Recensione Elden Ring: Nightreign: un nuovo inizio tra luce e ombra

Quando FromSoftware ha presentato Elden Ring: Nightreign, lo scetticismo è stato immediato. Perché cambiare formula? Perché stravolgere un equilibrio – quello tra esplorazione, combattimento e narrazione frammentaria – che aveva incantato milioni di giocatori? La risposta è semplice: dopo un fenomeno globale come Elden Ring, era impossibile ripetersi con la stessa struttura. Serviva una deviazione. Serviva un rischio.

Nightreign nasce proprio così, come esperimento interno trasformato in prodotto reale, diretto da Junya Ishizaki, figura storica dello studio. Ed è un progetto che si porta addosso tutto il peso dell’eredità Soulsborne, ma anche il desiderio dichiarato di fare qualcosa di diverso.

Lo fa spostando il focus: dalla solitudine alla squadra, dall’attesa all’urgenza, dalla contemplazione alla reazione. È ancora l’Interregno – o una sua variazione – ma l’approccio è nuovo. Brutale, affascinante, incompleto.


Versione testata : PlayStation 5


Un Interregno deformato

La premessa narrativa è classica, ma con una torsione originale. Non c’è un Prescelto da creare. Non c’è un mondo da redimere in solitaria.
In Nightreign, i giocatori impersonano uno degli otto Penitenti, guerrieri intrappolati nella Rocca della Tavola Rotonda, al di fuori del tempo e dello spazio, costretti a ripetere infinite Spedizioni nella regione corrotta di Plagaride, un mondo mutante dove si nascondono i Signori della Notte.

Ognuno dei Penitenti porta con sé una cicatrice dell’Interregno. Alcuni sono ex seguaci dell’Albero Madre, altri sono sopravvissuti a guerre dimenticate, altri ancora sembrano venire da epoche parallele. Il fascino sta proprio nel dettaglio: ogni gesto, ogni frase sbloccata nel tempo, ogni missione legata alle Rimembranze, costruisce un’identità che va oltre il semplice ruolo da combattente. In un gioco che riduce la libertà esplorativa, questi frammenti biografici diventano fondamentali per mantenere il coinvolgimento, dando al giocatore una motivazione intima per continuare a combattere — non solo per vincere, ma per capire.

È un setting che mescola echoes familiari di Elden Ring con nuove suggestioni: la narrazione è più esplicita, e ogni personaggio ha una storia personale da scoprire attraverso il sistema delle Rimembranze, memorie sbloccabili che regalano frammenti di passato e potenziamenti permanenti.

Ma è nella scelta dei protagonisti che arriva la vera rottura: non si crea un personaggio, si sceglie uno di otto guerrieri predefiniti. Ognuno ha abilità uniche, uno stile di combattimento specifico e un’identità narrativa che lo distingue dagli altri. Non sono classi: sono persone.

Questa scelta, se da un lato limita la libertà di costruzione del proprio alter ego, dall’altro permette a FromSoftware di sperimentare in profondità, creando archetipi giocabili con meccaniche mai viste prima: la Rediviva, evocatrice di spiriti familiari; il Giustiziere, capace di trasformarsi in belva; la Spina, dotata di trappole letali e mobilità estrema.

Le Spedizioni: un ciclo senza pace

Il fulcro di Nightreign è rappresentato dalle Spedizioni, missioni a ciclo chiuso in cui i tre Penitenti (o uno solo, ma sconsigliato) devono affrontare una corsa contro il tempo in Plagaride, una mappa assemblata in modo semi-procedurale.

Ogni spedizione dura circa un’ora e si articola in due giornate di esplorazione e due notti di boss fight, per poi culminare nello scontro con un Signore della Notte. Durante il giorno si esplorano rovine, si affrontano nemici minori, si accumulano Rune, si potenzia l’equipaggiamento. Ma bisogna fare in fretta: la Marea Notturna – una pioggia magica – restringe progressivamente l’area giocabile, costringendo il team a convergere verso un’arena per affrontare il mini-boss di fine giornata.

Prima di partire, è possibile selezionare dal menù della Rocca quale Signore della Notte affrontare. Questa scelta influenza pesantemente la struttura della spedizione: alcune zone compariranno solo con determinati boss, così come certe reliquie o eventi narrativi. Tuttavia, non tutto è sotto controllo. Alcuni potenziamenti chiave possono comparire solo in punti casuali della mappa, e il loro ritrovamento dipende dal percorso preso. Questa parziale imprevedibilità dona varietà al loop, ma può anche alimentare frustrazione se si è alla ricerca di build specifiche.

Superata la seconda notte, se si è ancora vivi, ci si gioca tutto contro il boss finale. La vittoria garantisce nuove Reliquie permanenti, mentre la sconfitta spesso cancella progressi e lascia l’amaro in bocca.

