L’uomo nero vittima di sé stesso.
Uno dei dilemmi che regnano sovrani nell’attuale panorama cinematografico, il quesito più inflazionato, quello che capita di porsi dopo la visione di film come Sinister 2, verte sicuramente sulla effettiva necessità di produrre un così alto numero di sequel, specie se si prende in considerazione il genere horror. Viene da chiedersi sempre più spesso, in effetti, se, la ricerca di un profitto più elevato perseguito con il minimo rischio da parte delle case produttrici, non finisca sistematicamente per svilire opere di per sé di buon valore, cercando di trasformare quella che in origine si è presentata allo spettatore come un’idea vincente in un brand eventualmente fonte di facili guadagni, inserito all’interno di un processo di serializzazione che con ogni probabilità nulla finirà per aggiungere in potenza ad una qualsiasi creazione di tipo artistico. Se a tutto questo si aggiunge che, quando si ha a che fare con il piano emozionale altrui, la sfida di imprimere nuovamente un segno tangibile nello spettatore, quella che dovrebbe rappresentare la chiave di volta in ogni sequel degno di tale nome, diventa ancora più ardua, è facile figurarsi la risposta alla domanda iniziale.
Un responso sicuramente negativo e Sinister 2 ne è un’ulteriore conferma, ennesimo esempio di come possano cadere in tentazione anche case produttrici come la Blumhouse, alla quale va sicuramente tributato il merito di aver conferito, negli ultimi anni, nuova linfa vitale ad un genere, quello horror, schiacciato dal peso dei suoi stessi cliché. Il primo Sinister ne è stato la prova inconfutabile. Nato da un budget molto limitato, tipico della casa produttrice, e da un’idea di certo non originale, quella dell’uomo nero che si nutre delle anime di bambini, ma riproposta in una veste rinnovata, ha trovato la propria forza soprattutto nell’enigmaticità di un antagonista, Bughuul, che ha fatto della sottigliezza la sua arma vincente, dimostrando a Derrickson e Cargill, gli sceneggiatori, di aver centrato il bersaglio pur trattando un tema ormai abusato.
Probabilmente i padri dell’oscuro demone si sono un po’ troppo affezionati alla propria creatura ed hanno così deciso, in Sinister 2, di indagarne più a fondo le origini, scavando faticosamente all’interno della mitologia pagana, allo scopo di proporre allo spettatore una spiegazione minuziosa ed il più credibile possibile circa le origini della malvagia ispirazione, concernente lo sterminio della propria famiglia, che investe tutti i bambini venuti a contatto con il demone secondo lo schema da lui prestabilito.
I guai di Bughuul sono nati proprio da tale presupposto. Troppo viene spiegato durante la proiezione. Troppo viene mostrato allo spettatore e così, quello che era riuscito ad impressionare nel primo film, il male che sottile e inesorabile si insinua nelle vite quotidiane degli innocenti per eccellenza, finisce per trasformarsi invece nel protagonista di uno show di sicuro macabro, ma diluito nella sostanza da un eccesso di zelo nel sottolineare i movimenti di un antagonista che, complici anche le sue troppo frequenti apparizioni, sembra assumere in questo sequel più le fattezze di un killer seriale che di un’oscura entità sovrannaturale dedita a circuire giovani anime.
L’osservazione estetica della violenza
Altro punto sul quale Sinister 2 sembra voler insistere, anche prepotentemente, è quello della presentazione allo spettatore di una violenza fine a sé stessa, attraverso la riproposizione dei numerosi filmati girati, tramite una Super8, dagli stessi bambini, divenuti assassini della propria famiglia nonché maliziosi aiutanti del demone che ormai ne possiede l’anima corrotta. Molto è stato sacrificato per portare avanti tale idea. Quello che, infatti, inizialmente è utilizzato in maniera sapiente non solo come un medium per consentire a Bughuul di realizzare i suoi oscuri piani, ma soprattutto come uno strumento in grado di fornire allo stesso tempo maggiore enfasi narrativa scandendo con rivelatoria precisione i punti critici della trama e spingendo lo spettatore ad indagare con minuzia ogni singolo filmato proiettato nel primo film, diviene qui solo veicolo di una violenza reiterata inutilmente e puntualmente preannunciata dall’arrivo dei fantasmi dei precedenti bambini scomparsi nella camera del protagonista durante ogni notte.
Le stesse vicende della famiglia al centro della storia sembrano voler spingere goffamente in tale direzione. Una trama resa insipida da percorsi già battuti, che vede una madre in fuga con i suoi due figli da un padre violento , il quale a sua volta cerca di sfruttare il proprio potere per riottenere illegalmente l’affidamento, vorrebbe invogliare lo spettatore a ricercare la vendetta, portandolo a parteggiare, tramite un semplice espediente, per il cinico uomo nero. L’osservazione estetica della violenza, quella che nelle intenzioni avrebbe dovuto fungere da movente corruttivo della vicenda oltre che da motore dell’azione per l’intera durata del film, finisce invece per perdere ogni possibilità di fornire spunti critici di riflessione allo spettatore. Non siamo purtroppo sui campi solcati da un esperimento cinematografico come Funny Games, il quali effettivamente mirava anche tramite episodi di meta-cinematograficità a smuovere la coscienza di chi si trovava davanti allo schermo. Nel film della Blumhouse l’unico espediente di tal genere che vorrebbe richiamare l’attenzione dello spettatore su un differente punto di vista è presente solo in forma di dialogo tra uno dei protagonisti e lo studioso del paranormale di turno, ma viene poi perseguito in malo modo fino alla fine. Il resto non è altro che violenza che non incide o sconvolge per i modi con cui è proposta a differenza di quanto accaduto con Sinister, ma che diviene purtroppo sterile contorno delle azioni di Bughuul.
Non ci resta che Sinister
E così l’uomo nero finisce col perdere il proprio sinistro fascino. Chi ha apprezzato il primo film non potrà certamente fare a meno di notarlo. Lo scalpore suscitato dai filmati in Super8 unito ad un sapiente uso degli effetti sonori, centrati in modo da rendere le proiezioni fittizie ancora più sconvolgenti, è, in questo secondo capitolo della serie, solo un lontano ricordo. Certo, in Sinister 2 non mancano le classiche situazioni da sobbalzo, i tanto agognati jumpscare, alcuni dei quali architettati con originalità, ma oramai il pubblico navigato degli horror avrebbe bisogno d’altro. Permane, invece, per tutta la durata del film la chiara sensazione di assenza di una effettiva tensione emotiva in grado di scalfire anche gli animi più empatici. Una tensione che nella parte conclusiva finisce paradossalmente per svanire del tutto. L’unica certezza è che, visti anche i risvolti della trama, ci sarà probabilmente da attendersi un terzo capitolo nel quale si spera che Bughuul possa recuperare il terreno perso. Al momento, però, come testimonia anche la scena conclusiva, chiaro marchio di fabbrica richiamante il primo film, l’uomo nero sembra piuttosto essersi calato nei panni del personaggio famoso di turno, pronto ad offrirsi grottescamente in sacrificio ad una cultura della produzione in serie che lo ha reso l’ennesimo prodotto di scarso livello qualitativ
o. Contento lui.
A noi non resta che ricordarlo com’era all’inizio della sua carriera.
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