Il fu Ma…rc Spector
Dopo un inizio intrigante di cui vi abbiamo già parlato nella nostra recensione parziale, Moon Knight ha raggiunto la sua conclusione: sarà riuscita a rispettare le attese? Sesta serie legata al Marvel Cinematic Universe ad approdare in esclusiva sulla piattaforma Disney+, lo show si fa carico di portare su schermo uno dei personaggi più complessi della Casa delle Idee.
Originariamente creato da Doug Moench e Don Perlin, Moon Knight è l’alter ego di Steven Grant… e di Marc Spector. La particolarità del personaggio (e del suo percorso editoriale) è legata a doppio filo alla condizione dell’uomo sotto il costume bianco. La serie, infatti, affronta il delicato tema della salute mentale e della condizione di disturbo dissociativo della personalità. Un terreno scivoloso ed accidentato, foriero di possibili rischi di fronte alla possibilità di imbastire uno show in cui banalizzare gli aspetti più delicati di una condizione medica rara e sulla quale la scienza ancora oggi non ha trovato tutte le risposte… nei limiti dei una serie in cui si finisce sempre con il prendere a calci e pugni malfattori, nel nome di reali (o forse no?) divinità egizie.
Sotto questo punto di vista, lo showrunner Jeremy Slater ha il merito di aver raccolto la difficile sfida ed aver trattato con il giusto focus gli argomenti più complessi, seppur restando più leggero in altri frangenti, trovando un equilibrio tutto sommato accettabile ed idoneo per il pubblico di riferimento. Un successo per il produttore statunitense, sul quale i maligni avevano avanzato non pochi dubbi alla luce della sua (non invidiabile, c’è da riconoscerlo) precedente esperienza da sceneggiatore con prodotti come il Fantastic 4 del 2015 e l’adattamento di Death Note del 2017.
La serie di Moon Knight sembra più uno show su Steven Grant e Marc Spector, piuttosto che sull’eroe: il cavaliere della Luna appare meno di quanto ci si sarebbe aspettato mentre la maggior parte del tempo è riservato ad un one-man-show del bravissimo Oscar Isaac. L’attore guatemalteco naturalizzato statunitense tiene sulle spalle la produzione, riuscendo nel compito di fornire una interpretazione convincente e profonda di due personaggi antitetici con lo stesso corpo. In tal senso, è impossibile non restare meravigliati di fronte alla maestria con la quale Isaac riesce a passare da un personaggio all’altro anche senza dire una parola, con incisivi o sottili cambi di espressione o di linguaggio corporeo.
Lo show si diverte a giocare con lo spettatore, facendolo vacillare di ciò che vede ed insinuando dubbi sulla realtà degli eventi stessi. In questo senso, il culmine della serie è sicuramente rappresentato dal quinto episodio, in cui l’analisi della psiche del protagonista è posta completamente in primo piano consegnando all’MCU uno dei suoi momenti più profondi e maturi, sia a livello narrativo, sia per tematiche trattate.
Il rovescio della medaglia di uno show costruito intorno al protagonista è di non aver potuto dare sufficiente spazio e risalto agli altri attori presenti nel cast, come l’attrice egiziano-palestinese May Calamawy e soprattutto Ethan Hawke. Proprio il suo personaggio, Harrow, troppo spesso appare utilizzato poco e male, sebbene quando condivida lo schermo con Oscar Isaac l’alchimia è palpabile. Altresì spiace vedere sprecato, con poche battute, il classico (ma sempre affascinante) tema morale della dicotomia tra libero arbitrio e giudizio delle colpe.
Dobbiamo ammettere in questa recensione che la colpa maggiore di Moon Knight appare proprio quella della mancanza di un giusto spazio ed adeguato respiro, difetto finora comune a praticamente tutte le produzioni Disney+ legate al Marvel Cinematic Universe. Le sei puntate scorrono veloci e dritte alla meta, fornendo un finale tutto sommato convincente e soddisfacente (e non privo di sorprese, attese e non) ma al contempo aperto a futuri sviluppi: sebbene ad oggi non sia confermata una seconda stagione della serie, appare indubbio che il personaggio verrà ripreso all’interno dell’MCU in altre produzioni (magari nel caldeggiato e rumoreggiato team up dedicato ai Midnight Sons?). Una corsa rapida ed a tratti frettolosa, che spreca temi e situazioni per esigenze di format, forse ancora incerto se essere pienamente una serie tv, una mini serie evento o un film “esteso”.
La frettolosità (e forse la necessità di tirare la cinghia sul budget) si nota anche nella CGI offerta allo spettatore, che alterna cose pregevoli ad altre decisamente meno. Quello che non funziona pienamente nella computer grafica, funziona invece sul fronte registico grazie all’impegno profuso da Mohamed Diab, responsabile della maggior parte degli episodi. Non solo per la gestione di una eterogenea varietà di ambientazioni, in cui si oscilla tra musei londinesi e caverne buie, strade di montagna e dune di sabbia, ma anche per una credibile inquietudine generale mista a momenti leggeri. Un mix che rimanda alle atmosfere di pellicole classiche come La Mummia di Stephen Sommers… ma che avvicina Moon Knight anche al contemporaneo Doctor Strange nel Multiverso della Follia di Sam Raimi (di cui potete leggere la nostra recensione qui).
Moon Knight offre dunque un unicum nel panorama dell’Universo Cinematografico Marvel, con un prodotto sicuramente imperfetto ma focalizzato sul proprio protagonista, sulle sue problematiche e difficoltà, anche a scapito del minutaggio concesso all’azione in costume.
Commento finale
La nuova serie MCU approda su Disney+ portando a schermo forse il personaggio più complesso del proprio universo cartaceo: lo fa con consapevolezza ed un equilibrio tutto sommato coerente con il proprio target, nonostante alcune scelte narrative potrebbero scontentare una parte del pubblico… ma al contempo potrebbero essere di estremo gradimento per l’altra fetta dello stesso. Il mix tra azione, commedia, horror e dramma psicologico permette a Moon Knight di essere uno dei prodotti più interessanti della Fase 4 nonostante debba fare i conti con una atavica “fretta” espositiva, e relativi annessi problemi, comune a tutte le produzioni televisive della Casa delle Idee.