Non siete i soli su quella montagna.
Versione testata: PlayStation 4.
In qualità di amante del genere horror, devo purtroppo cominciare parlando di un dato di fatto che forse tanti di voi condivideranno con me: dare ai film odierni l’appellativo di “horror” è una parola grossa, davvero. “Non ci sono più i capolavori cinematografici di un tempo”, direbbero quelli più attempati. Quel filone della cinematografia integralmente votato ad incutere terrore ed ansia nello spettatore è scomparso, ha ceduto il passo alle solite storie di presenze, fantasmi e possessioni demoniache, ognuna scopiazzata dall’altra e rigirata in tutti i modi possibili e che, inevitabilmente, si traducono in film che il più delle volte scadono nel ridicolo.
Questione di gusti direte, e forse è così, ma siamo sinceri: davvero possiamo paragonare capolavori horror del calibro di Halloween di John Carpenter, Psycho del grande Alfred Hitchcock, Non Aprite Quella Porta, Shining e compagnia bella con quello che passa in giro da oramai 10 anni a questa parte? Certo, il plot, in fin dei conti, è sempre lo stesso: uno spietato serial killer vi entra in casa, in piena notte, e voi siete soli… ok, ho già i brividi. Quello che voglio dire, però, è che l’idea del male rappresentato da una entità in carne ed ossa, almeno nel mio caso, è decisamente più spaventosa di un fantasma incazzato per non si sa quale motivo.
Passiamo al medium videoludico. Il filone, nel campo dei videogames, dopo un periodo piuttosto piatto sta conoscendo una nuova età dell’oro, sebbene l’etichetta survival horror/horror molto spesso sia attaccata anche a titoli che di terrificante hanno ben poco. Negli ultimi tempi sono stati davvero pochi i giochi in grado di trasmettermi ansia, tensione e almeno un minimo di terrore. Ci era riuscito un po’ Daylight, anche se puntava principalmente sui jump scares e si basava sempre su presenze oscure e non su serial killer in carne ed ossa, ma per il resto, il nulla. Ammetto quindi che mi sono avvicinato a questo Until Dawn con molto scetticismo. Ben presto ho dovuto ricredermi: sin dai primi minuti, l’esclusiva PS4 sviluppata dai ragazzi di Supermassive Games mi ha lasciato intravedere un barlume di speranza per un videogioco horror come lo intendo io.
Era una notte buia e la bufera faceva da padrona…
Otto amici decidono di organizzare un weekend in uno chalet di montagna in pieno inverno per commemorare la scomparsa di due amiche accaduta l’anno precedente. Quella che però doveva essere una tranquilla serata di racconti e “pomiciate” si trasformerà in un incubo. In quel luogo che credevano abbandonato è in realtà in agguato un pericoloso serial killer. La storia, detta così, ricalca perfettamente tutti i cliché dei vecchi film horror visti e rivisti almeno una volta nella vita. Eppure, il gioco offre qualcosa in più, qualcosa che nei videogiochi non si vede da tempo: sarà veramente all’altezza dell’appellativo “horror game” spiattellato dal publisher in tutte le salse?
Benvenuti a Blackwood Pines.
Come ogni buon fan degli horror, ho atteso la notte per cominciare Until Dawn in modo da essere immerso nell’atmosfera adatta, accompagnata dal silenzio, da una lieve sensazione di paura e di tensione. Emozionato come non mai, finalmente avvio il gioco e non appena mi ritrovo nel menu principale, sono già bloccato. No, non a causa di freeze o crash, ma per godimento personale (che sarà anche vostro, fidatevi): il benvenuto dato dal viso della splendida Hayden Panettiere, che interpreta Sam, mi fa quasi fatto l’effetto dello sguardo di Medusa. Oltretutto, ho la possibilità di far muovere testa ed occhi con la levetta analogica destra così come sarà possibile all’interno del gioco con qualsiasi altro personaggio semplicemente restando fermi per un po’. Mi è bastato questo piacevole approccio per comprendere come Supermassive Games abbia lavorato duramente alle animazioni facciali, che definirei impeccabili e davvero realistiche.
Per deformazione professionale spulcio sempre il menu principale dei videogiochi che provo, per piacere o per lavoro, pronto a scovare qualcosa di particolare di cui non mi ero accorto. Con Until Dawn ho avuto una “doppia sorpresa”, potrei dire. Quasi in risposta al mio pensiero sulle animazioni, il team ha inserito dei contenuti bonus sbloccabili proseguendo nel gioco che mostrano diverse fasi dello sviluppo e che meritano di essere viste per rendersi conto della cura riposta nella realizzazione di Until Dawn e di come sia importante l’effetto ansia/paura in un horror. Ma l’elemento più apprezzabile è sicuramente la possibilità di scegliere il doppiaggio in lingua originale nelle impostazioni, così da soddisfare anche coloro che preferiscono non perdersi nulla dell’interpretazione attoriale originale, sebbene il doppiaggio in italiano di Until Dawn sia ottimo e ogni persona che ci ha lavorato dietro si è perfettamente calata nella parte, riuscendo a trasmettere brillantemente le sensazioni dei protagonisti.
