Recensione Metro: Last Light

Il perfetto “more of the same”

Metro: Last Light si presenta come un esperienza dalla forte tendenza cinematografica completamente lineare. Tale linearità però, che ci condurrà dall’inizio alla fine del gioco alternata da microsezioni esplorative, non si fa assolutamente sentire proprio grazie alla intelligente gestione del ritmo di gioco e alle tante situazioni variegate in cui ci ritroveremo. Come nel predecessore, si spazia da situazioni claustrofobiche negli oscuri tunnel della metro a tranquille passeggiatine nelle diverse stazioni, cercando di approfondire la situazione sociale di questa Mosca post-apocalittica, ascoltando le conversazioni della popolazione sopravvissuta agli attacchi atomici e catturare tutte le loro paure, la loro disperazione nell’aver perso dei cari – come bambini che aspettano ancora il ritorno della loro mamma e che non rivedranno mai più. Scenari emotivamente toccanti si miscelano ad altri istruttivi che cercano di dirci “Stiamo distruggendo il nostro mondo, una terra meravigliosa piena di colore e bellezza…la stiamo distruggendo con le nostre stesse mani”.

Un problema che torna anche in Metro: Last Light però, è quello della scarsa interazione in queste stazioni, dove potremo soltanto parlare con venditori di armi per comprare anche potenziamenti o munizioni e interagire con diversi oggetti dall’inutile importanza. Lo shooting è rimasto pressochè invariato, ma ci sono delle novità.

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Artyom può portare con sé solo tre bocche da fuoco di diverso tipo, che devono essere scelte con cura in base al nostro stile di gioco. E’ preferibile scegliere almeno un arma silenziata per agire in stealth, un fucile d’assalto per gli scontri ravvicinati e lasciare il terzo slot per un arma più devastante e lenta da ricaricare o a lungo raggio. Ad aggiungersi alle tre armi principali, ci sono anche quattro tipi di armi secondarie attivabili da un menù apposito che fa entrare il gioco in una specie di slow motion per dar tempo al giocatore di selezionare l’arma di cui ha bisogno: utile soprattutto negli scontri più accesi. Tra queste armi ne troviamo tre da lancio, ossia coltelli, dinamite e bombe incendiarie, e una da posizionamento a terra, le Claymore, molto utili come “trappole” negli scontri con grossi mutanti o quando siamo inseguiti da una discreta mandria di nemici in grado di metterci in difficoltà. Last Light ha un gameplay molto strategico e sparare all’impazzata non è mai un buon consiglio perchè, se nelle scene iniziali trovare munizioni si rivela piuttosto semplice, tutto cambia arrivati nel vivo del gioco dove per trovarle dovremo esplorare i minimi angoli delle mappe. Rinnovato anche l’utilizzo della maschera antigas nelle sezioni all’ aperto, finalmente molto più interessanti e tra le più riuscite dell’intera produzione, anche se sempre molto lineari e limitate in quanto ad esplorazione, ad esempio da pozze d’acqua radioattiva. Ora la maschera di Artyom, oltre che a rompersi durante i combattimenti, si sporca di schizzi di sangue, di acqua, di sporcizia e viene addirittura infestata da mosche negli ambienti al chiuso. Tutto ciò può mettere in difficoltà il giocatore durante gli scontri perchè va a gravare sulla visibilità e dobbiamo quindi pulirla ogni tanto con l’apposito tasto. La maschera rappresenta, come nel primo, un elemento da videogioco survival perchè utilizza dei filtri a tempo – ognuno dura cinque minuti – e ci spinge molto all’esplorazione per trovare tali oggetti prima che Artyom rimanga senza ossigeno, situazione caratterizzata da una respirazione affannosa, dalla vista offuscata e da un bip trasmesso dall’orologio al nostro polso. Parlando proprio dell’orologio, esso permette al nostro eroe di capire se è nascosto nell’ombra fuori dallo sguardo dei nemici tramite una luce emessa dallo stesso. Lo stealth è una componente alquanto fondamentale in Metro: Last Light, ma purtroppo minata da alcune mancanze e deficienze. E’ importante spegnere le fonti di luce per rimanere al buio e stare attenti al cono luminoso emesso direttamente dalle torcie nemiche per poi attaccare gli avversari da dietro tramite colpo fatale o stordente o al massimo utilizzando una pistola silenziata per non far rumore. Il design in questi casi ci aiuta molto essendo ben progettato e nelle zone ampie molto ben elaborato, ma purtroppo tutto viene minato da due cose molto importanti in uno stealth: la mancanza di un tasto per spostare i corpi dei nemici storditi in punti dove le routine nemiche non arrivano – così si finisce per allertare sempre qualcuno – e cosa fondamentale proprio le routine e l’intelligenza artificiale dei nemici umani che, a differenza dei mostri, è molto basilare e poco reattiva.

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A difficoltà normale notiamo nemici che appena si allertano cominciano a spostarsi in modo confuso o in fila indiana, ci seguono verso un angolo oscuro dove eliminarli uno ad uno molto semplicemente e inoltre sembra che stando nell oscurità e passandogli vicino non avvertino la nostra presenza…in poche parole basta restare nell’oscurità per non essere ne uditi ne visti. La loro stupidità sminuisce molto la componente stealth portandoci, in alcuni casi, a uno scontro più diretto e violento. Ritorna anche la torcia con batteria ricaricabile che ci aiuta nei combattimenti con alcuni mostri soggetti alla luce e per illuminarci la strada nei tetri tunnel, ma è rintracciabile dal nemico se mantenuta accesa nelle zone sorvegliate. La varietà di mostri anche è molto buona e ognuno ci spinge ad un approccio diverso e strategico a seconda dei suoi punti deboli.

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