Recensione Stalker

stalker_thumbStalker (Сталкер), film fantascientifico del 1979 diretto da Andrej Tarkovskij, ispirato al romanzo “Picnic sul ciglio della strada” di Arkadij e Boris Strugackij.

Un intellettuale e uno scienziato, chiamati “Scrittore” e “Professore”, si avventurano nella “Zona”, un luogo isolato da un cordone di sicurezza governativo, in cui nessuno osa spingersi.

La zona è descritta come uno spazio in cui tutto è sconvolto, in cui sono sovvertite tutte le leggi fisiche della realtà per come la conosciamo. Si dice che in questa zona vi sia una stanza nella quale si avverano i «desideri più intimi e segreti». Non è però impresa semplice raggiungere quella stanza, quindi i due si fanno guidare da un individuo specializzato: uno stalker. Dimenticate il tradizionale significato dispregiativo che si dà alla parola, qui stalker significa altro. Forse, per certi versi, potreste rifarvi all’acronimo utilizzato nel gioco omonimo: Scavengers – sciacalli, Trespassers – trasgressori, Adventurers – Avventurieri, Loners – Solitari, Killers – Assassini, Explorers – esploratori, Robbers – Rapinatori. Soltanto per alcuni aggettivi però!

A proposito, visto che l’ho accennato, perché non nominarlo del tutto… del film di cui vi sto parlando è uscito addirittura un videogioco, “S.T.A.L.K.E.R.”, in tre capitoli: il primo, Shadow of Chernobyl”, che riprende ambientazione, personaggi e storia dal film con l’aggiunta del riferimento a Chernobyl; il secondo, Clear Sky, uscito nel 2008; e il terzo, Call of Pripyat, nel 2009. Si tratta di un gioco, a mio avviso, fantastico, perché fonde perfettamente lo sparatutto al gioco di ruolo: si gioca spaziando piuttosto liberamente con i personaggi, si affrontano ferite, malattie, fame, ecc., si attua persino un vero e proprio commercio di scambio per armi. Adesso però torniamo al film… Ve lo dico, questo è un film difficile, uno di quei polpettoni ricchi di riflessioni esistenziali, in cui la sceneggiatura potrebbe benissimo essere stata scritta da un filosofo: i dialoghi sono tanto brillanti da lasciare mozzafiato per la mole di questioni risolte con una sola parola e mortificate con la parola seguente. Si affronta la vita tout court, si prende di petto l’uomo, si dice chi è l’uomo, cosa ci aspettiamo che sia e cosa invece è, cosa dovrebbe essere (forse). Si stigmatizzano nei vari personaggi le maggiori linee di pensiero, riassumendo in caratterizzazioni perfette e vive (per nulla macchiettistiche) orizzonti diversi.

Quindi, se siete tra quelli che si chiedono il perché della vita, se non siete al mondo semplicemente per mangiare patatine davanti l’ultimo film divertissement (con buona pace delle patatine), allora prendete coraggio e vedete questo film. Non ve ne pentirete. Non bastasse la sceneggiatura, che è tra le migliori che abbia mai visto, si aggiunge un perfetto binomio fotografia-regia che riesce a riportare la paura e l’angoscia di immagini che prese di per sé non avrebbero il senso che, invece, assumono in quel mix estatico di mondi fantasiosi che restano verosimili: come quelle dune di deserto piazzate d’improvviso dentro un edificio, naturali e irreali al tempo stesso; oppure come l’incanto di una sterpaglia che sembra mossa da chissà quale concatenazione incomprensibile, causalità che ride in faccia a se stessa. Uno rapito da queste ambientazioni funamboliche, sempre pronte a precipitare e precipitarvi, sapete chi è stato? Niente poco di meno che Lars von Trier che ha dichiarato di essere stato ispirato da Tarkovskij in più di un’occasione.

Non siete ancora convinti?

Magari riuscirò a farlo attraverso una disamina pezzo per pezzo dell’intero film. Buona lettura e/o buona visione!

Analisi dettagliata del film:

I due personaggi fondamentali non potrebbero essere più opposti, uno scrittore e un professore litigano su quale delle due attività sia da preferirsi.

“Scrittore-A: Lei di che cosa si occupa? Chimica?

Professore-B: No, sono un fisico.

A: Noioso anche questo: la ricerca della verità, si nasconde e voi scienziati la cercate ovunque, scavate un po’ qua e un po’ la. Scavate in un posto e ualà l’atomo e formato da protoni. Scavate in un altro posto ed eureka! Il triangolo a b c è uguale al triangolo a1 b1 e c1. Per me è molto diverso. Anch’io scavo cercando la verità ma nel frattempo le succede qualcosa, si modifica, e così io al posto della verità trovo un gran mucchio di… o pardon non dirò di che.”

