Recensione Hellblade: Senua’s Sacrifice

Versione testata: PC – Steam

Ho dato ascolto alle voci nella mia testa

Trattare un tema così delicato come quello della schizofrenia non è sicuramente un’ impresa semplice, eppure sia il mondo della cinematografia (Qualcuno volò sul nido del cuculoIl cigno nero) sia quello videoludico, hanno più volte tentato di raccontare il disagio della mente, con risultati non sempre apprezzabili come quelli appena citati. Ciò è dovuto principalmente all’esigenza di coniugare l’elemento dell’intrattenimento con quello scientifico; uno scorretto bilanciamento di questi due elementi rischia di banalizzare l’operazione o, al converso, di renderla un pedante trattato pseudo scientifico con poche pretese di esaustività.

Hellblade prova a raccontare la psicosi e la malattia mentale mettendo il giocatore nei panni di Senua, una guerriera celtica in viaggio verso l’ignoto, alla ricerca di qualcosa di cui anche il giocatore, sino a più della metà del gioco, non ha ben chiari i contorni. Ci si muove in una costante nebbia, metafora della nebbia che avvolge i sensi e la mente della protagonista, verso un ignoto che assume le sembianze delle divinità vendicative, ostili e ingannevoli, della mitologia norrena. Surt, il gigante di fuoco, Valravn, il dio dell’inganno, Fenrir, la terribile bestia famelica ed infine Hel, la regina degli inferi (Helheim) e della morte. Sono lontani il mondo eroico di Asgard e le sale dorate del Valhalla, al loro posto solo miseria, disperazione e nebbia. Solo raramente, dopo aver sconfitto demoni dal volto animale, la nebbia si dirada lasciando trasparire qualche sporadico raggio di sole, metafora di una ritrovata presenza mentale. Ma è anche questo un inganno, un’illusione e ben presto la nebbia, presagio nefasto dell’oscurità che avanza, tornerà a cingerci nel suo freddo abbraccio.

Ninja Theory, con grande coraggio, ha volutamente reso il gameplay di Hellblade una esperienza disturbante, così come disturbanti sono le vicende vissute dal nostro alter ego, Senua. La scelta di una telecamera così ravvicinata al personaggio, una mobilità lenta e a tratti ingessata, le immagini che si sovrappongono, le luci che si fanno abbaglianti e confuse e, soprattutto, le continue voci che si sovrappongono a quelle dei protagonisti, cancellano il confine tra ciò che è reale e ciò che è solo illusione. A parlare sono i fantasmi, reali o immaginari, incontrati nel passato di Senua, che riemerge a tratti durante l’avventura, permettendoci di ricostruire almeno parzialmente il frammentato arco narrativo e soprattutto i motivi che spingono la nostra protagonista ad andare avanti (di cui non parleremo per evitarvi inutili spoiler). Ma a parlare è anche Druth, il nostro compagno di viaggio negli abissi dell’oscurità, un uomo che prima di Senua, ha conosciuto l’orrore e le tenebre di Helheim e che, come un nuovo Virgilio, ci accompagnerà nel nostro percorso di redenzione. E’ Druth, inoltre, la voce narrante a fare da collante tra le vicende di Senua e i riferimenti alla mitologia norrena di cui il titolo è denso. Proprio questi riferimenti alla mitologia di fondo, che potrete ascoltare attivando apposite stele disseminate nei livelli di gioco, costituiscono una delle quest secondarie più interessanti dell’intera avvenutra.

Ho seguito il mio cuore, annullando la ragione

Il gameplay di Hellblade: Senua’s Sacrifice ruota essenzialmente intorno alla risoluzione di un unico puzzle ambientale ripetuto in diverse forme più e più volte ed in grado di permetterci l’accesso ad aree inizialmente bloccate. Per farlo dovremo servirci della prospettiva e del focus (la capacità di Senua di concentrarsi e di guardare con l’occhio interiore) al fine di ricostruire, tramite gli elementi dell’ambiente, i simboli runici riconducibili alle diverse divinità di cui abbiamo parlato, che sigillano ciascuna porta. Cosi’ il particolare incrocio prospettico dei rami di due alberi, o l’angosciante cadavere impalato di un uomo, illuminati dal “focus” creeranno simboli che sbloccheranno le porte di accesso alle aree successive.

