Recensione The Legend of Heroes: Trails through Daybreak, il ritorno della migliore saga RPG che nessuno ha giocato

La nostra recensione di The Legend of Heroes: Trails through Daybreak si apre con un’accesa provocazione, quella che avrete letto nel titolo: il ritorno della migliore saga RPG che nessuno ha giocato. Al di là del tratto assolutista volutamente iperbolico, non siamo troppo lontani dalla realtà dei fatti.

The Legend of Heroes nasce, per mano di Nihon Falcom (creatori anche della serie Ys), come serie spin-off di Dragon Slayer nel lontano (sigh) 1989 destinata principalmente a NEC PC (un brand di computer rivolto perlopiù al Giappone). Fin da principio legata a doppio filo ad una distribuzione molto circoscritta per un pubblico di grandi appassionati, la saga avviò nel 2004 una nuova etichetta: Trials. Iniziava così, con Trials in the Sky, una serie di ben dieci capitoli (distribuiti inizialmente su PC e console portatili Sony, poi via via trasmigrati sulle home console PlayStation e Nintendo) capace di affermarsi nel panorama JRPG per qualità eccellenti soprattutto dal punto di vista narrativo, artistico e ludico.

C’era solo un piccolo, minuscolo problema: le dieci iterazioni della serie, oltre ad essere uscite su piattaforme assai diverse nel corso degli anni, erano tutte indissolubilmente legate da una lore condivisa, macroeventi intrecciati e personaggi ricorrenti. Un vero e proprio “muro” che fermava l’accesso alla serie da parte dei curiosi, consapevoli di trovarsi grandemente spaesati da una narrazione di così ampio respiro che richiedeva una conoscenza pressoché enciclopedica per poter essere apprezzata. Va da sé che un Trails into Reverie (l’ultimo capitolo del 2020), episodio conclusivo che riprendeva le fila di ben sei titoli precedenti (la serie Trails of Cold Steel, oltre a Trails from Zero e Trails to Azure), sebbene le proprie eccellenti doti, diventava quasi inavvicinabile. Una saga dunque dalla crescita qualitativa esponenziale ma relegata proprio per le sue caratteristiche solo ai fan più stakanovisti.

Dall’esigenza di fornire un nuovo punto di ingresso per una nuova generazione di fan nasce Trails through Daybreak che, sebbene sia comunque ambientato nello stesso mondo della serie e si sviluppi sulle basi di quanto precedentemente accaduto, può essere considerato una sorta di soft reboot con nuovi personaggi, nuove location e nuove minacce. Ma sarà davvero così? E soprattutto, Daybreak avrà mantenuto alta la qualità raggiunta dalla serie?

The Legend of Heroes: Trails through Daybreak è disponibile dal 5 Luglio per PC (via Steam), PlayStation 4, PlayStation 5 e Nintendo Switch.


Versione testata: PlayStation 5


Mi chiamo Van e risolvo problemi

Edith, capitale della Repubblica di Calvard. Il furto di un misterioso manufatto è al centro di uno scambio finito male tra opposti gruppi di malfattori. Nel frattempo, una giovane studentessa Agnes Claudel si mette alla ricerca proprio di tale oggetto, definito un “cimelio di famiglia”. Si rivolge dunque a Van Arkride, un individuo ricco di risorse che si occupa di gestire situazioni ai limiti della legalità nei limiti dell’aderenza al proprio codice di onore. Quella che sembra essere una banale caccia al tesoro diventerà però qualcosa di molto più grande. Qualcosa capace di mettere a rischio la stabilità dell’intera Repubblica ma anche di distruggere l’intero mondo.

Tutto inizia da questo incontro e da questa richiesta.

Una cosa deve essere assolutamente chiara: Nihon Falcom ci è riuscita nuovamente. Tutto, dai personaggi all’intreccio della storia, passando per il background che poggia le basi di un world building iniziato tanti anni fa, è estremamente solido, dettagliato e di altissima qualità. Motivazioni credibili e dinamiche interessanti rendono non solo il cast uno dei migliori della serie The Legend of Heroes, ma anche tra i più affascinanti degli ultimi anni in campo JRPG. La potenza del racconto inoltre, capace di passare da attimi di assoluta leggerezza a toni gravi che toccano saggiamente tematiche importanti, è encomiabile. Se non avete mai avuto occasione di apprezzare uno dei tratti caratterizzanti la serie, questa è senz’altro l’occasione giusta, complice anche una storia matura che ci ha conquistato. A patto di conoscere l’inglese però, visto che purtroppo Daybreak non può vantare i sottotitoli in italiano.

