approccio agli scontri totalmente differente, molto più veloce e fisico, attraverso attacchi dall’alto con l’utilizzo del boost pack e dello shotgun. Questo approccio ci è piaciuto talmente tanto che nel corso del gioco abbiamo seguito un’altra strada sviluppando abilità connesse al fisico, alla tecnologia delle armi e così via.
Principio di autodeterminazione
Come tutti i giochi Bethesda anche il modo di affrontare una particolare situazione è influenzato dai tratti scelti e dal vostro stile di gioco: se siete tipi riflessivi e con le giuste abilità sbloccate nell’albero del sociale, potrete provare a persuadere un nemico a darvi le informazioni richieste selezionando la serie giusta di domande o risposte, oppure potrete farvi largo a suon di pallottole.
Le azioni che compirete – da paladino o rinnegato – potrebbero poi riverberarsi nell’ambito della missione in corso ma mai sull’intera trama di gioco. Se da un lato questo è un vantaggio, perchè vi permette di scegliere di volta in volta come affrontare una missione senza relegarvi ad un preciso stereotipo di buono o cattivo, dall’altro lato è un qualcosa che rompe in parte la sospensione dell’incredulità, permettendovi ad esempio di far parte di diverse fazioni anche in lotta tra loro, senza che questo causi alcun problema all’interlocutore che vi trovate di fronte, o di compiere azioni bieche e violente senza troppe conseguenze se non “il maggiore o minore gradimento” del vostro compagno.
Tuttavia, se il percorso di sviluppo del vostro personaggio non vi convince, non c’è altro modo che ricominciare tutto da zero: non c’è infatti (se non con l’utilizzo di mod) alcun modo di effettuare un respec, ovvero un azzeramento dell’assegnazione dei punti finalizzato alla loro riallocazione.
Quest balbettanti
Starfield favorisce un approccio totalmente libero alla vostra campagna, anzi, come abbiamo provato a raccontarvi nell’incipit di questa recensione, è proprio quando ci si allontana dalla main quest, che si scopre il valore della produzione Bethesda.
Una mega nave abbandonata nello spazio, o una stazione spaziale/parco divertimento per adulti, un dettaglio contenuto in un datapad, o una conversazione ascoltata per caso, potrebbero dare il via ad una rete di sottoquest che potrebbe impegnarvi per ore e molto spesso anche più interessanti della trama principale. Anzi a dir la verità, sono proprio quelle principali ad esserci apparse sottotono, con dialoghi piuttosto banali ed approfondimenti del tutto assenti.
Uno e trino
Il nucleo centrale dell’esperienza ludica di Starfield ruota attorno a tre elementi: lo shooting, l’aspetto manageriale e l’esplorazione spaziale.
Se ci si sofferma sul primo aspetto, non si può che apprezzare l’enorme lavoro svolto da Bethesda. Il gunfight è estremamente soddisfacente grazie ad un level design che consente molteplici approcci, da quello stealth, a quello armi in pugno e, grazie al boost pack acquista verticalità e spettacolarità, con qualche leggera incertezza solo per quanto riguarda le hitbox, non sempre precisissime. Questa componente è supportata da un vastissimo roster di armi, tute spaziali, caschi che farà la gioia anche di un amante degli FPS più duri e puri.
A ciascuna arma, tuta o casco, infatti, a prescindere dal livello di rarità (comune, raro, epico e leggendario), possono poi essere applicate un numero variabile di mods come silenziatori, caricatori maggiorati, riserve di ossigeno, sbloccando prima l’apposita ricerca tramite i laboratori e poi applicando le mod nei “banchi da lavoro” che potrete trovare nel QG di Constellation, in vecchi avamposti abbandonati o allestire direttamente sulla vostra nave o nelle vostre basi.
Queste attività richiedono l’utilizzo di preziose risorse, che possono essere recuperate durante l’esplorazione spaziale da comete, dagli shop, o attraverso la costruzione di avamposti sui pianeti visitati. Ma di quest’ultimo aspetto parleremo fra poco, quando affronteremo l’aspetto “manageriale” dell’opera Bethesda.