Cercarli non è impresa impossibile, facilitata com’è dalle visioni di centinaia di simboli dello stesso tipo che compariranno non appena saremo vicini all’area in cui tale prospettiva sarà visibile, nonché dalle voci nella nostra testa che ci inviteranno a concentrarci. Sebbene l’idea possa sembrare interessante all’inizio, ben presto la ripetitività prenderà il sopravvento, lasciandoci con l’unico desiderio di sbrigare l’inutile faccenda per poter proseguire nel racconto. Sbloccate le porte, ci troveremo di fronte poi alle uniche vere fasi action del gioco, in cui dovremo affrontare un certo numero di nemici, dalla tipologia piuttosto limitata  – in totale ne abbiamo contati meno di una decina differenti. Il combat system è inoltre estremamente limitato, con due soli tipo di attacco, leggero e pesante, un paio di schivate oltre ad un corpo a corpo (anche in corsa) utile a sbilanciare l’avversario. Il livello di difficoltà cresce a mano a mano che imparerete a padroneggiare il combat system, ma resta tuttavia molto accessibile, permettendovi di sconfiggere anche i boss di fine livello con una certa semplicità. Ad accrescere in maniera esponenziale la sensazione di urgenza ed un certo disagio nel giocatore, non è tanto, come abbiamo detto, il livello di difficoltà ma l’elemento della permadeath, di cui verremo informati soltanto ad un certo punto del gioco, dopo un gameover forzato. Ad ogni morte infatti la follia di Senua o il marciume, come viene definito da Druth, cresce insozzando il braccio della protagonista: quando il marciume avrà raggiunto la sua mente, l’avventura di Senua terminerà definitivamente. Il gioco infatti cancellerà automaticamente i nostri salvataggi e dovremo iniziare una nuova avventura (tale ultima circostanza sembrerebbe smentita dai colleghi di PCgamesN secondo i quali, non ci sarebbe nessuna permadeath ma soltanto una modifica degli eventi nel gioco).

La scelta del Permadeath (vera o presunta che sia) , si è rivelata uno degli aspetti più controversi dell’intera produzione. Chi la ritiene una scelta sensata in un gioco che non fa nulla per essere “amichevole” con il giocatore, ha apprezzato il tentativo di evitare che un titolo dai toni “adulti” si risolva in una pantomima di un hack ‘n slash; altri invece ritengono tale scelta un subdolo escamotàge per aumentare il pathos di un gameplay che, altrimenti, finirebbe con il diventare noioso già dopo le prime ore di gioco. La verità, come sempre, sta probabilmente nel mezzo. Personalmente la necessità di evitare di dover ricominciare tutto da capo, mi ha spinto ad avere un approccio più ragionato in alcuni frangenti di gioco, evitando di lanciarmi a capofitto senza sapere bene dove, soprattutto verso la parte finale del gioco quando il nemico principale non è rappresentato più dai nemici umani, o meglio dai simulacri senza volto di cui abbiamo detto prima, bensì da fiamme che non lasciano scampo. D’altra parte però, in un frangente particolare, a causa di un bug che faceva sì che già al respawn dal check point la mia Senua bruciasse senza ragione, ho maledetto più volte il permadeath incombente, lasciandomi andare a qualche scatto d’ira che non mi capitava da molto di avere dinanzi ad un videogame.

Ho guardato il mondo con l’occhio della mente

Sotto il profilo tecnico Hellblade Senua’s Sacrifice è eccezionale sotto tutti i punti di vista. Su tutto però si erge la performance attoriale di Melina Juergens, che riesce a donare a Senua quell’umanità in grado di annullare i limiti propri del medium videoludico, restituendoci uno dei personaggi più tormentati e credibili che il “nostro” medium abbia mai conosciuto. Parte del merito va anche al Performance Capture, la particolare tecnica di motion capture da sempre cavallo di battaglia dei Ninja Theory, in grado di catturare ogni più piccolo dettaglio espressivo della Juergens e a trasporlo sul modello poligonale di Senua, incredibilmente dettagliato e realistico.

A tutto ciò si aggiunge una atmosfera cupa, grigia, esaltata da un sistema di illuminazione dinamica eccezionale che esalta ambientazioni malinconiche ma incredibilmente piene di fascino, capaci di regalare scorci eccezionali che vi troverete ad ammirare incantati più di una volta e ad immortalare grazie all’ottimo photo mode. Peccato per qualche improvvisa caduta di stile con texture ambientali decisamente non all’altezza dello spettacolo offerto dal resto del gioco, e che mi auguro possa essere superato da qualche mod o aggiornamento futuro. Ho apprezzato particolarmente inoltre il supporto nativo al formato 21:9, ma soprattutto il comparto sonoro e gli effetti audio. Le prime schermate consigliano infatti al giocatore di utilizzare cuffie stereo surround proprio perché è grazie all’ottima modalità Surround 3D, che vengono rese con una disarmante crudezza, le voci che assillano la mente di Senua, alimentando i suoi demoni interiori, i suoi dubbi e le sue paure e consegnandoci un ritratto realistico della malattia mentale, peraltro affrontata con piglio scientifico grazie al supporto di ricercatori di psichiatria dell’ Università di Cambridge. Più avanti nel gioco in una sezione particolarmente toccante, saranno i suoni a guidarvi nell’oscurità. In questo esatto punto del gioco prenderete coscienza della maestria, dello stile e della delicatezza con il quale i Ninja Theory sono riusciti ad affrontare anche la privazione del vostro senso principale, la vista.

