Nell’attuale panorama videoludico, l’ibridazione ruolistica, e più nello specifico l’influsso delle meccaniche e della struttura soulslike, sta prendendo sempre più il sopravvento. Di conseguenza, è sempre più difficile trovare degli action game slegati da statistiche, ed in generale, dai dogmi di questo sotto-genere quali stamina o respawn dei nemici.
Lo studio interno di Capcom responsabile dell’immenso Devil May Cry 5 sta lavorando al sequel di Dragon’s Dogma. Team Ninja, autore della serie Ninja Gaiden, ormai da anni sviluppa action ibridati come Nioh o il prossimo Wo Long. Sony Santa Monica ha rivoluzionato il suo God of War, inserendovi meccaniche e struttura ruolistiche. E potremmo ancora continuare.
Gli italianissimi Reply Game Studios con il loro Soulstice cercano proprio di inserirsi in questo contesto “di magra” con un gioco dal core action “alla Devil May Cry” senza però rinunciare ad una narrazione e a scelte registiche tipiche delle incarnazioni meno “hardcore” del genere come i “God of War pre-reboot”.
Scopriamo insieme se questo solstizio di declinazioni di uno stesso genere può convivere all’interno di una sola produzione.
Soulstice, pubblicato da Modus Games, è disponibile da oggi 20 settembre su PlayStation 5, Xbox Series X|S e PC.
Versione testata: PS5
Chiudere la Breccia e salvare il mondo
L’equilibro del Sacro Regno di Keidas viene compromesso quando i feroci Spettri lo invadono con l’apertura della Breccia, portando morte e distruzione. Queste mostruosità corrompono le proprie vittime generando i Corrotti e possono persino impossessarsi dei loro corpi, trasformandosi in aberrazioni inarrestabili, i Posseduti. Le Chimere, guerrieri ibridi forgiati dall’unione di due diverse anime, rappresentano l’unica speranza dell’umanità.
Le protagoniste dell’avventura sono due sorelle, Briar e Lute, che tramite un rituale vengono trasformate in una Chimera. Alle due sorelle spetta l’arduo compito di chiudere la Breccia, salvare il mondo e allo stesso tempo scoprire la verità sulle proprie origini e sul proprio potere.
La narrazione di Soulstice ci ha veramente sorpreso. L’intreccio funziona alla grande, stuzzica continuamente il videogiocatore che si sente invogliato a continuare a giocare per scoprirne tutti i misteri.
Misteri che affondano le proprie origini in una lore ottimamente costruita e che va a delineare un mondo di gioco affascinante, con ancora tantissimo potenziale inespresso che speriamo possa venire esplorato negli anni a venire.
Per finire, tutti i personaggi sono scritti veramente bene. Basti pensare ai bellissimi scambi di battute tra le due sorelle durante i (pochi) momenti morti. A tal proposito, vogliamo segnalare anche l’ottimo lavoro di doppiaggio svolto da Stefanie Joosten che da la voce ad entrambe.
L’impianto narrativo di Soulstice, insomma, nonostante l’abusatissimo cliché del “mondo da salvare”, lascia spazio a pochissime critiche, grazie ad uno sviluppo intelligente della vicenda e soprattutto ad un background narrativo ideato a puntino.
Solstizio d’anime
In Soulstice controlleremo le due sorelle, ma come se fossero un unico personaggio. In linea di massima, Briar si occuperà di attaccare, Lute di difendere.
Il nostro arsenale includerà un arma principale con (purtroppo) solo due combo, tuttavia queste potranno essere mixate con le combo delle armi secondarie (tante, non vi diciamo il numero, ma sono tante) per creare un discreto ventaglio di soluzioni offensive. Per quanto riguarda quelle difensive, avremo un tasto per far fronte agli attacchi nemici e un tasto per la schivata. Presente anche la “classica” trasformazione temporanea tipica degli esponenti del genere.
Ovviamente come in qualsiasi buon action che si rispetti, con l’esperienza guadagnata sul campo di battaglia potremo sbloccare nuove mosse e skill attive e passive che andranno ad allargare a dismisura il bacino di soluzioni offensive e difensive da cui poter attingere.