La gestione delle armi, e più in generale dei menù di gioco – ma questa è una costante dell’intera esperienza con Starfield – lascia invece molto a desiderare. Non è possibile, ad esempio, switchare direttamente alla successiva arma carica disponibile nell’inventario, se non accedendo alla ruota abilità. Il che vi costringe ad interrompere il flow dell’azione, entrare nel menù inventario e selezionare l’arma per la quae avete ancora munizioni, peraltro sempre molto scarse per le armi più avanzate. Neppure abbinare un’arma ad un comando rapido risolve del tutto il problema, poiché nella concitazione dello scontro, vi capiterà più volte di selezionarne una solo per accorgervi che siete a corto di munizioni.
Minatori spaziali
L’altro fulcro dell’esperienza Starfield è quella costruita dalla creazione degli avamposti e dalla costruzione di navi, di cui però parleremo nel successivo paragrafo.
Il giocatore ha la possibilità di creare avamposti sui pianeti al fine di raccogliere risorse utili per la ricerca di nuove modifiche per la propria attrezzatura, la creazione di farmaci e medikit, per la costruzione e l’ampliamento della propria nave, o semplicemente per il commercio. L’intera tavola periodica degli elementi è sparsa negli oltre 1000 pianeti presenti nel gioco e raccoglierli può diventare davvero un gioco nel gioco.
Come abbiamo detto si tratta di un’attività del tutto opzionale: i materiali possono essere infatti facilmente recuperati negli shop, visitando gli avamposti abbandonati e persino distruggendo navi nemiche e frugando tra i rottami spaziali. Eppure, così facendo vi perdereste una della attività più interessanti dell’esperienza Starfield.
Non sappiamo dirvi quante delle circa 80 ore passate su Starfield siano state dedicate alla costruzione di avamposti minerari, basi per i nostri compagni arredate di tutto punto, sistemi energetici efficienti. Anzi molto spesso durante il nostro playthrough ci siamo ritrovati più a pensare agli avamposti che alle queste vere e proprie.
Certo anche qui i problemi sono tanti. Bethesda non ha pensato ad esempio ad un sistema di commercio, che ci permetta, una volta estratti i materiali, di commerciarli in maniera automatica, magari assegnando un compagno alla gestione della base. Per farlo occorre raggiungere il pianeta, svuotare i container e poi manualmente venderli agli shop sparsi nella galassia.
In secondo luogo l’attività di estrazione mineraria, non ha davvero alcun peso nell’economia del gioco. Le risorse come dicevamo sono facilmente accessibili ovunque, e la loro vendita, vi frutterà davvero poco facendovi domandare più volte se lo sforzo fatto per creare basi efficienti e complete, valga davvero la pena.
In un certo senso è come se Bethesda avesse imbandito una tavola ricca di piatti prelibati e ricercatissimi, lasciandoci poi senza stoviglie, forse per l’esigenza di arrivare finalmente sul mercato, dopo dieci anni di sviluppo.
Spazio, ultima frontiera
Il terzo grande caposaldo dell’esperienza ludica di Starfield è quello dell’esplorazione spaziale. Sin dal suo annuncio Bethesda ci aveva fatto sognare l’epopea dell’esplorazione spaziale generando in tanti la convinzione che il titolo fosse essenzialmente un gioco basato su questo aspetto, arricchito, alla maniera di Bethesda, dalle altre componenti di cui vi abbiamo parlato.
In realtà non è proprio così.
Sgombriamo subito il campo dalle assurdità che abbiamo letto in giro, sul fatto che non sia possibile raggiungere il punto X o il punto Y navigando “a vista“ nello spazio. Come dimostrato anche recentemente, ciò è possibile ma non avrebbe alcun senso, soprattutto se si vuole mantenere una certa coerenza scientifica, nei limiti sia chiaro, in cui questa è possibile in un videogame sci-fi.
Non stiamo parlando di raggiungere Norsis da Blacklith (due località di Morrowind ndr.) ma di attraversare l’intera galassia per raggiungere un punto, raccogliere un indizio e poi spostarsi nuovamente in un altro sistema solare: un’operazione che nella realtà richiederebbe anni luce e che neppure in un videogame potremmo accettare di ridurre a pochi minuti o secondi.
Il sistema adottato per ovviare a questo problema però ha del tutto cancellato il piacere dell’esplorazione che invece era uno dei grandi valori dell’esperienza di Skyrim. In Starfield per muoversi da un punto ad un altro, che sia da un sistema solare all’altro o da un punto su un pianeta all’altro, non possiamo far altro che utilizzare il viaggio rapido. Si apre il menù, si passa attraverso alcune schermate, si seleziona il punto in cui si intende atterrare e si attende il caricamento mascherato da belle cutscenes.