A livello artistico, anche la new entry della serie conferma la cifra stilistica dell’opera con personaggi accattivanti ed ambientazioni che, seppur semplici, lasciano il segno. Non vi aspettate, infatti, budget gargantueschi come quelli di altre software house. Nihon Falcom riesce a gestire e finanziare le proprie opere scendendo a qualche compromesso sul lato tecnico, seppur Daybreak si presenti assolutamente pulito, solido e piacevole. La modestia dei fondi traspare, ad esempio, nella ripetizione estetica forse eccessiva di qualche NPC… ma si tratta davvero di cercare il pelo nell’uovo, in oltre ottanta ore di playthrough. Dove invece non c’è assolutamente spazio per osservazioni è la colonna sonora. La soundtrack è, come da tradizione, evocativa se non addirittura superba, piena di brani orecchiabili e adatti ad ogni avvenimento.

Tecnicamente è un titolo modesto… ma tutte le sua qualità poggiano altrove.

Legale buono, neutrale malvagio o caotico neutrale

Dal punto di vista ludico, la struttura di Daybreak ruota intorno a diversi fattori.

Van ed i componenti della Arkride Solutions dovranno infatti esplorare le ambietazioni e completare incarichi 4SPGs, necessari per proseguire nella storia. Ciascun incarico, tanto quelli opzionale quanto obbligatorio, è così perfettamente integrato nella storia da essere una gioia da intraprendere. Daybreak, in questo senso, fa un lavoro decisamente più completo ed apprezzabile dei precedenti capitoli. Gran parte del merito è dato anche dalla libertà narrativa concessa al giocatore, capace di influenzare con le proprie azioni tre specifici livelli di moralità: legale, grigio e caotico. Le decisioni influenzeranno non solo lo sviluppo del personaggio e l’esito di alcuni incarichi, ma permetteranno di sbloccare (o bloccare) determinate opzioni nella storia. Variazioni a tal punto apprezzabili da far lievitare il fattore rigiocabilità, ve lo assicuriamo, benché il finale della vicenda sia il medesimo in ogni caso.

Talune ispirazioni orientali sono evidenti.

Daybreak eredita poi dai suoi illustri predecessori buona parte di alcuni sistemi, come quello degli Orbments (per i meno smaliziati, richiama le Materia di Final Fantasy VII) che, una volta equipaggiati, garantiscono ai personaggi speciali abilità magiche, variazioni di status e molto altro. Le possibilità tattiche sono innumerevoli, soprattutto grazie alla vera novità di questo capitolo.

Sono stati introdotti infatti due diversi sistemi di battaglia: una classica modalità strategica a turni ed una di stampo action RPG. Quest’ultima si fonde perfettamente con la tradizionale con la semplice pressione di un pulsante. Il personaggio può dunque iniziare uno scontro sfruttando determinate abilità d’azione e poi passare alla modalità a turni per sfruttare tutte le sfumature tattiche del titolo.

Anche nella modalità strategica infatti è possibile muoversi liberamente su una limitata porzione del terreno, per studiare posizionamento e raggio di azione di abilità offensive e difensive. Il trionfo in battaglia passa non solo da una corretta lettura delle situazioni, ma anche dal saper sfruttare la possibilità di concatenare gli attacchi con gli altri membri del party. Comportandosi lodevolmente permette di riempire la barra CP e sprigionare un devastante attacco S-Craft capace di radere al suolo ogni difesa. Van può addirittura sfruttare un’abilità di trasformazione in determinati frangenti, che cambia le carte in tavola del gameplay in modo molto soddisfacente.

Il duplice sistema di combattimento diverte e convince.

Dal tramonto all’alba

Daybreak è dunque il miglior capitolo della serie al punto di essere considerato senza alcuna macchia? Tendenzialmente si, ci va tremendamente vicino. Anche se non manca qualche sbavatura.

