Aldo Cazzullo su ‘Io Donna’ invoca vaccini per i videogiocatori.
Il 26 Gennaio scorso Aldo Cazzullo ha scritto per il giornale “Io Donna”, nella sua personale rubrica – “Quello che gli uomini non dicono”- un breve articolo dal titolo “Troviamo un vaccino per i giochi elettronici”.
Quello che verrebbe immediatamente da dire è “era meglio che gli uomini non avessero parlato”, ma messa da parte la boutade, quello che scrive Cazzullo, per altro stimatissimo giornalista, rappresenta nient’altro che il via libera ad una nuova caccia alle streghe.
Le affermazioni ivi contenute sono tanto più gravi se si considera che lo spunto di riflessione è stato lanciato su una rivista che le donne amano e, soprattutto, il fatto che le giovani madri, pur consapevoli della comodità di affidare i propri i figli ai medium televisivi ed informativi, non amano però sentirsi dire che le loro scelte sono pericolose per i loro figli: non tanto perchè effettivamente lo siano, piuttosto perchè gli si muove un addebbito nella loro personalissima convinzione di essere madri perfette, con l’aggravante di averglielo spiattellato su di una rivista che dovrebbe contribuire a rilassare proprio parte di quel tempo sottratto all’educazione dei figli.
Il giornalista ricostruisce un quadro impietoso dell’arte videoludica mondiale, passa in poche righe dai marziani che compaiono sullo schermo, ad altri giochi “violenti, razzisti, orribili, suadenti, seducenti, affascinanti” i quali producono l’alienazione, al pari delle droghe, dei bambini e non consentono loro di dedicarsi “allo studio, alla letteratura, alla tv“, facendo sembrare loro spazzatura opere del cinema che andrebbero osannate perchè, in confronto ai videogames, sono “lenti e noiosi“.
A leggere simili considerazioni sovviene il ricordo dei nonni e delle madri degli anni ottanta che si esprimevano con lo stesso tenore nei confronti dei programmi televisivi per adolescenti, dei cartoni animati e della Tv nel complesso. La questione è risolvibile in termini di cultura dominante e di interpretazione del senso della vita. C’era più ‘educazione’ in un lungometraggio cartonato di Miyazaki che in tutti i cinepanettoni della storia recente, c’era più poesia in Neon Genesis Evangelion e Galaxy Express 999 che in buona parte dei libri posti in vendita nelle librerie italiane di fine secolo. Nè, l’aver dedicato ‘troppo’ tempo a simili sciocchezze, ha impedito a ciascuno di noi di conseguire un titolo di studio universitario, leggere la narrativa russa e francese del XIX secolo, leggere Dante, Boccaccio, Verga, Pirandello, Ungaretti, Montale, Pasolini oppure avere una propria opinione sulla politica piuttosto che sulla religione e sul senso dell’amicizia.
La verità è che la scuola non sopperisce più a queste esigenze, ed il tempo libero, che dovrebbe essere dedicato prevalentemente allo svago, necessita di un indirizzamento verso il completamento dell’uomo moderno. In questa prospettiva anche i videogames hanno la loro buona parte e non devono essere visti come il male assoluto da combattere con un vaccino. Non solo perchè non esistendo un vaccino dovrebbe essere inventato, con notevole dispendio di energia in danno di ricerche ben più serie, ma soprattutto perchè a memoria d’uomo non si ricorda una cura contro il piacere che non sia un’antidepressivo.
Il vero problema dell’intera questione è sempre lo stesso e si chiama moderazione. E’ chiaro che trascorrere 8 ore di fila davanti ad uno schermo televisivo, sia esso con proprietà passive come la Tv, che interattivo come nel caso dei videogames rappresenta un fattore di rsichio per la salute del bambino, non foss’altro per l’estrema eccitazione celebrale che provoca l’interattività e l’affaticamento della vista. Ma pensate a cimentarvi con 8 ore di calcio, 6 ore di tennis, 5 ore di corsa campestre, 4 ore di cinema oppure con le stesse 8 ore di lettura, capirete immediatamente che il vaccino più efficace è rappresentanto dalla lotta contro l’eccesso: non c’è bene nè profitto in 8 ore di lettura, come non c’è alcun bene in 8 ore di videogiochi, il discrimine non è in ciò che si impara, ma in ciò che non si fa in quel tempo, nell’uno e nell’altro caso.