Meravigliosa allo stesso modo la colonna sonora realizzata da Andy Garcia e David La Plegua, capace di sottolineare con credibilità i tormenti interiori della protagonista.

…e alla fine ho sconfitto i miei demoni

Un esperimento. E’ questa la prima idea che mi sono fatto di Hellblade sin dal primo giorno che ho cominciato a seguire il development diary dei Ninja Theory. La grande attenzione al motion capture, alle musiche, al comparto visivo, alla malattia mentale, mi avevano dato l’impressione che i Ninja Theory avessero in mente ben più (o molto meno, a seconda dei punti di vista) di un videogioco, che mirassero a realizzare qualcosa di diverso in grado di raccontare una storia d’amore e morte, di sacrificio e di passione, attraverso un medium ingiustificatamente sottovalutato. Allo stesso tempo temevo che Hellblade potesse diventare solo una vetrina del talento del gruppo di Antoniades, peraltro indubbio.

Proprio questo talento tuttavia e il rispetto verso gli autori di due piccole e incomprese perle della scorsa generazione, Heavenly Sword e Enslaved , ha fatto si che tenessi ferma la mia fiducia, anche quando il gioco cominciava ad assumere una piega diversa da quello che mi sarei aspettato, trasformandosi a poco a poco, in un esperimento, in un prodotto ibrido a metà strada tra un gioco indie impegnato a raccontare il tema della malattia mentale e quella dell’intrattenimento di un titolo tripla A. Alla fine della fiera, tuttavia, l’aspetto puramente ludico ha ceduto il passo alla componente artistica: spogliandosi della necessità  di essere prodotto di intrattenimento e offrendo solo un gameplay spoglio, quasi abbozzato, Hellblade si è trasformato in qualcosa di diverso: un racconto, una avventura nei meandri della mente umana, un’opera artistica.

E’ questo il grande esperimento attuato da Ninja Theory con Hellblade: più della tecnica, del gameplay, delle musiche, dei tratti squisitamente ludici, è l’idea di poter coniugare la libertà narrativa e artistica propria degli sviluppatori indipendenti, con le tecnologie ed il budget di una produzione “main stream”, a rendere Hellblade una pietra miliare dell’industria videoludica.

Se questo esperimento sia riuscito o no, non siamo noi a doverlo dire. Hellblade è una esperienza personale, intima, a tratti disturbante e frustrante, a tratti meravigliosa e commovente, sempre però incredibilmente emozionante. E’ un passaggio obbligato nell’evoluzione del medium videoludico; potrete amarlo od odiarlo ma l’unica cosa che non potrete fare è ignorarlo.

Aggiornamento – Dallo scorso 11 aprile, Hellblade Senua’s Sacrifice è disponibile anche sull’ammiraglia di casa Microsoft. Il gioco è del tutto identico alle controparti PC e PS4 pubblicate lo scorso anno, ma la versione Xbox One X offre ben tre modalità grafiche aggiuntive. La prima favorisce la risoluzione in 4K, la seconda il framerate, molto vicino ai 60 ma riducendo leggermente il dettaglio visivo complessivo e infine troviamo la modalità Effetti Visivi Migliorati (Enriched Visuals Mode), che sebbene risulti avere una risoluzione leggermente inferiore al 4k, grazie ad un miglior post processing fa sì che Hellblade si avvicini molto alla versione PC maxata.

Hellblade: Senua's Sacrifice
8.5 / 10 4News.it
Disponibile suAmazon.it
Disponibile suPS4, XBOX One, PC
Pro
- Un'opera d'arte più che un videogame; - Un affascinante ritratto della malattia mentale; - Un comparto audio e video che vi lascerà senza parole.
Contro
- Gameplay ridotto all'osso - Longevità molto bassa
Riassunto
Hellblade è una esperienza personale, intima, a tratti disturbante e frustrante, a tratti meravigliosa e commovente, sempre però incredibilmente emozionante. E’ un passaggio obbligato nell’evoluzione del medium videoludico; potrete amarlo od odiarlo ma l’unica cosa che non potrete fare è ignorarlo.
Gameplay
Grafica
Sonoro
Longevità
Giudizio finale



PRO


CONTRO

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