In Europa si, ma con un pizzico di Teranga in più

Italia: il difficile cammino giuridico e sociale dell’integrazione religiosa, proiettati verso l’Europa, ma con uno sguardo a chi ha già risolto la questione.

In Europa si…

Velo si – velo no? E se si, quale?E dove.crocifisso nelle aule scolastiche come offesa o come semplice testimonianza di una fede che può essere anche rispettosamente ignorata? Queste tematiche che ormai da tempo affollano le pagine dei nostri giornali, e danno adito ai conduttori più disparati di riempire i palinsesti con dibattiti inferociti che, in quanto a share, sono degni di competere con talk-show e reality anche di prima serata, ci ricordano, però, che il tema dell’integrazione è cosa delicata, da trattare con calma e diplomazia, si, ma anche con chiarezza ed onestà intellettuale. Ed è tema centrale anche per chi crede che il diritto possa e debba apportare il suo fondamentale contributo a tale questione.

“Tutti hanno il diritto di professare liberamente la propria fede religiosa, in qualsiasi forma, individuale o associata, di farne propaganda e di esercitarne in privato o in pubblico il culto, purchè non si tratti di riti contrari al buon costume” così recita l’art. 19 della nostra costituzione, che insieme agli art 7 e 8 rappresentano i cardini della disciplina normativa in materia di libertà e convivenza religiosa nel nostro paese, introdotta dal ’48.

Da qui si parte per la definizione della parola forse più inflazionata quando si parla o si scrive di questi temi ossia laicità. C’è da dire che ognuno forgia un concetto tutto suo intorno a tale parola in base alla tesi che si ripropone di sostenere, ma personalmente ritengo che laico non sia sinonimo di ateo, inteso come colui che non crede, non vuole credere e non ha alcun riferimento filosofico o religioso che vada al di là della mera razionalità; laico è colui che valorizza i principi fondamentali che caratterizzano la dignità della persona umana e si ispira al principio della «responsabilità della vita», un principio di libertà e di autonomia intellettuale per il quale ciascuno può consapevolmente scegliere il proprio progetto di vita, in base al valore dell’autodeterminazione (1) .

In un momento come questo in cui l’incontro tra culture e religioni diverse spesso si tramuta in scontro, nel nostro come negli altri paesi europei, è fondamentale la laicità di chi siede in posizioni istituzionali, intesa come strumento concettuale posto a garanzia e protezione del rispetto di qualsiasi credo compatibile con una società civile di diritto; senza correre il rischio dell’appiattimento, decisamente incombente specie laddove una cultura forte e radicata(a volte fondamentalista) come quella islamica si confronta con una debole e non sempre consapevole della propria identità -spesso smarrita nel benessere- come quella occidentale.

Il motto dell’Unione europea è:”unità nella diversità”, bellissimo e molto scenico! Ma di quale diversità si parla? Stando al testo originale della carta costituzionale, seppur non ancora ratificata da tutti gli stati membri e quindi non ancora in vigore, ma valida almeno come punto di riferimento dottrinale,”essa rispetta la ricchezza della sua diversità culturale e linguistica e vigila sulla salvaguardia e sullo sviluppo del patrimonio culturale europeo” e poco più avanti “vieta qualsiasi discriminazione in base alla nazionalità” . Non difficile rendersi conto dell’assenza, da molti per l’appunto criticata, di qualsiasi riferimento religioso. Differenze culturali, linguistiche quindi, ma riguardo divergenze e convergenze tre fedi diverse il dettato costituzionale non si esprime esplicitamente, assecondando una “laicità” politicamente corretta magari, ma forse un tantino lacunosa e suscettibile di interpretazioni po’ troppo opinabili. Affinché ci sia unità è essenziale la consapevolezza delle singole diversità che la compongono.

Il titolo di un noto libro del filosofo Jacques Maritain è “distinguere per unire”, e probabilmente è proprio questo ciò che occorre: marcare serenamente col dialogo i tratti caratteristici di ogni cultura e credo religioso, analizzando le differenze e aprendo strade per la convivenza pacifica e paritaria che nulla ha a che vedere con la tolleranza.


