Recensione Milk

Biografia di un eroe americano

Il giorno del suo quarantesimo compleanno, Harvey Milk, omosessuale che lavora a Wall Street, decide insieme al suo compagno, Scott Smith, di trasferirsi a San Francisco dove si respira un’aria di grande fermento culturale. Sfidando i pregiudizi, i due riescono ad avviare un’attività commerciale, il Castro Camera, un negozio di fotografia che diviene in breve tempo il principale luogo di aggregazione della città per giovani attivisti omosessuali. Harvey, sostenuto dalla gente del suo quartiere, si candida più volte alla carica di consigliere comunale finché al terzo tentativo la ottiene. Ma nell’America conservatrice degli anni Settanta, la lotta per l’emancipazione costerà cara al neo politico progressista. La storia di Harvey Milk, primo politico apertamente gay ad essere eletto per una carica pubblica, meritava sicuramente attenzione da parte del mondo della celluloide e chi meglio di Gus Van Sant, omosessuale dichiarato e regista di favole nere legate alla cronaca, poteva essere in grado di raccontarla in un film. Il suo Milk risuona forte come un proclama e riesce a farsi voce e guida di una comunità, quella omosessuale, ancora lontana dalla conquista di diritti fondamentali, attraverso l’esempio di uno dei suoi rappresentanti più autorevoli. La figura di Milk potrebbe essere accostata a quella di un condottiero, armato dell’ostinazione e del coraggio necessari per affrontare le aspre battaglie politiche che l’hanno portato all’orribile morte avvenuta per omicidio nel 1978. Ma il film di Van Sant, pur ancorato a una forte base politica (ricordiamo che non a caso è uscito negli Stati Uniti il giorno seguente all’elezione di Obama), riesce a discostarsi in parte da essa, orientandosi su una disamina biografica ed esistenzialistica. Vengono ripercorsi infatti gli ultimi otto anni della vita di Harvey Milk e il regista sceglie di mettersi completamente al suo servizio, lasciando parlare lo script fin troppo didascalico scritto da Dustin Lance Black, che ci racconta non solo dei traguardi di una vita, ma anche delle rotte da essa segnate. Van Sant mette in sostanza il suo protagonista davanti a tutto perché lo si possa conoscere, si possa comprendere ancor oggi quanto sia stato importante per la parità dei diritti, si possa soprattutto continuare a far circolare il suo nome come esempio di eroismo anche nelle nuove generazioni. Inoltre mischia abilmente materiale di repertorio e immagini di finzione, compiendo anche un’operazione originale secondo quella tecnica del found-footage, che permette di riattualizzare e dare un nuovo senso a un materiale già esistente con la vera e propria ricostruzione dei filmati d’epoca. Milk si rivela in definitiva un film piuttosto lineare nella forma, che si poggia quasi per intero sulla straordinaria interpretazione di Sean Penn (molto somigliante nell’aspetto e nella voce al personaggio reale) e dei suoi ottimi comprimari (da Josh Brolin a James Franco), ma che fonda tutto il suo fascino sul messaggio di grande libertà veicolato e sulla capacità di mostrare il reale con vocazione documentaristica, che include anche la sua degenerazione, diventando in questo modo opera universale e di ampio respiro.

 

 

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