“Come conquistare il mondo e svanire nel nulla”, una storia di Ken Levine.
Il mondo dei videogiochi si differenzia da tutti gli altri mezzi narrativi esistenti sotto tanti punti di vista. Uno di questi, evidente ed oggettivo, è l’identificazione dell’autore dietro l’opera. Un libro ha uno scrittore, un film un regista. Certo, da un lato la somiglianza tra la figura del game designer e quella del direttore cinematografico è evidente. Tuttavia nel mercato videoludico si tende sempre a identificare le opere come legate a un team di sviluppo, più che a una singola visione creativa. Eppure, in un mondo di software house ci sono alcuni autori capaci di ottenere la fama e diventare popolari come divi. Miyamoto, certo, Kojima, certo. Ma anche Ken Levine dalla metà degli anni 2000 è stato per quasi un decennio uno di questi. Con Bioshock prima, e con Bioshock Infinite poi, intervallati dalla sua pesantissima assenza nel secondo capitolo, Levine raggiunge la notorietà e guadagna la fiducia di critica e pubblico. Per poi sciogliere Irrational Games e sparire nel nulla. Il game designer è al lavoro su un gioco indipendente da anni ormai, di cui non sappiamo ad oggi niente.
Dal 2013, anno in cui il buon Ken chiuse il cerchio della sua visione creativa con il terzo capitolo della serie, sono passati ben sette anni. Nel frattempo la trilogia è stata rimasterizzata e portata su console next gen. Infine, ben 13 anni dopo l’uscita del primo capitolo, la serie è arrivata anche su una console Nintendo. Quello per Switch è in tutto e per tutto un porting della collection che abbiamo già potuto apprezzare su altre console, ma per la prima volta possiamo visitare Rapture e Columbia anche in portabilità.
Nessun dio né re, solo uomini
Tornare nella città frutto del sogno anarchico di Andrew Ryan è sempre un’emozione indescrivibile. Per quanto i segni del tempo si notino, la direzione artistica e la cura riposte in Bioshock traspaiono ancora oggi, fin dai primi istanti. La trama, il gameplay, l’ambientazione e il suo racconto silenzioso: ogni cosa è ancora al suo posto, affascinante come nel 2007. La città dei sogni in fondo al mare, la visione onirica del suo fondatore, ancora saldamente aggrappato ai suoi ideali e miope al fallimento, i contrasti della micro società isolata: Bioshock rimane uno dei maggiori capolavori che il mondo dei videogiochi abbia prodotto nel nuovo millennio.
La sensazione però, cominciando il primo capitolo in portabilità, è di essere rinchiusi, limitati. Sembra tutto troppo piccolo, già il menù iniziale. L’interfaccia in generale risulta compressa, non sempre facile da leggere. Quando poi si arriva a Rapture, con quelle altissime vetrate, la visuale che si apre su quadri interattivi meravigliosi, la voglia di fuggire su uno schermo più grande diventa incontrollabile. La diagonale di Switch non basta, Bioshock ficcato lì dentro sembra un gioco cheap, uno di quei capitoli spin off di IP famose, usciti su PSP e prodotti con budget ridotti. La riduzione di 720p si fa sentire, ma non è l’unico problema.
In generale si avverte continuamente la sensazione di stare guardando qualcosa pensato per un numero di pollici più elevato. Ed è ovvio che Bioshock sia stato pensato per uno schermo più grande. L’obiettivo del porting per Switch doveva essere quello di dare vita a un prodotto apprezzabile anche sul piccolo schermo. Obiettivo non del tutto raggiunto, almeno con il primo capitolo. Si vorrebbe continuamente zoomare, durante tutta l’esperienza di gioco si sente l’impulso di entrare maggiormente dentro. La gestione della luce e dei riflessi era probabilmente troppo obsoleta per riuscire a essere resa godibile in portabilità. Resta per noi un gran peccato. L’esperienza cambia completamente su uno schermo più grande. Il gioco diventa godibilissimo sul televisore, in tutto e per tutto simile alla sua controparte per console casalinghe. La resa grafica in 1080p è ottima.
Rumori e voci da Rapture
Come la componente visiva, anche quella sonora risente della portabilità. L’incubo distopico di Rapture viene affrescato anche grazie a un audio avvolgente. Dalle melodie anni ’50 alle cantilene dei ricombinanti in lontananza, dai rumori dei robot volanti ai passi pesanti dei Big Daddy: tutto contribuisce a imprimere nella mente un immaginario memorabile. Giocare sulla piccola Nintendo Switch comporta il dover rinunciare a tutto questo mosaico di suoni e rumori, a meno ché non si scelga di giocare con un bel paio di cuffie.
