Se convinci testate giornalistiche di spessore come Edge a dedicarti la copertina del suo mensile significa che qualcosa di speciale lo possiedi. E questo Dino Patti e Chris Olsen, fondatori dei Jumpship, lo sanno bene, perchè la loro creatura Somerville (disponibile su Steam, Xbox Serie S/X e Gamepass) si è presentata in maniera eccellente al pubblico, destando l’interesse dei molti appassionati del panorama indie, visto che il primo altro non è che l’ex co-fondatore dei Playdead, lo studio che ci ha regalato Limbo ed Inside, ed il secondo un veterano artist animator dei film di Star Wars e Marvel. Sì, è un bel biglietto da visita, e ciò porta anche grandi aspettative. Somerville sarà riuscito a rispettarle?
Versione testata: Steam
Che gioco è?
Somerville è un’avventura narrativa lineare che utilizza la sua potenza visiva e il comparto artistico come veicoli per una narrazione silenziosa e a libera interpretazione, in particolare nelle sue criptiche fasi finali.
L’incipit della storia, sulle note di una splendida traccia al pianoforte, ricorda molto la pietra miliare della cinematografia sci-fi “La Guerra dei Mondi”, con un’invasione aliena su larga scala che separa il protagonista dalla sua amata e da suo figlio durante una dolce serata in famiglia davanti alla televisione.
Il nostro protagonista silenzioso, il padre di famiglia, si ritroverà quindi dopo pochi minuti ad intraprendere un coraggioso viaggio alla ricerca dei suoi affetti insieme al suo fidato cane, attraverso scenari di totale desolazione dove la razza umana sembra essere scomparsa di punto in bianco.
Perché giocarlo?
Il grande, grandissimo, punto di forza di Somerville è il comparto visivo. Non esageriamo se affermiamo che il titolo Jumpship dispone di una delle migliori direzioni artistiche mai viste in un videogame (e qui la mano di Olsen è evidente). Lo stile lowpoly viene valorizzato da un’illuminazione di pregio e da colori pastello sempre azzeccati, il tutto in ambientazioni piene di dettagli, dinamiche ed estremamente caratteristiche.
Ma a rubare la scena sarà la regia della telecamera, fissa ma variabile, come un lungo piano sequenza, che ad ogni scenario si piazza con l’angolazione giusta per farci godere degli splendidi scorci che sembrano essere usciti direttamente dai classici artwork di bozza con cui ogni videogame viene presentato agli investitori.
Che siano campi lunghi, zoom in primo piano o grandangolari, la fotografia di Somerville è quasi allo stato dell’arte, tanto da poterla considerare come il vero narratore degli eventi.
Ma Somerville è prima di tutto un videogioco, e la nostra epopea verrà di tanto in tanto inframmezzata da enigmi ambientali mixati ad alcuni espedienti sci-fi molto semplici ma comunque sufficientemente interessanti da poterci impegnare lungo il corso della breve avventura (4/5 ore di durata). Badate bene, non è un platform e nemmeno un’avventura grafica, il gameplay loop è mero strumento degli eventi e non parte centrale dell’esperienza narrativa.
Narrativa molto criptica ad esser sinceri (principalmente sul finale) con diverse chiavi di lettura, che, pur iniziando in maniera canonica per uno sci-fi, andrà ad abbracciare temi molto più profondi come l’accettazione della perdita e del proprio destino. Non vi nascondiamo però la possibilità che alcuni di voi potrebbero cogliere messaggi differenti dai nostri, esattamente come successe per Inside e Limbo.
Perché no?
Il ritmo….brrr. Somerville casca rovinosamente in alcune scelte di gamedesign inspiegabili che distruggono clamorosamente il ritmo dell’incedere dell’avventura.
Il vero problema della produzione Jumpiship risiede nel voler forzatamente dettare il ritmo gestendo in automatico la velocità di camminata del protagonista. E la maggior parte delle volte sarà una camminata lenta, affaticata e tediosa che immaginiamo abbia tre funzioni: la prima è quella di rendere giustizia agli splendidi scenari, facendovi passare più tempo del necessario a vagare dandovi la possibilità di osservare la meravigliosa direzione artistica. La seconda è quella di trasmettere il senso di fatica del protagonista, costretto ad assurde peripezie, e di non rompere l’atmosfera cinematografica che Olsen ha chiaramente dato a Somerville. La terza è allungare innaturalmente la longevità, probabilmente raddoppiandola.
Ma tutto ciò semplicemente ci farà sentire come incatenati, mai liberi di poter incidere sull’evolversi dell’avventura, quantomeno nel suo ritmo. Nel cercare di proporre la loro visione di science fiction adventure game (cit. Chris Olsen, Director di Somerville) i Jumpship si scordano di prendere in considerazione anche noi videogiocatori con delle scelte di game design in grado di coinvolgerci ancor di più negli eventi.
Questa latente frustrazione peggiora quando si incappa in alcuni bug, sia grafici che audio, che vi costringeranno a ricaricare il salvataggio. (In data di rilascio, con un rapido replay dei capitoli problematici ho potuto constatare che la maggior parte dei bug che ho riscontrato è stato fixato [ndr]).
Sia gli enigmi che le brevi sezioni stealth soffrono anche loro di questa scelta di design, che anche i più moderni walking simulator hanno abbandonato. La sensazione è che Somerville sia rimasto ancorato ad una visione del videogioco indie decisamente poco ambiziosa, e visto il ben di dio che ci fa ammirare con i suoi incredibili scorci, questo non fa che aumentare la delusione. Somerville è purtroppo un’occasione sprecata.
Commento finale
Somerville è un viaggio che vale sicuramente la pena di essere intrapreso per poter godere del suo più grande pregio, ovvero la direzione artistica, che speriamo possa fare scuola. Il nostro personale augurio è che Jumpship riesca a fare anche il proverbiale salto di qualità dal punto di vista ludico, aspetto in cui Somerville sfortunatamente inciampa rovinosamente, cadendo nel limbo (perdonate il gioco di parole) degli indie narrativi che vorrebbero ma non possono.