Il problema non è solo il tempo necessario per attraversare un intero sistema solare, ma è di natura squisitamente tecnica; il Creation Engine 2 infatti, come vedremo più avanti nel paragrafo dedicato al comparto tecnico, opera attraverso la generazione procedurale di microaree, slegate le une dalle altre. Il caricamento di un’area, provoca lo scaricamento dell’altra e questo vale sia per le aree chiuse che per le aree all’aperto sulla superficie dei pianeti. Questo, peraltro, è il motivo per cui con molta probabilità non vedremo mai un mezzo di locomozione terrestre sul modello del Mako presente nell’indimenticabile Mass Effect, gioco di Bioware del 2010.
Quando si sceglie l’area in cui atterrare dalla mappa planetaria, infatti, il motore di gioco elabora in maniera procedurale un certo numero di microaree e manufatti, avamposti ecc.; una volta raggiunto il limite di quelle microaree è impossibile continuare, ad esempio a piedi, e l’unico modo per spostarsi da un’area all’altra è utilizzare nuovamente la mappa, cercare un nuovo punto di atterraggio e dare modo al sistema di elaborare le nuove microaree.
Ma non solo. E’ proprio il sistema delle mappe stellari ideato da Bethesda ad essere del tutto inadeguato. Selezionare un punto di atterraggio in un determinato luogo del pianeta è un’operazione frustrante visto il dettaglio limitatissimo che la mappa stellare consente di avere sul punto in cui atterrare.
Mettiamo il caso, ad esempio, che vogliate atterrare in un luogo preciso a cavallo tra due biomi, crateri e colline; l’unico modo per farlo sarà provare e riprovare a beccare il luogo giusto piazzando l’indicatore di atterraggio sulla mappa, solo per poi accorgervi, una volta atterrati, che il luogo è distante centinaia di metri e che raggiungerlo a piedi, è del tutto impossibile.
Questo in realtà non sarebbe neppure un gran problema se nel corso del viaggio dal punto a al punto b, ci fossero cose interessanti da fare, missioni secondarie o altro. Del resto questo era uno dei tanti punti di forza di Skyrim: si partiva per una quest e nel frattempo se ne incrociavano altre dieci che ci portavano su percorsi totalmente differenti.
In Starfield, invece, la generazione procedurale dei luoghi di interesse non fa altro che riprodurre sempre gli stessi luoghi, magari solo leggermente diversi per quanto riguarda la pianta planimetrica: avamposti abbandonati con silos, rottami di navi stellari, pannelli fotovoltaici e laboratori occupati da Spazianti, e solo raramente produrrà luoghi di interesse diversi, come quelli sulla luna terrestre, che, senza fare alcun spoiler, vi consigliamo caldamente di visitare. Le quest secondarie, invece, dovrete raccoglierle sempre e soltanto in specifici luoghi come Neos o Nuova Atlantide, girando per la città o rivolgendovi ai chioschi missione forniti dalle diverse fazioni a cui potete scegliere di appartenere.
In secondo luogo, è assente una mappa delle città o dei pianeti, cosa che potrebbe anche avere un senso per i pianeti inesplorati, ma è del tutto inconcepibile per città come Akila e Nuova Atlantide, giusto per fare un esempio (a tal proposito Bethesda ha annunciato che quest’ultime saranno per fortuna inserite in un prossimo DLC). Anche il sistema di orientamento a terra andrebbe totalmente rivisto poiché quella sorta di bussola dell’orologio Constellation (in basso a sinistra nell’hud di gioco) è francamente incomprensibile.
Decisamente più interessanti, invece, sono i combattimenti spaziali, e il sistema di commercio/costruzione/ampliamento navi.
Partendo proprio da quest’ultimo aspetto, l’editor è estremamente ben fatto e vi permette davvero di creare qualsiasi cosa vi passi per la testa. I componenti delle navi possono essere acquistati in appositi shop gestiti dai tecnici navali presso gli spazioporti, dalla vostra base costruendo un landing pad, oppure direttamente presso i cantieri navali delle compagnie operanti nello spazio di Starfield, come Deimos, Taiyo, Stroud-Eklund, Nova Galactic e HopeTech. Ciascuno di questi è situato in luoghi diversi dell’universo e da lì è possibile trovare pezzi unici e costruire la propria nave nella maniera che più ci aggrada.