Pressione costante, libertà negata

L’effetto collaterale più evidente di questa struttura è il senso costante di urgenza. Non si esplora: si corre. Non si osserva: si calcola.

Le architetture sontuose, le cattedrali rovinate, i castelli fluttuanti che punteggiano Plagaride sono decorazioni sullo sfondo, belle da vedere ma impossibili da contemplare.
Nightreign prende la poetica della lentezza di Elden Ring e la capovolge: qui ogni secondo è prezioso, ogni deviazione è un rischio. Il gameplay ti incalza, ti pressa, ti minaccia. Ed è proprio qui che molti giocatori si spaccano.

Chi ama l’esplorazione libera e la costruzione lenta del proprio personaggio, troverà Nightreign alienante. Chi invece vive di tensione, di rischio, di ottimizzazione rapida, troverà terreno fertile. Ma il confine tra stimolazione e stress sistemico è sottile, e Nightreign lo oltrepassa più volte.

L’evoluzione silenziosa della mappa

Plagaride, in sé, è una mappa geniale e paradossale.
È fissa nella sua struttura (colline, fiumi, spiriti del vento), ma cambia continuamente negli elementi dinamici. I punti d’interesse – castelli, torri, rovine – vengono posizionati casualmente a ogni ciclo. E cambiano nemici, boss, ricompense.

Una zona può ospitare maghi Cariani in un ciclo, e Golem in quello successivo. Una cattedrale può nascondere un forziere leggendario o un’imboscata letale.
Inoltre, proseguendo nell’avventura, quattro macro-zone variabili – dette Terre Mutevoli – possono comparire a sorpresa, riscrivendo intere porzioni di mappa: una città infestata, un cratere pieno di boss, un picco ghiacciato, un bosco marcescente.

Sono dinamiche interessanti, ma anche profondamente ripetitive. Dopo qualche decina di ore, si iniziano a riconoscere i layout, a prevedere le trappole, a correre meccanicamente da un punto all’altro. E in un gioco che si nutre di sorpresa, questa ripetitività è un limite pesante.

Cooperazione obbligatoria, ma fragile

Il sistema cooperativo è il cuore pulsante del gioco, ma anche il suo tallone d’Achille.
Giocare con due amici affiatati, che conoscono le regole, che sanno quando attaccare e quando ritirarsi, che leggono la mappa e comunicano, è un’esperienza fantastica.
Ogni battaglia diventa una danza, ogni sinergia un’arma in più. Il Giustiziere apre, la Rediviva supporta, la Spina piazza le sue trappole. Il gioco brilla.

Ma tutto cambia se ci si affida al matchmaking casuale.
Troverete compagni silenziosi, disorientati, scoordinati. Penitenti che corrono da soli. Evocatori che non evocano. Giocatori che abbandonano dopo la prima sconfitta. In queste situazioni, Nightreign non perdona. Il tempo stringe, la Marea avanza, e una squadra disunita è una condanna.

ll gioco include un sistema di ping contestuali, che consente di segnalare oggetti, nemici o direzioni. Ma, sebbene utile, resta troppo limitato. Manca una vera chat di testo o vocale integrata, e questo rende difficile coordinarsi se non si usa una piattaforma esterna. In un gioco basato sulla sinergia, la comunicazione è tutto, e spesso ci si ritrova a fallire non per scarsa abilità, ma per mancanza di dialogo. È un limite importante, che speriamo venga risolto con futuri aggiornamenti, magari con l’introduzione di macro personalizzabili o segnali preimpostati più versatili.

Eppure, quando funziona, Nightreign riesce a regalare attimi purissimi.
Un’imboscata riuscita. Un alleato che si sacrifica per farvi vincere. Una vittoria all’ultimo secondo dopo una lotta disperata. In quei momenti, il gioco si avvicina alla magia cooperativa dei migliori MMO. Ma sono momenti rari, troppo rari.

Combattimenti da manuale, boss da leggenda

Sul fronte del combattimento, FromSoftware non tradisce le attese.
Il sistema eredita il cuore di Elden Ring, ma ogni Penitente lo modella in modo diverso. Alcuni usano parate e contrattacchi, altri evocazioni, altri ancora attacchi ad area o trasformazioni. Il risultato è un ventaglio di stili sorprendente.

E i boss? Semplicemente spettacolari.
Ce ne sono alcuni riciclati, è vero. Ma le nuove creature – soprattutto i Signori della Notte – sono tra i migliori mai creati dallo studio: giganteschi, multiformi, letali. Alcuni sembrano usciti da Bloodborne, altri da Dark Souls III, ma tutti condividono un design ispirato e meccaniche complesse.

Spesso richiedono l’uso di armi elementali specifiche, di interazioni ambientali, di coordinazione perfetta. Non si vince mai per caso. Ogni successo è sudato. Ogni sconfitta brucia.