..ma con un pizzico di Teranga in più

Prima di proseguire nel lungo cammino di unificazione europea, allora vale la pena soffermarsi a considerare la vera essenza della propria identità e come essa viene regolamentata giuridicamente. La mia esperienza personale nel campo della cooperazione internazionale mi ha portato in diversi paesi, ma senza dubbio quello che maggiormente può fungere da esempio positivo di perfetta integrazione e convivenza religiosa e culturale è il Senegal, il cosiddetto paese della “Teranga”, parola che si può sommariamente tradurre come ospitalità ma che in realtà esprime molto di più: accoglienza, attenzione, rispetto, gentilezza, allegria e il piacere di ricevere un ospite nella propria casa. Un atteggiamento che meglio di qualsiasi altro caratterizza la popolazione Senegalese.

Nei circa trenta giorni in cui sono stato lì ho osservato come, nonostante la miseria e le pessime condizioni igieniche, una popolazione composta per più del 65% da mussulmani, circa il 30% di cattolici e la restante parte animista conviva perfettamente. E non parlo di sopportazione reciproca, di tolleranza per il diverso, ma di un mussulmano che fa gli auguri di buona pasqua ad un cristiano e ad un cattolico che festeggia la fine del ramadan con l’amico mussulmano. Nel villaggio a circa 120 km da Dakar dove abitavo la chiesa era a pochi passi dalla moschea eppure nessun attrito ne forme di discriminazione di sorta; si scherzava, si lavorava, ma tutti insieme senza distinzioni.

Eppure l’art 19 della nuova costituzione senegalese fatta votare dall’allora neo presidente Wade, ed entrata in vigore il 7 gennaio del 2001, non è molto diverso da quello presente nella nostra: “la libertè de conscience, la profession et la pratique libre de la religion, sous reserve de l’ordre public, sont garanties à tous”. Allora dov’è la differenza? Perché in Italia un simile livello di integrazione e convivenza è ancora un miraggio? Una possibile soluzione la si può, a mio avviso, ricercare seguendo la scia della modifica costituzionale attuata sull’art. 114 dalla l. cost. 18 ottobre 2001, n. 3, «La Repubblica è costituita dai Comuni, dalle Province, dalle Città metropolitane, dalle Regioni e dallo Stato» e dunque il problema della laicità delle istituzioni in Italia, deve riformularsi alla luce del principio di sussidiarietà sancito anche da quest’articolo, senza sperare che i rimedi ai problemi insiti nella vita di una collettività globalizzata in continuo mutamento ed espansione vengano calati dall’alto; nè pretendere che di laicità si debba parlare solo al macro livello dello stato, ma comprendere che spetta al singolo far in modo che il disposto normativo si incarni in una reale comprensione dell’altro.

E’ bene guardare avanti e progredire a livelli sempre più alti politico-istituzionali, ma forse vale la pena di voltarsi indietro, verso coloro che nel panorama economico internazionale magari contano ben poco,ma possono offrirci l’esempio di chi già da tempo,con un pizzico di “Teranga” ha estirpato alla radice qualsiasi tipo di contrasto.

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[1] ” il laico non è una persona che non vuole credere o che non crede; anche i laici, come tutti gli esseri umani, credono ed esprimono, nell’ambito filosofico, culturale e religioso, convinzioni, passioni, fedi e dunque è improponibile la definizione dei laici come “non credenti”. E non è neppure esatta la contrapposizione, assai spesso proposta sulla stampa quotidiana e nel dibattito politico, tra laici e cattolici, per il semplice motivo, assai noto a chi conosce i problemi pratici della laicità, che nell’esperienza concreta vi sono molti cattolici che possono considerarsi laici, così come non è difficile conoscere individui che, pur dichiarandosi non credenti o atei, non assumono tuttavia comportamenti rispettosi delle esigenze di laicità: laico può considerarsi chiunque si ispiri al principio della «responsabilità della vita», un principio di libertà e di autonomia intellettuale per il quale ciascuno può consapevolmente scegliere il proprio progetto di vita, in base al valore dell’autodeterminazione”.Relazione Individuo, gruppi, confessioni religiose nella repubblica italiana laica e democratica di Sergio Lariccia
(Prof. ordinario di diritto amministrativo nell’università di Roma “La Sapienza”).pubblicata sul sito www.associazionedeicostituzionalisti.it (19 febbraio 2007)

[2] (Titolo I art.3 punto 3,comma 4)
[3] (Titolo Iart. 4)

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