Inizialmente sembra che lo scrittore si sia avventurato per cogliere l’ispirazione, poi si smentisce.

“A: Quello che le ho detto prima professore è tutto una balla. Me ne frego dell’ispirazione e poi come potrei dare un nome esatto a quello che voglio o anche come potrei sapere che in realtà non voglio quello che sto cercando e potrei aggiungere che io davvero non voglia quello che non voglio. Sono tutte cose impercettibili. Basta dargli un nome e il loro significato scompare come una medusa al sole. Le ha mai viste lei? La mia coscienza vuole la vittoria dei vegetariani nel mondo ed il mio subconscio langue per una fetta di carne saporita. Ed io cosa voglio, io?

B: Ma il dominio del mondo.”

Si palesa qui la distanza tra le due menti, due modalità differenti di leggere la realtà, si scontrano a più riprese nel corso del film. “A: Supponiamo pure che io entri in quella stanza, divento un genio e torno nelle nostre città dimenticate da Dio, mi segue? Ma l’uomo scrive soltanto perché si tormenta, perché dubita e perché deve continuamente dimostrare a se stesso e agli altri che davvero vale qualcosa. Ma se sapessi con certezza di essere un genio perché dovrei continuare a scrivere? Me lo sa dire il perché?”

Evidente è una concezione dell’arte come generata da un disagio, da un tormento, dalla situazione esistenziale propria dell’uomo. Tolto questo tormento, la paura è che svanisca l’Arte, che non abbia alcun senso scrivere. Difatti questo orribile presagio è seguito da un’apologia enfatica dell’artistico, del creare disinteressato, contro tutto quanto c’è di scientifico tecnologico, rappresentato dal professore.

“A: In ogni caso tutta questa vostra tecnologia, tutte queste fabbriche e marchingegni e tutto questo agitarsi affannosamente per poter lavorare di meno e mangiare di più, non sono che stampelle, protesi. L’umanità invece esiste per creare, per creare opere d’arte. Questo per lo meno è disinteressato, a differenza di tutte le altre azioni umane. Grandi illusioni, fantasmi sfuocati della verità in assoluto. Ma lei professore mi sta ancora ascoltando?

B: Ma di quale disinteresse sta parlando? Con tutta la gente che muore ancora di fame, ma dove vive? Nelle nuvole?

A: E questa sarebbe la vostra aristocrazia del cervello? Voi non sapete pensare in astratto.

B: Spero che non presuma di insegnarmi qual è il vero senso della vita? E nello stesso tempo a pensare.

A: Sarebbe inutile, lei sarà forse professore ma è ignorante.”

Quello che inizialmente non si comprende è il motivo che spinge invece lo scienziato, il fisico. Il terzo individuo, lo stalker, non ha mai visitato la stanza, il suo intento non è di realizzare i suoi desideri. Lo scrittore ipotizzerà una motivazione: “Te ne freghi tu della gente.Tu guadagni soldi sfruttando la nostra angoscia. Sì, la nostra angoscia, e non è neanche una questione di soldi. E’ perché tu qui te la godi, sei signore e padrone. Tu, verme pidocchioso decidi chi deve vivere e chi deve morire. Sceglie, decide. Finalmente sono riuscito a capire perché voi stalker non entrate mai nella stanza. Ma perché? Qui vi ubriacate di potere, di segreti, di autorità. Quali altri desideri ci possono essere?”.

Importantissimo il dialogo che seguirà in cui si mostrerà tutta la fragilità dello Stalker e l’intuitività dello scrittore che coglierà un elemento fondamentale.

“No, non è vero, non è vero. Lei si sbaglia. Uno stalker non puo’ entrare nella stanza, uno stalker per se stesso non puo’ chiedere niente, niente. Ricordatevi del porcospino”. Il porcospino era il maestro dello stalker. Il Porcospino decise di entrare nella stanza con lo scopo di esprimere il desiderio di resuscitare il fratello, morto per colpa sua nel cosiddetto “tritacarne”, il passaggio più difficile della zona, ma la stanza, che avvera i desideri più intimi e profondi, invece di ridare la vita al fratello, donò al Porcospino enormi ricchezze.

“Scrittore-A: Tu secondo me sei semplicemente folle, tu non hai nessuna idea di cosa succede qui. Perché, perché secondo te si è ucciso il porcospino? Stalker-B: È venuto nella zona per uno scopo suo ed ha ucciso il fratello nel tritacarne per denaro.

A: Fin qui tutto è chiaro ma perché poi si è impiccato? Perché non è tornato nella Zona e stavolta non per i soldi ma per suo fratello? Si è pentito?

B: Non lo so, voleva, ma dopo pochi giorni si impiccò?