I problemi: bilanciamento, ripetitività, frustrazione

Purtroppo, non tutto fila liscio. Il bilanciamento è uno dei nodi più evidenti.
In single-player, il gioco è praticamente inutilizzabile. La difficoltà è eccessiva, il tempo insufficiente, e i boss sono progettati per squadre.
Anche in co-op, però, emergono squilibri: alcune sfide sono troppo punitive, certe Reliquie sono inutili, alcune meccaniche – come le Invasioni o la perdita di livello – risultano frustranti.

La progressione è lenta e spesso legata al caso. Si può perdere mezz’ora per ottenere un potenziamento inutile. Si può fallire una spedizione per una mancanza di comunicazione. Si può restare bloccati in un ciclo senza via d’uscita. Tutto questo contribuisce a una curva emotiva molto instabile, fatta di picchi e crolli.

Ogni volta che si muore durante una spedizione, si perde un livello e si rischia di perdere anche il bonus ottenuto in precedenza. Non esiste un sistema di recupero come le macchie di sangue o le rune tradizionali: o si vince la run, o si riparte da capo. Questo sistema rigido, unito all’assenza di possibilità di voto per abbandonare una run fallita, può rendere alcune partite una prigione frustrante. Si finisce per portare avanti un ciclo sapendo già che sarà fallimentare, solo per non perdere tutto. Una scelta di design troppo punitiva.

Filosofia mutata, ma coraggio da premiare

In fondo, Nightreign è un gesto.
È FromSoftware che alza la mano e dice: “Proviamo a cambiare”. Non è perfetto, ma è autentico.
Prende una formula amatissima, la spezza, la rimonta. Non lo fa per vendere skin o stagioni. Lo fa per scoprire un altro modo di raccontare l’Interregno.

E forse è proprio questo che bisogna salvare: l’intenzione.
Perché se è vero che Nightreign non ha la profondità emotiva di Elden Ring, ha però un’anima diversa, ruvida, cooperativa, veloce. È figlio del suo tempo. E potrebbe essere il primo passo verso un nuovo futuro per From.

Commento finale

Elden Ring: Nightreign è un progetto coraggioso che cerca di ripensare l’Interregno attraverso la lente della cooperazione e della pressione costante. L’idea funziona, ma solo a metà. Quando la squadra c’è, l’esperienza brilla. Quando manca, tutto crolla. Il sistema di combattimento resta magnifico, le boss fight esaltano, ma la ripetizione e l’aleatorietà frenano la voglia di restare. Non è un nuovo Elden Ring. Non vuole esserlo. Ma nel suo essere qualcosa di diverso, dovrà ancora lavorare sodo per meritare lo stesso rispetto.

Forse Nightreign è il punto più distante raggiunto da FromSoftware nella sua evoluzione post-Souls, ma è anche uno dei più sinceri. Non è un gioco fatto per tutti, né vuole esserlo. È un’idea ancora in forma grezza, ma pulsante. E in un’industria che spesso preferisce replicare all’infinito ciò che funziona, vedere un colosso come From rischiare ancora è, di per sé, una piccola rivoluzione. Il futuro dirà se questo seme darà frutti. Per ora, ci resta il coraggio del tentativo. Ed è qualcosa che vale la pena giocare.

7.8

Recensione Elden Ring: Nightreign : un nuovo inizio tra luce e ombra


Elden Ring: Nightreign è un progetto coraggioso che cerca di ripensare l’Interregno attraverso la lente della cooperazione e della pressione costante. L’idea funziona, ma solo a metà. Quando la squadra c'è, l'esperienza brilla. Quando manca, tutto crolla. Il sistema di combattimento resta magnifico, le boss fight esaltano, ma la ripetizione e l’aleatorietà frenano la voglia di restare. Non è un nuovo Elden Ring. Non vuole esserlo. Ma nel suo essere qualcosa di diverso, dovrà ancora lavorare sodo per meritare lo stesso rispetto. Forse Nightreign è il punto più distante raggiunto da FromSoftware nella sua evoluzione post-Souls, ma è anche uno dei più sinceri. Non è un gioco fatto per tutti, né vuole esserlo. È un’idea ancora in forma grezza, ma pulsante. E in un’industria che spesso preferisce replicare all’infinito ciò che funziona, vedere un colosso come From rischiare ancora è, di per sé, una piccola rivoluzione. Il futuro dirà se questo seme darà frutti. Per ora, ci resta il coraggio del tentativo. Ed è qualcosa che vale la pena giocare.

PRO

Meccaniche cooperative solide e ben congegnate | Personaggi ben caratterizzati e diversificati | Boss fight spettacolari e difficili | Narrazione più presente del solito

CONTRO

In single-player è quasi ingiocabile | Bilanciamento spesso sbilanciato o casuale | Progressione lenta e frustrante | Ritmo troppo serrato, esplorazione sacrificata | Matchmaking inaffidabile

4News.it è una fonte di OpenCritic.com, il più grande aggregatore internazionale di review dedicato al mondo dei videogames.

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