Infatti, anche al volume massimo, le casse di Switch non bastano a far percepire ogni dettaglio, né riescono a dare la giusta idea di tridimensionalità. Tutto appare troppo ovattato, dalle voci dei Ricombinanti che parlano tra sé, ai messaggi di Atlas. Il giocatore si trova costretto a tendere costantemente le orecchie cercando di carpire tutto ciò che il gioco vuole comunicare attraverso il suo comparto audio. La situazione cambia giocando su un televisore, anche in questo caso. Per quanto il gioco risenta comunque di un missaggio audio non perfetto, la TV rende udibile tutto ciò che ci circonda.
Di contro funziona piuttosto bene il sistema di controllo, cosa che comunque non stupisce vista l’ottima distribuzione dei tasti sulla ibrida di Nintendo. Anche su questo fronte comunque resta preferibile il gioco pad alla mano, che sia pure il grip con i due Joy Con inseriti.
Bioshock 2: nei panni del Big Daddy
Bioshock nel 2007 fu un successo incredibile, tanto per la critica quanto per le vendite. Per la prima volta anche il pubblico più casual scoprì che un gioco in prima persona non per forza doveva essere uno sparatutto frenetico. In breve tempo divenne uno dei giochi più chiacchierati, sulla cui ambientazione si fantasticò molto. Bastò poco perché il publisher cogliesse l’occasione di riportarci a Rapture, ovviamente. E quale miglior modo di farlo, se non mettendoci nei panni di uno dei nemici più iconici del primo capitolo? Del resto la figura dei Big Daddy è affascinante: un super uomo geneticamente modificato tramite l’ADAM ed eternamente sigillato dentro uno scafandro, armato di trivella. Il suo unico obiettivo: proteggere perennemente la sua piccola sorellina.
Così in Bioshock 2 ci troviamo dentro il casco da immersione, nei panni di un vecchio modello di Big Daddy, “morto” nel 1958, due anni prima gli eventi del primo capitolo, e risvegliatosi nel 1968. di Andrew Ryan non c’è traccia, Rapture è allo sbando, ma non tutti sono impazziti. La dottoressa Lamb in particolare sta cercando di riprendere il controllo della città, ma la sua non è l’unica fazione che incontreremo. La corsa agli armamenti e ai plasmidi è ancora più forte di prima.
Sebbene la mancanza della guida creativa di Ken Levine si senta, il titolo ha tantissime idee interessanti e un gameplay comunque nuovo rispetto al primo capitolo. Bisogna dire che al gioco hanno comunque lavorato vari team, tra cui anche i talentuosissimi Arkane Studios. In effetti in questo secondo capitolo incontriamo aree e personaggi ancora più esagerate di quanto visto nel primo, e possiamo vedere Rapture in modo più approfondito e da una prospettiva totalmente diversa.
Infiltrazioni d’acqua digitali
La nostra seconda avventura nella città sotto l’atlantico risale sì al 2010, ma è invecchiata davvero benissimo, e anche la sua versione portatile su Nintendo Switch offre un comparto tecnico soddisfacente. Certo, la risoluzione è comunque più bassa e in certe occasioni si sente comunque il desiderio di spostarsi sul televisore. Tuttavia il gioco è molto più godibile in portabilità rispetto al primo capitolo.
Sul fronte estetico l’illuminazione è gestita qui molto meglio, il gioco è più fluido e in generale risulta molto più suggestivo da vedere, anche sul piccolo schermo. Se poi guardiamo al lavoro svolto sull’acqua, elemento ovviamente dirompente (anche in senso letterale) restiamo stupiti che 10 anni fa si sia potuto fare qualcosa del genere. E tutto ciò lo si può apprezzare bene anche giocando in treno, in bagno o semplicemente sdraiati comodamente a letto. E questo sì, è un gran valore aggiunto.
Bisogna poi dire che il missaggio audio rispetto al primo capitolo è stato gestito molto meglio, qui. Non c’è più quella sensazione di sforzo per poter cogliere: l’audio è più nitido, il volume delle voci e dei suoni è più alto. Anche senza cuffie, Bioshock 2 è un buon titolo da giocare su Switch, senza preoccuparsi che l’esperienza risulti mutilata. Resta comunque più coinvolgente giocare un titolo del genere, che basa molto del suo fascino sull’immersione in prima persona in un mondo cupo, su un televisore dalla diagonale molto ampia, magari con delle cuffie in grado di offrire tridimensionalità dell’audio. Si sarebbe potuta gestire meglio invece la vibrazione, forse un po’ troppo pesante considerando che a tremare è proprio lo schermo su cui giochiamo. Soprattutto considerando che la Switch vibra ad ogni salto del nostro Big Daddy.
E se invece un Dio ci fosse? Bioshock Infinite!
