Recensione Avatar

avatar_thumbAvatar, una futuristica avventura old style

Siamo nel 2158. Jake Sully, un marine rimasto invalido, accetta di trasferirsi sul pianeta Pandora per compiere una missione in sostituzione del fratello gemello, uno scienziato morto in seguito a un tragico accadimento. Pandora è un mondo primordiale, distante decine di anni luce dalla Terra, ed è abitato da una tribù di indigeni chiamati Na’vi. L’aria del pianeta non è respirabile dagli umani se non impiegando delle speciali maschere e pertanto si sono sviluppati i cosiddetti avatar, degli ibridi genetici che mischiano DNA umano a quello indigeno, i quali possono essere guidati mediante un’interfaccia mentale. Ma questo sofisticato programma scientifico è solo un pretesto utilizzato dai colonizzatori di Pandora allo scopo di prendere contatto con la popolazione dei Na’vi per poter sfruttare così i loro giacimenti minerari. Soltanto che i Na’vi non hanno alcuna intenzione di lasciare la loro terra e lo stesso Jake, una volta entrato in questo magico universo e innamoratosi di Neytiri, una guerriera figlia del capo della tribù, guarderà la sua missione da un’altra prospettiva arrivando a dubitare di tutto quello in cui credeva.

Partiamo dalla considerazione che ormai tutto è stato detto su questo film, tutto è stato scritto e diventa un’operazione sterile fornire ulteriori dati del suo successo. Quello che appare utile, invece, è sottolineare come di fatto Avatar si ponga come un episodio cruciale della storia del cinema in quanto capace di segnare un profondo solco al suo interno e riscriverla, spostando in avanti ed espandendo le frontiere del nostro immaginario. Oltre a ciò, Avatar ha in sé una forza evocativa e un potere fascinativo che ci riporta al cinema degli albori, quando una grande massa di spettatori era disposta a farsi trascinare dall’incanto della celluloide proprio perché non aveva presente del tutto l’esperienza che avrebbe vissuto in sala. Di questo è stato ben consapevole James Cameron, il regista “epico” per eccellenza, “classico” per vocazione, sperimentatore di nuove tecnologie e della contaminazione dei generi.

In tutti i suoi film (acclamati ormai come kolossal) ha sempre cercato di esplorare il delicato rapporto tra l’uomo e la tecnologia, mostrando il lato pericoloso di quest’ultima: dalla guerra uomo-macchina della saga di Terminator, al secondo Aliens, fino alla tragedia del “più grande oggetto in movimento mai costruito dall’uomo”, il Titanic. Quello di Avatar è il risultato di un’altra sua impresa titanica, che lo ha fatto vacillare e rimanere in attesa per anni prima di poter applicare le scoperte della computer grafica che lui aveva già in mente. Non solo: l’attenzione maniacale per ogni dettaglio del suo lavoro lo avvicina ormai a mostri sacri come Stanley Kubrick, Sergio Leone, Francis Ford Coppola, che non hanno mai avuto paura di mettersi in gioco e rischiare la loro stessa esistenza di autori durante la realizzazione di un film, arrivando anche a battere il trecentesimo ciak se solo un’inquadratura non fosse stata perfetta.

Avatar è insomma un film fantascientifico molto ambizioso. È una storia futuristica ambientata su un lontano pianeta tra quasi duecento anni. Ma in fondo è pure una avventura old style, in cui la natura incontaminata, gli alberi della vita, l’esistenza di creature volanti e di una tribù non possono non farci riflettere su problematiche che ci toccano da vicino come quella ambientale. L’aspirazione di Cameron è stata sicuramente di raccontare una storia sul piano mitologico e proprio per questo può non sembrare tanto originale. Gli spettatori più attenti noteranno di certo le similitudini con Pocahontas, Balla coi lupi o addirittura con eXistenZ (seppur lontano dalle atmosfere oscure e inquietanti di Cronenberg), ma nonostante la presenza di una sceneggiatura quasi banale e un po’ lacunosa, rimane il fatto che Avatar è qualcosa che non è mai esistito prima ed è da apprezzare anche l’impavido tentativo di Cameron di palesarci paragoni e coincidenze con eventi più o meno passati riguardo alle conquiste e ai massacri, agli sfruttamenti e alle distruzioni che hanno caratterizzato la storia delle colonizzazioni dagli indiani d’America all’Africa, dal medio all’estremo Oriente.
È chiaro che l’impronta americana è forte e si sente nell’arco della narrazione: nei dialoghi semplici, concisi, nelle frasi ad effetto e nella sdolcinata (anche se commovente) liason tra Jake e Neytiri.

Lo stesso si può dire per la caratterizzazione dei personaggi, siano essi dalla parte dei “buoni” o dei “cattivi” (non è da trascurare l’interpretazione di Sigourney Weaver, l’ex eroina del genere sci fi che cerca qui di studiare la popolazione indiegena e i suoi costumi). Ed è vero altresì che il seguire questo discorso potrebbe portarci a una specie di paradosso, ma, in definitiva, sono proprio gli stereotipi narrativi uniti alla consapevolezza di tutto ciò che nel cinema si è già visto a fare di Avatar un film da non perdere e di James Cameron un autore con la a maiuscola, il quale ha tra l’altro dichiarato che non girerà più un film con la pellicola tradizionale. Per cui abbandoniamo pregiudizi e snobismi di una certa critica schierata e addentriamoci, come il protagonista, in un mondo rumoroso, affascinante e coinvolgente vivendo anche noi la futuristica avventura old style di Avatar.

 

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