Sebbene praticamente inattaccabile grazie all’attentissima scrittura di Nihon Falcom, abbiamo riscontrato qualche tentennamento dal punto di vista del ritmo. Soprattutto all’inizio infatti prevale una generale lentezza a tratti fastidiosa. Fortunatamente il world building è di così pregevole fattura che si chiude un occhio, ma la problematica resta.

Il sistema di combattimento ibrido, dal canto suo, è godibilissimo anche se non perfetto. A partire da un’IA degli alleati che, nelle fasi action, è evidentemente poco reattiva, passando per la difficoltà generale che è stata addolcita rispetto ai precedenti titoli della serie. La sensazione che resta è quella comunque che il combat strategico sia sempre la soluzione migliore e più gratificante, mentre l’approccio d’azione premia quasi esclusivamente per liberarsi dei nemici più deboli. Una scelta per diversificare il flow e rendere il grinding più appetibile, ma che palesa dove gli sviluppatori abbiano concentrato tutte le attenzioni.

Insomma, sono tutte osservazioni che emergono non tanto agli occhi dei nuovi fan quanto piuttosto di coloro che hanno seguito la serie nella sua lunga ed appassionata storia. Preso in sé e per sé, Daybreak è a conti fatti il vero ed unico punto di accesso ad oggi possibile nei confronti della serie. Una vera e concreta alternativa al dover affrontare in batteria ben dieci titoli. Certamente mancherà il tono epico di Trails of Cold Steel IV, che aveva goduto della cavalcata della tetralogia, così come alcune finezze tattiche dal lato combattimento che in Daybreak si modernizza ed alleggerisce. Ma non abbiamo dubbi che mai come adesso è il momento migliore di saltare sul carro di questa stupenda saga… e chissà, innamorarsene a tal punto di recuperarla integralmente.

Ci sono alcune assonanze con le Materia di Final Fantasy VII nella serie.

Commento finale

The Legend of Heroes: Trails through Daybreak è l’ennesima dimostrazione di quanto Nihon Falcom abbia lavorato sulla bontà della serie, nel corso degli anni. Da prodotto di estrema nicchia verso platee via via più ampie con la forza di una scrittura incontenibile ed un gameplay progressivamente affinato, Daybreak rappresenta al contempo un punto di arrivo ed una nuova ripartenza per la saga. Da un lato, incarna l’espressione più alta e piena della maturità raggiunta dalla serie che, al netto di un comparto tecnico modesto, vi saprà ricompensare con un grande JRPG ricco e stratificato narrativamente e ludicamente. Dall’altro lato, la decisione di liberarsi di alcuni vincoli del passato permette al titolo di essere il punto di ingresso migliore per approcciarsi finalmente a questa saga, a patto di andare d’accordo con l’inglese. Non ve ne pentirete.

8.5

The Legend of Heroes: Trails through Daybreak


The Legend of Heroes: Trails through Daybreak è l'ennesima dimostrazione di quanto Nihon Falcom abbia lavorato sulla bontà della serie, nel corso degli anni. Da prodotto di estrema nicchia verso platee via via più ampie con la forza di una scrittura incontenibile ed un gameplay progressivamente affinato, Daybreak rappresenta al contempo un punto di arrivo ed una nuova ripartenza per la saga. Da un lato, incarna l'espressione più alta e piena della maturità raggiunta dalla serie che, al netto di un comparto tecnico modesto, vi saprà ricompensare con un grande JRPG ricco e stratificato narrativamente e ludicamente. Dall'altro lato, la decisione di liberarsi di alcuni vincoli del passato permette al titolo di essere il punto di ingresso migliore per approcciarsi finalmente a questa saga, a patto di andare d'accordo con l'inglese. Non ve ne pentirete.

PRO

Un capitolo che permette di avvicinarsi ad una grande saga JRPG | Scrittura fenomenale | Duplice sistema di combattimento, divertente e gagliardo |

CONTRO

Tecnicamente resta modesto rispetto ad alcuni concorrenti | Non ha sottotitoli in italiano | Ritmo iniziale un po' blando |

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