A: Qui capì che non si realizza qualsiasi desiderio ma solo i desideri più nascosti, i più segreti. Non quelli urlati a squarciagola. Qui si avvera solo ciò che incarna la tua natura, la tua essenza, di cui non sei cosciente, pur portandola dentro di te ma che comunque ti domina sempre. Non hai capito niente calzone di cuoio. No, il porcospino non è una vittima dell’avidità. Si trascinò qui in ginocchio implorando la grazia per il suo fratello ed ottenne una montagna d’oro, perché era questo che desiderava nel suo intimo. Date al porcospino ciò che è del porcospino, coscienza, tormenti spirituali, tutte cose inventate dal cervello. Lui lo capì e si impiccò. Non andrò nella tua stanza, perché non voglio vomitare in faccia a nessuno lo schifo che ho dentro di me, neanche in faccia a te, per poi impiccarmi come il porcospino. Meglio crepare alcolizzato nella mia puzzolente stamberga, ma tranquillo e in silenzio.”

A mio avviso lo scrittore non ha compreso, per lo meno inizialmente, ciò che muoveva davvero lo Stalker, però ha ben compreso cosa ha mosso il Porcospino. In quella attenta analisi pessimistica della realtà dell’uomo, su cosa muove veramente la coscienza, c’è però un fondo, un barlume che si è acceso nella mia mente. Lo scrittore conosce la sua natura, sa che abbandonandosi ad essa getterebbe in faccia all’umanità tutto il suo marcio e lo farebbe per un suo profitto personale, ne trarrebbe giovamento, chissà, forse ricchezze. Eppure, sia lui che il porcospino, reagiscono a questa situazione, in un modo o nell’altro.

Banale è ricordarvi che il tutto va letto metaforicamente. Vorrei però sottolineare ancora l’importanza di questo passo. Per quanto l’essere umano sia per natura costretto nei suoi desideri più nascosti a fremere per ricchezze ed egoismi, c’è qualcosa che gli fa ripudiare tutto questo, che gli fa disprezzare la sua natura, che lo fa reagire contro essa, facendolo rinunciare a dei beni per sé. Nel nostro quotidiano spesso denunciano la falsità di comportamenti coscienziosi, cauti, oserei dire delicati. La denunciamo perché non ci sembra conforme alla nostra natura. Ebbene, personalmente credo che questa sia la grandezza dell’essere umano, la possibilità di ergersi al di sopra dell’egoismo che lo connatura, la ribellione direbbe Camus.

In definitiva: forse fa veramente schifo quest’umanità, forse quella stanza che ci farebbe da specchio ci girerebbe l’immagine di uomini meschini, egoisti, avidi… però… il fatto è che noi non vogliamo esserlo, ripudiamo quello che siamo, ne soffriamo, lo rinneghiamo. Forse, è vero, non siamo una bella umanità però possiamo sforzarci di esserlo.

Oltre questo, ho letto in questo film anche una chiara matrice religiosa. C’è un riferimento a un passo biblico in cui Gesù si accompagna a due uomini che conversano sulla vita e non si accorgono di lui, che è Lui. Non è un caso che questa citazione avvenga per bocca dello Stalker, è come se si sentisse un inviato, con la vocazione di raccogliere tutti i miserabili sotto la sua miseria e con un’attenzione sofferente alla preghiera, al credere che ha abbandonato le nostre menti. “Stalker-A: E pretendono pure di essere intellettuali, questi scrittori, scienziati… non credono più a niente. L’organo con il quale crediamo gli si è atrofizzato, tanto non ne hanno bisogno. Dio mio che gente. Moglie dello Stalker-B: Sta calmo, sta calmo, non è colpa loro, non bisogna arrabbiarsi, vanno compatiti.

A: Tu non li hai visti, hanno gli occhi vuoti. Pensano soltanto a come tenere alto il loro prezzo, a come rendersi più cari, a farsi pagare tutto, anche ogni moto dell’anima. Pensano di avere una missione da compiere, una vocazione, e che si vive una sola volta. La gente così può credere a qualcosa? Nessuno crede più, non soltanto quei due, nessuno. Chi può sopportare la… o Signore, e la cosa peggiore è che non serve a nessuno, a nessuno serve quella stanza. Tutti i miei sforzi sono inutili.” Anche il monogo della moglie, a fine film, affonda in una somiglianza con Cristo. L’essere disprezzato, allontanato dalla società, il condannato a morte, l’errabondo che però si fa amare. La difficoltà di abbracciare un simile individuo, l’infinita amarezza della fede, eppur felice.