Non basta neppure distinguere i giochi in “violenti e razzisti” ed in quelli “suadenti ed affascinanti” per operare una mitigazione del messaggio insito nell’affermazione “troviamo un vaccino per i giochi elettronici”, i videogames, per esperienza acquisita, hanno tutti un messaggio e forniscono tutti opportunità; dai più violenti ai meno caotici offrono “educazione”. E’ ovvio che ciascuna affermazione va contestualizzata. Prendete un bambino della periferia Milanese o di qualsiasi altra città, uno di quei bambini delle case “grigie” che non vede i genitori per dodici ore consecutive e che non può scendere in strada, come facevamo qualche anno fa, per giocare al gioco della campana piuttosto che a nascondino, questo ragazzo quante possibilità avrò di socializzare? E seppure riuscirà a trovare aggregazione con i coetanei quali pericoli dovrà affrontrare tra la droga, quella vera, la possibilità di diventare un emo o un truzzo qualsiasi?
Invece la console permette di ritrovare la socialità in un modo diverso, quello del terzo millennio che smaterializza assieme ai dati i sentimenti e li invia dall’altra parte del globo. Così accade che il dodicenne della provincia calabra o campana si ritrovi a discutere in un inglese rumoroso ed accanito con il coetaneo dell’Oregon per un disguido tecnico nella medesima squadra di “Halo”, come pure si trovi a discutere con il meno coetaneo francese su chi deve condurre la strategia di squadra in Killzone.
Tralasciando poi le opportunità di socializzare e di imparare lingua e comportamenti altrui nel gioco online, non vi è alcun dubbio che i videogames siano diventate vere e proprie operer d’arte e che abbiano superato il cinema al quale, anzi, hanno regalato più di uno spunto. Meravigliose opere videoludiche quali Tomb Raider, GTA, Shenmue, Resident Evil, Halo, Final Fantasy, i vari giochi di calcio e di sport in genere, hanno mostrato a milioni di giovani uno spaccato della società, ha permesso loro di tenersi compagnia nel modo nuovo che i tempi impongono senza mai consentire loro l’alienazione di cui la droga è totalmente responsabile.
Ciò che fa più male per la verità, al di là del riferimento ad un vaccino o magari ad un rogo per i nuovi stregoni digitali è proprio l’accostamento al termine droga come se lo stato in cui i videogames lasciassero i bambini fosse lo stesso prodotto dalle sostanze stupefacenti. Il messaggio successivo, in una equivalenza di significati, sarebbe un’invito alla morte giustificata dall’ indifferenza delle scelte. Un simile messaggio non può e non deve passare.
Per Cazzullo e per tutti quelli che la pensano come lui il consiglio è quello di trascorrere qualche ora del proprio tempo in compagnia di titoli quali Mass Effect, Heavy Rain, Shenmue e poi operare un confronto tra la letteratura mondiale contemporanea ed il messaggio offerto in questi titoli, tra le composizioni musicali radiofoniche e quelle offerte nei videogames, tra l’esperienza quotidiana e quella onoricamente ludica a cui ci costringono i videogiochi. Se l’esperimento non dovesse fornire una cifra positiva nella defferenza tra esperienza acquisita e tempo trascorso sarete autorizzati a cercare non un vaccino, ma un vero e proprio antitodo contro i videogiochi ed i loro utilizzatori, pur nella consapevolezza che fin’ora il mondo non ha mai visto un antitodo nè un vaccino in grado di fermare il progresso.