Anche in questo caso, le ore che abbiamo passato nel costruttore di navi sono innumerevoli visti i tanti elementi disponibili, ciascuno diviso in tre classi che richiedono abilità particolari per poter essere utilizzati e che potrete sbloccare distruggendo navi nemiche o in maniera più veloce, superando l’esame di volo nel simulatore della UC colonies su Nuova Atlantide.
I dogfight, o combattimenti aerei, sono uno degli aspetti più riusciti di Starfield. Mutuando il sistema di controllo da giochi come Elite Dangerous, dovrete imparare a distribuire velocemente l’energia prodotta dal vostro reattore tra i diversi sottosistemi di bordo: motori, armamenti, scudi e, nei casi in cui lo scontro è impossibile, sui gravimotori che vi consentiranno di lanciarvi in un salto a curvatura che può significare la vita o la morte.
Una volta apprese le basi per pilotare efficacemente la vostra nave poi vi ritroverete costantemente ad andare alla ricerca di nuovi scontri, magari mettendovi a caccia della Flotta cremisi e della sua ciurma di pirati spaziali.
Comparto tecnico
Gran parte delle criticità che abbiamo segnalato nel corso di questa recensione, derivano dal comparto tecnico di Starfield. Non ci riferiamo all’aspetto visivo, che, anzi, in alcuni frangenti regala scenari di rara bellezza, mai visti in un videogame, o all’assenza di ottimizzazioni quanto mai necessarie (per la verità il gioco gira decisamente bene su GPU AMD un po’ meno su quelle NVIDIA vista l’assenza, almeno per il momento, del DLSS), ai tanti bug e glitch o ai frequenti crash (più frequenti con i processori AMD). Ci riferiamo, piuttosto, al motore che sta alla base di tutto, il Creation Engine 2.
La volontà di Bethesda di continuare ad utilizzare il suo motore di gioco proprietario, rilasciato nel 2011, si è rivelata davvero una pessima scelta. Il Creation Engine 2, infatti, sebbene recentemente aggiornato in occasione dello sviluppo di Fallout 76 e Starfield, presenta ancora imponenti limiti che lo rendono inadatto alla gestione di un moderno open world.
Il suo funzionamento è basato su “celle”, o microaree, che vengono caricate in sequenza quando il giocatore le attraversa. Ciò significa che per spostarsi da un’area all’altra, il sistema ha bisogno di caricare una serie di microaree e “scaricare” le altre. Questo si traduce in continue sequenze di caricamento, mascherate dietro cutscenes di decollo, attracco, salto gravitazionale ecc. o addirittura non mascherate affatto, ad esempio quando si apre il portellone dell’astronave o si apre la porta di un laboratorio abbandonato su un avamposto appena scoperto.
Neppure l’utilizzo di velocissimi dischi NVME 5.0 o 4.0, elimina la necessità del caricamento di tali aree, perché tale sistema è connaturato al funzionamento del motore di gioco. Se a ciò aggiungete che il gioco è essenzialmente strutturato intorno al movimento tra aree diverse (sistemi solari, pianeti, galassie) vi renderete conto che a lungo andare questi continui caricamenti diventano estremamente frustranti.
Un altro enorme problema è la presenza di menù raffazzonati privi di alcune funzionalità fondamentali. Tralasciando il fatto che i menù sono in 30fps quando l’intero gioco può girare tranquillamente a 60fps@1080/2k anche su configurazioni medie (3070, 7600XT ecc.) se si ha l’attenzione di utilizzare un dettaglio alto o medio (Ultra è assolutamente superfluo a queste risoluzioni, per Xbox Series X e Series S, vedasi il box più in basso), sin dai primi minuti di gioco vi troverete a lottare con un inventario che fornisce pochissime informazioni ad esempio sul peso degli oggetti (informazione fondamentale in qualsiasi RPG poiché in grado di influire sulla vostra capacità di spostamento), sul valore in DPS delle armi, con una mappa stellare che non fornisce un elenco dei pianeti esplorati, o un modo semplice per viaggiare tra i votri avamposti appena costruiti.
Capirete, quindi, che in un gioco in cui la gestione dell’inventario, l’esplorazione e la creazione degli avamposti è fondamentale, si tratta di una pecca molto grave.
Non a caso una delle mod per il gioco più scaricate su Nexus Mods è proprio quella che consente di migliorare in maniera impressionante la gestione dei menù, introducendo informazioni essenziali come massa, DPS, valori e la possibilità di ordinare gli oggetti sulla base di questi o del tipo di oggetti.