La grandezza di Irrational Games, prima ancora che nel trascinare il giocatore in un ambiente verosimile e reattivo, stava nell’immaginare mondi suggestivi. Lo aveva capito Ken Levine, che dopo aver esplorato la città distopica di Rapture, nata dal sogno anarchico e capitalista di Andrew Ryan, si lanciò in un progetto diverso. Dalle sue idee nacque Columbia, una città che decenni prima della metropoli oceanica si librò in cielo sfruttando il vapore che muoveva i suoi dirigibili. E in questo “paradiso celeste” il potere non deriva dal capitale e dalla libertà degli uomini, ma dalla fede. A capo di questa città siede infatti Padre Zachary Comstock, il profeta che ha salvato gli uomini dalla Sodoma sottostante. Un predicatore che nobilita e unisce attraverso il battesimo, e il cui seme distruggerà le montagne metalliche dei peccatori che vivono al di sotto.
È in questo scenario che ci troviamo catapultati da Sodoma dritti a Columbia, nei panni di Booker Dewitt. E non è una metafora: ascendiamo al cielo in una capsula che sfrutta l’energia del vapore, fino alla città celestiale. Scopriremo in seguito il nostro ruolo di falso pastore, scopriremo chi è la ragazza, Elizabeth, ma soprattutto scopriremo che oltre il velo di religiosità e fanatismo si cela una società ipocrita e intollerante. Ancora una volta Irrational ha mostrato i controsensi delle società occidentali contemporanee attraverso l’estremizzazione di un loro elemento fondante.
Il Paradiso Terrestre è volato fin dentro Switch
E ancora una volta il magnetismo del mondo dipinto da Ken Levine e il suo team è sconvolgente. Columbia è un sogno, una gioia per gli occhi, un paradiso su schermo. I palazzi sospesi che svettano dalle nuvole, le statue religiose, le insegne commerciali, la propaganda: tutto inondato dalla purezza di una luce solare che non risparmia nulla. L’impatto rimane maestoso anche dopo sette anni, anche sulla piccola Nintendo Switch con i suoi 720p.
Anche in questo caso, come per Bioshock 2, Infinite è perfettamente godibile anche sul piccolo schermo. Ovviamente si perde qualcosa, non solo in termini di risoluzione, ma anche in quanto a texture. Ma ciò non rovina un’esperienza comunque trascinante e memorabile. Peccato giusto per un’interfaccia forse troppo striminzita.
Analogamente al secondo capitolo, anche qui l’audio funziona bene: anche senza cuffie potrete giocare Bioshock Infinite sul piccolo schermo di Switch senza perdervi nessuna battuta o intonazione. Evidentemente i problemi che affliggono il primo Bioshock sono dovuti più alla obsolescenza della fonte originale che al lavoro di porting svolto. Per quanto rimanga comunque un lavoro imperfetto.
Bioshock è una perla ulteriore nel parco titoli Switch.
La serie di Bioshock, con tutti i suoi difetti e i suoi alti e bassi, rappresenta una pietra miliare nel videogioco moderno. Un’esperienza capace di sublimare tutti quegli elementi del gioco immersivo in prima persona e circondarli con un’ambientazione e un racconto silenzioso imponente. Il tutto arricchito da storie principali sempre dirompenti, capaci di distruggere le convinzioni del giocatore, di ribaltare giusto e sbagliato, ma anche reale e irreale.
Il fatto che questa Bioshock Collection dia finalmente la possibilità agli utenti Nintendo di giocare una trilogia seminale per il medium come quella di Irrational Games già di per sé è un valore enorme per questa collection. A questo va aggiunta la possibilità di vivere queste tre esperienze in portabilità. Ce n’era davvero bisogno? La risposta probabilmente è no, per vari motivi.
Da un lato è chiaro che un gioco che fa dell’immersione uno dei suoi cardini perda molto del suo fascino e coinvolgimento in portabilità. Del resto come ci si può immergere a Rapture o Columbia mentre si è in treno, ad esempio? Dall’altro, per quanto i tre titoli siano comunque godibili, è evidente che l’impatto che Bioshock riusciva a dare continuamente se giocato sul grande schermo, non si riesca a replicare sul piccolo. Come si può pensare che certi scenari maestosi, certi giochi di luce e di ombre, possano risultare altrettanto efficaci quando ridotti all’osso, sia per la dimensione sia per la riduzione al minimo della qualità estetica?
In definitiva non possiamo non consigliare a tutti coloro che non hanno mai giocato Bioshock di farlo la prima volta su uno schermo di dimensioni soddisfacenti. Di contro per chi già conosce la serie e volesse riviverla in modo più rilassato, può decisamente valutare la possibilità di giocare in portabilità. Bisogna anche dire che attualmente trovate la stessa identica Collection sul PlayStation Store a soli 9,99€ contro i 49,99€ a cui è venduta sullo store Nintendo.