“Moglie dello Stalker: “La gente rideva di lui e lui era così smarrito poverino. Mamma mi diceva è uno stalker, un condannato a morte, un eterno carcerato. E i bambini? pensa ai bambini degli stalker. E io, io non volevo nemmeno discutere. Ma io lo sapevo benissimo che era un condannato a morte, un eterno carcerato e anche dei bambini. Ma che cosa potevo farci, io ero sicura che insieme a lui sarei stata bene. Sapevo che avrei avuto tante amarezze, ma è meglio una felicità amara che una vita grigia e noiosa. Beh questo devo essermelo immaginato dopo. Allora egli si avvicinò a me e disse semplicemente queste parole: ti prego, vieni con me. Andai. E non me ne sono pentita e non ho mai invidiato nessuno, mai, in nessun momento della mia esistenza. Il destino è fatto così, così è la vita, così siamo noi. E se nella nostra vita non ci fosse dolore non sarebbe meglio, sarebbe peggio. Perché allora non ci sarebbe la felicità e la speranza. Ecco”.”

Questo film riflette la religiosità di Tarkovski, i dubbi, i tormenti, la pericolosità di un percorso silenzioso. Lo Stalker annuncia la difficoltà del viaggio per giungere alla stanza, ma non si intravede nessun pericolo effettivo, è solo nei loro occhi, nelle loro paure. È l’uomo, nel suo essere costituito in quanto tale, a essere in pericolo perché è uomo, soggetto ai fremiti della sua natura.

Cristo venne e disse: “Venite tutti a me voi che siete affaticati ed oppressi ed io vi ristorerò”. Come fece ben notare Kierkegaard, quale sorpresa che quell’invito esca dalla bocca del più miserabile, di chi più di tutti sembrerebbe aver bisogno di aiuto. La scelta è di credere o meno, il bivio spalancato sul precipizio dello scandalo, che proprio quell’uomo miserabile sia Dio, che Dio sia quell’uomo, ultimo tra gli ultimi. La scelta ti spinge a specchiarti in lui, nella tua decisione vedere te stesso, a leggere la tua anima, i tuoi più segreti ed intimi desideri. Tutto quindi non poteva che sboccare nella decisione finale, entrare o meno, umiliarsi per credere? Il Professore ha portato con sé una bomba e vuole distruggere la stanza per prevenire l’uso indiscriminato e devastante dei suoi poteri: “Finché questa piaga rimarrà aperta a qualsiasi canaglia non avrò pace”.

Ecco il vero motivo, distruggere la possibilità, lo specchio, per evitare che a riflettersi siano gli orrori della natura umana. Eliminare il bivio, estirpare la fede che viene concepita come la responsabile dell’orrore conseguente alla scelta. La decisione verrà abbandonata. Eppure i due uomini non riusciranno ad entrare nella stanza, a rapportarsi con il credere.

La sofferenza dello Stalker sarà grande per questo, lui che tanto ha sacrificato la sua vita, tutto, per condurre i miserabili alla stanza, lui soffrirà perché tutti infine lo abbandoneranno, tutti si scandalizzeranno, nessuno avrà fede.

“Amo gli occhi tuoi amica mia,
il loro gioco splendido di fiamme.
Quando li alzi all’improvviso
e con un fulmine celeste
guardi veloce tutto intorno.
Ma c’è un fascino più forte,
gli occhi tuoi rivolti in basso
negli attimi di un bacio appassionato
e fra le ciglia semichiuse del desiderio
il fumo e fosco fuoco.”

Al termine, la splendida poesia di Fëdor Ivanovič Tjutčev, Dull flames of desire, a sottolineare la commistione del desiderio, del basso, con l’amore.

Curiosità: la poesia è stata ripresa dalla cantante islandese Björk nell’omonima canzone.

Commento finale

Alla fine la figlia paralitica dello Stalker, ammalata per via della Zona, mostrerà le sue capacità paranormali spostando alcuni bicchieri posti su di un tavolino e facendone cadere uno. Il tutto sarà seguito dai sussulti dell’ambiente al passare forse di un treno. L’abile regista ci ricollega così all’inizio, dove tutti sono dormienti, compresa la bambina, e il treno passa, il tavolino trema, eppur il bicchiere non cade. Forse ci suggerisce che l’uomo possiede qualcosa in più, qualcosa che gli permette di agire sul circostante, e sulla sua stessa natura; qualcosa che invoca una scelta e che può cambiare le sorti degli eventi portando ad una, seppur miserabile, vittoria. Non a caso l’evento è accompagnato dall’ Inno alla gioia.

Le musiche: Bolero di Maurice Ravel, Tannhäuser di Richard Wagner, Sinfonia n. 9 di Ludwig van Beethoven.

Durata: 2.35.00 minuti di capolavoro.

Voto Globale 90


Il film è disponibile in DVD.

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