E per quanto riguarda Xbox Series X e Series S? Sebbene avessimo più di qualche dubbio, considerando che si trattava del gioco più grande che Bethesda avesse mai realizzato, c’è da dire che siamo rimasti davvero colpiti dal livello di cura e di ottimizzazione di Starfield sia su Xbox Series X che su Xbox Series S. Nello specifico – anche se non è possibile scegliere fra modalità Qualità e Prestazioni – graficamente parlando, il gioco si presenta – al netto di qualche evidente compromesso – piuttosto dettagliato. Il mondo di gioco è, in diverse occasioni e situazioni, interrotto (come su PC) da schermate di caricamento (mascherate da brevi animazioni) “fastidiose” eredità di passate iterazioni dello sviluppatore americano. L’altro “sacrificio” che si è reso necessario per garantire un’esperienza solida e sostanzialmente fluida, riguarda il frame-rate. Sia la Serie X e sia la Serie S raggiungono i 30 fps (con qualche lieve calo nelle situazioni più concitate e qualche scatto significativo soprattutto a New Atlantis), senza alcuna opzione per un frame rate più elevato. Detto questo, entrambe le versioni Xbox, offrono un’esperienza molto simile. Naturalmente ci sono alcune differenze ma risultano essere davvero di poco conto. In particolar modo, la draw distance su Serie S è leggermente ridotta così come alcuni elementi di “contorno” che invece si palesano solo su Serie X come paesaggi rocciosi e pietre in lontananza. Anche il fogliame è leggermente differente, con un livello di dettaglio decisamente più elevato su Serie X. Le texture, invece, (se guardate da vicino) sono praticamente identiche sulle due macchine. Si tratta, quindi, di caratteristiche che non modificano l’esperienza di gioco, sia che si stia giocando su Xbox Series X che su Serie S. Oltre alle sopracitate lievi differenze, le due console presentano due risoluzioni diverse. La Serie X raggiunge il 4K, mentre la Serie S gira a 1440p, grazie all’ upsampling FSR 2 di AMD. Ciò sta a significare che sulla Serie X, il gioco viene renderizzato internamente a 1440p, mentre sulla Serie S a 900p. Entrambe le console offrono una risoluzione comunque nitida e pulita. È possibile notare un po’ di aliasing – soprattutto su Serie S – nelle aree più dettagliate, mentre il motion blur fa un buon lavoro nel nascondere alcuni difettucci che altrimenti sarebbero chiaramente visibili. In definitiva dal punto di vista visivo (ma anche sotto quello tecnico), Starfield è un’ottima esperienza, senza compromessi o problemi evidenti su entrambe le versioni Xbox. Su Serie S, in particolare, gira meglio di quanto ci si sarebbe potuti aspettare.
Ma allora Starfield è un disastro?
Chi coraggiosamente si fosse avventurato nella lettura fino a questo punto, potrebbe dedurne che il nostro giudizio su Starfield sia assolutamente negativo. Eppure non è così. L’esperienza regalata dal gioco di Todd Howard, dopo quasi 80 ore, non ha ancora smesso di emozionarci. L’epopea spaziale promessa da Starfield forse non è quella che tutti noi, a torto o a ragione, ci eravamo immaginati, eppure il gioco continua ad esercitare un fascino che va al di là della passione per lo sci-fi. Starfield è un’opera colossale, mastodontica, forse anche troppo grande per un solo team di sviluppo che, sotto il peso delle sue ambizioni e delle sue idee, ha dovuto per forza di cose cedere qualcosa per strada. Eppure, giudicare il titolo di Bethesda come la somma dei suoi elementi sarebbe profondamente ingiusto e soprattutto sbagliato. Starfield è molto di più dei suoi tanti, troppi, difetti. E’ tanti giochi in uno, è l’idea seminale di un videogioco che prova davvero ad offrirci una realtà alternativa in cui immergersi per ore ed ore, ma che è limitato dai mezzi tecnici su cui questa idea è stata costruita. E’, forse, l’inizio di un nuovo straordinario franchise che ci accompagnerà negli anni a venire, o forse solo una meravigliosa opera incompiuta che siamo sicuri ispirerà giocatori e sviluppatori nel prossimo futuro. In ogni caso è un gioco che ogni appassionato del medium dovrebbe provare. For all Into the Starfield.