Recensione Bastardi senza gloria

locandinabastardisenzagloria“Un tempo nella Francia occupata dai nazisti…”

Inizia con questa frase l’ultima impresa cinematografica di Quentin Tarantino, uno dei cineasti più geniali e controversi del cinema contemporaneo. Di impresa si tratta e sarebbe riduttivo definirla altrimenti perché Bastardi senza gloria non è soltanto il titolo di una storia di spionaggio su un gruppo di uomini in “missione speciale” nella Francia occupata dai nazisti, come capiamo subito dopo i credits d’apertura, ma è soprattutto il progetto che il regista di Knoxville aveva in mente di realizzare a distanza di poco tempo dal suo capolavoro, Pulp Fiction, e alla cui scrittura ha dedicato più di dieci anni di lavoro. Non solo, il film è talmente denso di autocitazioni e riferimenti diretti al mondo del cinema, che lo possiamo a tutti gli effetti considerare come la totalizzazione se non il punto di arrivo di tutte le sue esperienze filmiche precedenti. Viene mantenuta, ad esempio, la stessa struttura a capitoli di Kill Bill, ma a differenza di quest’ultimo la divisione in blocchi tematici non è utilizzata semplicemente per far progredire la narrazione. Qui ogni capitolo conserva un’atmosfera propria, sensazioni e toni sensibilmente diversi, a tal punto da poterlo considerare come un vero e proprio film nel film. Tutto ha inizio in una terra di nessuno, esattamente come suggerisce l’iconografiaBastardi senza gloria western del migliore Sergio Leone o John Ford, abilmente sovrapposta alle brutali e drammatiche storie di vessazione della Seconda Guerra Mondiale. Tarantino dimostra da subito tutto il suo talento nel proporci una sequenza di pura suspence, costruita con sapiente tocco da maestro e modellata sulla personalità di un grande attore come Christoph Waltz, nei panni del Colonnello Landa delle SS naziste (interpretazione che gli ha valso la Palma d’oro a Cannes), il quale passa dal recitare in francese al tedesco con una disinvoltura impressionante. Ed è con la stessa verve che il regista continua a filmare gli altri capitoli, in cui troviamo elementi che di certo identificano il suo stile: a cominciare dalle battute dal tono iperrealistico e dallo spessore filosofico e dai suoi monologhi paradossali e sempre spiazzanti; proseguendo poi con i personaggi che si muovono secondo codici di comportamento con moralità rovesciate, perfetti “antieroi” dimenticati dall’alone leggendario – come sono appunto i bastardi -; fino ad arrivare all’eccesso del sadismo visivo (che lo avvicina sempre di più a David Cronenberg nell’urgenza di delineare le ferite del corpo), con situazioni e inquadrature che ricorrono con maniacale regolarità. Per farla breve c’è tutto Tarantino e tutto il cinema di Tarantino in Bastardi senza gloria, il cinema di un ragazzo del Tennessee cresciuto a pane e b-movies, impiegato in un videonoleggio di Manhattan Beach a Los Angeles e divenuto in breve tempo un regista autodidatta con una “insana” passione per la Decima Musa, sulla quale riversa una dedizione totale pur continuando a trattare il suo lavoro alla stessa stregua di un gioco. Quentin non è infatti uno di quei registi “seri” che si compiacciono solamente davanti alle loro pellicole e si vantano magari di avere come modello chissà qualche cineasta del passato. Nel suo caso non basterebbe munirsi di blocco di appunti e pennarello per annotare le dozzine di film da cui attinge a piene mani. Anche per quest’ultimo suo lavoro, infatti, c’è già chi ha parlato di plagio o addirittura di remake di un film di Enzo G. Castellari (altro suo autore di culto) del 1978 dal titolo Quel maledetto treno blindato. E gli stessi sospetti erano stati avanzati tempo fa anche per Le iene e per Kill Bill. Ma ragionando così si rischia di non capire che l’appetito di onnivoro cinefilo di Tarantino serve in fondo per saccheggiare look e personaggi da altre pellicole, senza per questo omaggiarle o riferirsi esplicitamente ad esse. Ciò perché, come sosteneva anche Picasso, “i grandi artisti rubano, non citano” e Quentin Tarantino è certamente uno che ruba, cioè un artista vero.

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