Detto ciò, dopo aver passato parte della mia esistenza a consumare il viso di Sam, inizio l’avventura e vengo catapultato subito in una scena abbastanza confusa, che sfocia poi nel gameplay vero e proprio ed elimina la confusione iniziale. Arrivato allo chalet, fra una folata di vento gelido ed un brivido, nel giro di poco tempo faccio la conoscenza degli otto personaggi giocabili: Ashley, Sam, Chris, Josh, Mike, Jessica, Matt ed Emily, tutti adolescenti con la sola voglia di passare un weekend di divertimento (e anche di sesso, diciamocelo) senza pensieri per la testa. Presto conosco anche l’analista, personaggio che inizialmente mi spiazza, non capendo cosa voglia e che mi fa alcune domande riguardanti le mie paure o altri argomenti, proprio come se stesse parlando con me dal vivo e volesse comprendere la mia psiche.
Il cast d’eccezione che vanta Until Dawn mi rende ancora più sicuro sul fatto di vivere un’esperienza di alto livello, grazie alla presenza fisica di attori reali più o meno famosi che mettono in campo le loro doti recitative:
- Hayden Panettiere nei panni di Sam
- Rami Malek nei panni di Josh
- Noah Fleiss nei panni di Chris
- Jordan Fisher nei panni di Matt
- Nichole Bloom nei panni di Emily
- Brett Dalton nei panni di Mike
- Galadriel Stineman nei panni di Ashley
- Meaghan Martin nei panni di Jessica
- Peter Stormare nei panni dell’analista
Entrato da una finestra dello scantinato della baita a causa del pomello della porta principale congelato dal freddo pungente, mi faccio strada fino all’ingresso per aprire ai miei amici. Durante il tragitto, però, sento correre dei brividi lungo la schiena, ho la sensazione di non essere solo. O forse sono solo i rumori e l’oscurità che, insieme, giocano brutti scherzi. Arrivato nell’ampio salone, finalmente tiro un sospiro di sollievo e apro la porta per la gioia di tutti quanti, che entrano frettolosamente per trovare riparo da quel freddo glaciale.
Scopro poi che ciò che caratterizza i singoli protagonisti è che ognuno ha una personalità differente, come è giusto che sia, con tratti ben definiti e relazioni più o meno affiatate con gli altri membri. Questo mi fa anche apprezzare più o meno i loro atteggiamenti e modi di parlare differenti, chi più serio, chi più ironico e via discorrendo, lasciando trasparire la mia stessa personalità quasi come se stessi trattando con persone reali. Diverse volte alcune frasi dei dialoghi, sempre ben scritti, mi strappano un sorriso, mentre altre le trovo particolarmente odiose e cariche di un’ironia esagerata, fattore che invece può essere recepito diversamente da altri giocatori.
Da grandi scelte derivano grandi cambiamenti.
I tratti, le relazioni e la sopravvivenza dei protagonisti, comunque, dipendono tutti dalle scelte che vengono prese durante la partita, che hanno anche una conseguenza su ciò che accadrà in seguito. Devo dire che diverse scelte dinanzi alle quali vengo messo di fronte mi mettono davvero in difficoltà, facendomi immedesimare totalmente e pensare a cosa farei se mi trovassi in quella specifica situazione – anche se spero vivamente di non ritrovarmici mai. E’ un’esperienza che, in un modo o nell’altro, proverete tutti almeno una volta giocandolo. Tutte le decisioni prese vengono riportate negli Effetti farfalla (che mostrano per ogni azione la conseguente reazione) e quando ne compare il simbolo sullo schermo in alto a sinistra, significa che il susseguirsi degli eventi è effettivamente cambiato.
Dal momento che tutti si sono più o meno sistemati, o almeno hanno un compito da svolgere prima di iniziare il vero weekend, comincio ad esplorare l’enorme chalet e a raccogliere diversi oggetti, che si rivelano presto essere indizi da trovare sparsi per tutto il gioco per far luce su tre diverse faccende, che per correttezza non riporto o rovinerei una parte della trama, pena il linciaggio. Il gioco è lineare ma offre un minimo di libertà nei vari ambienti senza sentirsi strettamente vincolati. Proseguendo, mi imbatto nei totem premonitori, che mi mostrano brevi scene non chiarissime su ciò che potrebbe accadere di lì a poco. Scopro che ad ogni colore corrispondono significati diversi:
- Bianco: profezia di fortuna
- Rosso: minaccia di futuro pericolo
- Marrone: perdita potenziale di un amico
- Giallo: guida su una scelta da fare
- Nero: possibile morte di chi lo ha trovato
Ogni qualvolta ne trovo uno, inoltre, riesco a ricostruire una piccola parte degli eventi del passato su quanto è accaduto in quest’area. I brividi fanno di nuovo capolino. Un altro elemento che apprezzo è l’introduzione di diversi QTE (Quick Time Events), soprattutto se anch’essi hanno dei risvolti differenti sulla trama se sono in grado di eseguirli correttamente o meno. E capisco sin da subito che devo restare concentrato anche nelle scene d’intermezzo, perché da un momento all’altro potrebbe uscire un tasto da premere e mancarlo potrebbe addirittura portare alla morte di un personaggio, cosa che non voglio assolutamente. Continuando la storia, ad un certo punto capisco che l’essenza horror verte su qualcosa di pseudo paranormale, che forse allontana un po’ l’idea di horror inteso come ho scritto inizialmente, ma non posso dire null’altro se non… giocatelo.