Un action game senza dei nemici studiati a dovere non è un buon action game. E fortunatamente anche in questo caso il lavoro svolto dagli sviluppatori può dirsi ampiamente riuscito. Abbiamo tre macro-categorie di nemici diversi, e in ognuna di esse troviamo svariate mostruosità da affrontare in maniera specifica e con pattern di attacco ben differenziati. Menzione d’onore per gli scontri con i boss, in cui il concetto appena spiegato trova la sua espressione massima, che si può sintetizzare nelle classiche “fasi”.
Il sistema di combattimento, dunque, è vario, appagante e, almeno superficialmente, più accessibile anche per chi non è avvezzo al genere. Il flow dell’azione riesce a rendere ogni singolo scontro di Soulstice veramente un piacere da giocare, nonostante qualche difetto che non pensa più di tanto, o almeno non pensa fino ad un certo punto, ma ci ritorneremo dopo.
Se la declinazione “hardcore” dunque può dirsi promossa a pieni voti, anche l’anima legata alla componente più “permissiva” ci ha convinto. Tra un combattimento e l’altro ci ritroveremo ad affrontare dei piccoli enigmi ambientali e delle semplici sezioni platform che riescono a spezzare il ritmo in maniera egregia.
Il paradosso del gatt… della chimera
Conoscete il paradosso del gatto di Schrödinger? Ecco, diciamo che Soulstice vive un paradosso del genere.
Facciamo riferimento a problemi e/o difetti che possono manifestarsi o meno in base a tanti fattori imprevedibili che possono sorgere o non sorgere se si gioca ad alti livelli e si vuole approfondire il titolo.
Ma torniamo un attimo indietro. Soulstice ha un core da action game nudo e crudo. Oltre al sistema di combattimento descritto in precedenza, nel gioco sono presenti un sistema di ranking, delle missioni segrete, tanti livelli di difficoltà. Storicamente, è un genere che punta tantissimo sulla rigiocabilità. Ed ecco che troviamo il primo problema che potrebbe non essere un problema a seconda di come il videogiocatore si approccia al gioco.
Una run completa di Soulstice dura ben 20 ore. Se da un lato ciò è un grandissimo pregio, anche perché l’esperienza è appagante e mai ripetitiva, dall’altro lato, in ottica perfezionamento e rigiocabilità questa abbondanza potrebbe pesare.
Il secondo paradosso è ancora più problematico. Ricordate i piccoli difetti a cui accennavamo prima? Facciamo riferimento al binomio formato da telecamera che impazzisce e lock-on che decide in autonomia il nemico da lockare e non c’è verso di rimediare.
Se giocando “superficialmente” questi sono difetti su cui si riesce a sorvolare, soprattutto perché i combattimenti restano comunque belli ed appaganti, quando decidiamo di approfondire il titolo, puntando ad ottenere punteggi elevati, questa situazione potrebbe (sottolineiamo il condizionale) generare tedio e frustrazione nell’action gamer, principale target del gioco, a causa del poco controllo dell’azione in determinate situazioni. A ciò aggiungiamoci un pizzico di inesperienza mostrata dagli sviluppatori nella composizione degli enemies encounters, soprattutto in riferimento ai remix delle difficoltà maggiori che ci mettono contro nemici da colpire con diverse tipologie di attacco mentre la telecamera e il lock-on “non funzionano”.
Commento finale
Paradossalmente, ci sentiamo di consigliare l’ultima fatica di Reply Game Studios soprattutto a chi non approfondisce questa tipologia di giochi perché, a differenza di altri esponenti del genere, in Soulstice troveranno un’avventura da 20 ore con un impianto narrativo catching e un sistema di combattimento più accessibile, graziata da un’eccelsa direzione artistica e da un imponente lavoro registico che regala campi larghi che fanno cadere la mascella a terra in più di un’occasione, nonostante qualche eccesso.
Tuttavia, tenendo a mente quanto detto in precedenza circa il bilanciamento post-game, Soulstice merita una chance anche da parte di chi mastica pane e Devil May Cry: magari vi salterà qualche nervo, ma il titolo riuscirà comunque a regalarvi enormi soddisfazioni, fidatevi.