Devo dire che certe volte, in determinate situazioni, mi sono sentito più un Nathan Drake o una Lara Croft della situazione che una normale persona impaurita intenta a fuggire da un serial killer: arrampicarmi su pareti rocciose, saltare ostacoli, esplorare miniere munito di torcia… Nulla che rovini l’esperienza horror, per carità, però è una sensazione che, in quel momento, mi ha fatto esclamare: “Ehi, ma sto giocando ad Until Dawn?”.
L’evolversi della storia, quindi, è molto dinamico e si basa tutto sulle mie decisioni, che certe volte posso prendere con calma e altre dove mi sento parecchia pressione addosso. Questo dà vita ad inevitabili finali multipli, donando ad Until Dawn una elevata rigiocabilità perché chiunque sarà curioso di sapere cosa sarebbe successo in circostanze differenti. Senza andare di fretta, in ogni caso, ho impiegato una decina di ore per portarlo a termine, a mio avviso più che sufficienti, dato che tirarlo per le lunghe lo avrebbe reso “forzato” e, magari, ripetitivo. Senza contare che, come già accennato, almeno una seconda run è quasi obbligatoria.
Per un’esperienza horror coi fiocchi, solo il meglio.
L’ambientazione dove vengo immediatamente “abbandonato” è tipicamente horror, o almeno è una delle prime che vengono in mente pensando al genere: una fredda notte di inverno dove fanno da padroni uno scenario innevato ed un’enorme baita rigorosamente piazzata in cima ad un monte ed in mezzo ad un bosco tetro. Chapeau per l’Umbra 3, il motore grafico già utilizzato per Killzone: Shadow Fall ma migliorato, che mi ha dato non poche soddisfazioni e diverse volte mi sono soffermato su alcune scene particolarmente realistiche per ammirarle, merito anche, come detto, delle animazioni facciali. In diverse occasioni, però, ho notato dei lievi e brevi cali di frame rate, che non minano sicuramente l’esperienza di gioco ma che sono abbastanza evidenti, specie se il titolo è bloccato a 30 fps per garantire un effetto molto più cinematografico.
Tutto questo è poi condito da un comparto sonoro realizzato con una cura maniacale, dallo scricchiolio della neve sotto i passi ad ogni minimo rumore che collabora a ricreare l’atmosfera ideale in un horror. E non mi capita sempre di essere soddisfatto, magari, da un cambiamento preciso del rumore dei passi a seconda del materiale su cui mi ritrovo a camminare. La colonna sonora, inoltre, svolge un ruolo fondamentale in ogni produzione che si rispetti, tanto più in questo genere dove deve trasmettere una continua tensione nel giocatore. Posso ringraziare Supermassive Games per aver dato l’incarico di comporla a Jason Graves, uno dei compositori più in voga degli ultimi tempi già autore di quella di The Order: 1886, per citarne uno.
Il mix di tutti questi elementi rende Until Dawn una sorta di “film interattivo” e spesso ho potuto notare la marcata piega cinematografica che lo sviluppatore ha voluto dare, di modo da far immedesimare al meglio il giocatore quasi come se stesse guardando un film vero e proprio, dove le emozioni traspaiono maggiormente di quanto lo facciano con un “semplice” videogioco.
Commento finale
Until Dawn si merita a tutti gli effetti l’etichetta di videogioco horror nella sua accezione più pura. L’atmosfera ricreata è perfetta sotto ogni aspetto, dall’ambientazione alla colonna sonora e la caratterizzazione impeccabile degli otto protagonisti ci offre una esperienza quasi cinematografica. Le molteplici scelte dinanzi alle quali si viene messi di fronte durante tutta la durata del gioco, inoltre, portano ad un evolversi differente della storia, che di conseguenza si traduce in una elevata rigiocabilità. L’unica, vera pecca, probabilmente, è che la trama principale appare già scontata a metà gioco, per coloro che hanno un minimo di familiarità con produzioni cinematografiche simili. Il gioco resta tuttavia godibilissimi sia per gli amanti del genere che i più “paurosi”, che potrebbero apprezzarlo per la buona scarica di tensione e paura oramai assente da tempo nel mondo videoludico.