Si dice, da tempo immemore, che l’attesa del piacere è di per sé il piacere stesso e mai come nel caso specifico della nuova stagione di The Witcher, serie tv targata Netflix ispirata all’opera letteraria di Andrzej Sapkwoski, questa affermazione è stata più vera. A distanza di due anni dalla prima, per carità ottima, ondata di episodi, Lauren Schmidt Hissrich è pronta a mettere in mostra nuovamente il suo talento creativo, con una seconda stagione chiamata a confermare quanto di buono visto finora ma soprattutto a far compiere alla serie quel necessario e quasi doveroso passo in avanti.
Dopo aver visto, praticamente tutti d’un fiato, gli otto episodi da cui è composta la seconda stagione posso affermare senza alcun dubbio (o magari forse qualcuno?) che il fatidico passo in avanti c’è stato, l’ho percepito sin da subito, e come risultato mi sono ritrovato dinnanzi a un prodotto ancor più solido, preciso e curato che in passato, capace di fondere perfettamente la forte ispirazione sia per l’opera letteraria sia per la sua controparte videoludica (per certi versi più famosa, almeno nel nostro Paese), senza però mai dimenticare di essere uno show televisivo e che per tali motivi necessita di una gestione a sé stante.
La seconda stagione di The Witcher sotto diversi aspetti è esattamente quello di cui i fan della saga avevano bisogno: un viaggio nell’animo di un protagonista tanto amato quanto a volte fin troppo “scontato” e la sua trasformazione da guerriero a “padre”, un viaggio all’interno di un mondo ricco di forze in gioco soltanto abbozzate in passato e una panoramica degna dei migliori obiettivi grandangolari contemporanei su un bestiario di creature ricco e affascinante come non mai. E, con grande piacere, posso dirvi che tutto funziona alla grande, seppur alcune cose mi siano piaciute leggermente meno rispetto ad altre. Se volete sapere cosa e perché, beh, non vi resta che proseguire con la lettura della nostra recensione!
The Witcher: c’era una volta una principessa, un guerriero e tanti mostri
A livello strettamente narrativo, la seconda stagione di The Witcher riprende esattamente da dove si era conclusa la prima, sulle ceneri di un finale carico di epicità, passione, sentimento e soprattutto dolore. L’incontro con Ciri, avvenuto proprio sul gong della prima stagione , apre le porte a quello che è l’epicentro della nuova stagione, che ruota proprio – principalmente – sulla figura della giovane e temeraria principessa di Cintra, scappata all’orrore della guerra e a un destino beffardo, attratta come un magnete a quello che, in buona sostanza, rappresenta il suo futuro: Geralt. I due hanno subito avvertito il loro legame speciale, un legame talmente forte da riuscire a far mettere in qualche modo in secondo piano – per Geralt – la (presunta) morte di Yennefer, l’amore inaspettato e ora perduto dello Strigo.
È proprio la nascita, la crescita e soprattutto il consolidamento di questo rapporto il tema centrale di tutta la seconda stagione, che si focalizza però anche sul dare il giusto “contorno”, richiamando con forza e decisione tutti i discorsi geopolitici tanto cari alla penna di Sapkovski e che in questa seconda stagione risultano ancor più centrali e determinanti per il proseguo della storia. È un susseguirsi di storie intrecciate, di tradimenti, di colpi di scena e di momenti al cardiopalma, in cui fanno capolino – finalmente – anche alcuni dei luoghi e dei volti più iconici del mondo di The Witcher, tirati in ballo e contestualizzati alla perfezione in un mix perfetto di fedeltà narrativa e di ardore creativo, sempre evidente in ogni passaggio. Basti pensare ad esempio all’introduzione del maniero dei Witcher, quella Kaer Morhen alla quale Geralt fa ritorno per tenere al sicuro la sua Cirilla e che diventa subito un po’ il “firelink shrine” della vicenda, un luogo sicuro a cui fare ritorno e in cui mettere in piedi le proprie idee in attesa di ripartire, condito però da uno spettrale alone di mistero e pericolo tipico di un universo narrativo e tematico ricco di oscuri segreti e potenziali minacce di ogni sorta.
In questo contesto – a metà tra la lotta politica e la crescita del personaggio di Ciri – si muove un plot narrativo che non disdegna mai di spingersi sempre più avanti sia a livello tematico sia proprio in termini di violenza narrativa, spiattellando con forza e soprattutto con una velocità impressionante un numero di eventi che letteralmente non lasciano spazio all’immaginazione, fino a toccare temi importanti e straordinariamente centrali, legati fortemente e, anzi, desiderosi di omaggiare la trasposizione videoludica dello scrittore polacco e della sua visione di “fine del mondo”, argomento che diventa il tema portante sia della stagione corrente sia di quello che si preannuncia il seguito di una vicenda che ha raggiunto il suo climax proprio nelle fasi finali di un ultimo episodio semplicemente pirotecnico. Senza entrare troppo nello specifico, non voglio assolutamente togliervi il piacere della scoperta, posso assicurarvi che a livello narrativo e tematico la seconda stagione sovrasta letteralmente la prima, espandendosi in maniera sapiente, coerente e soprattutto continua, sia in termini di contenuti sia per quel che riguarda la gestione dei personaggi e delle forze in gioco, sempre più centrali nell’economia di un prodotto per certi versi inattaccabile.
Direzione spettacolare, ritmo…altalenante (ma convincente)
Di pari passo con l’ottima resa narrativa e tematica, la seconda stagione di The Witcher affonda il proprio successo – come dicevo poc’anzi – anche da un punto di vista della produzione e della messa in scena, che sin dalle primissime battute risulta più a fuoco, più precisa e sopratutto di un livello nettamente superiore in termini di qualità e di possibilità. Partendo già dalle riprese e dai costumi, basandoci banalmente sulla primissima puntata nello splendido maniero di Niveldeen, il forte “boost” ricevuto dalla produzione appare fin troppo evidente, ed è possibile assistere a scorci creativi veramente impressionanti. Colorato, vivo, ricco di dettagli e con una ricercatezza nei dettagli a tratti clamorosa, l’aspetto qualitativo della resa artistica messa in piedi per questa stagione è a tratti clamoroso, e si sposa perfettamente con quella voglia di rendere ogni passaggio più veloce e frenetico ma mai superficiale.
Rispetto alla prima stagione, infatti, si avverte una maggior voglia di andare spediti, di non temporeggiare e di partire sempre a “cannone” nel rappresentare un determinato segmento narrativo, aspetto che ben si sposa anche con la scelta di rendere più lineare la narrazione e non più “intricata” a livello di linee temporali, rendendo tutto più piacevole e “semplice” da seguire. Il tutto poi si lega anche al ritmo generale degli episodi decisamente più intenso rispetto alla vecchia stagione e che si avverte maggiormente sia nella parte finale sia e soprattutto nella primissima ondata di episodi (i primi 3-4), che poi alla fine della corsa sono quelli che ho apprezzato maggiormente del nuovo blocco. Proprio riprendendo questo discorso, è doveroso sottolineare che la fase centrale della storia è sicuramente quella meno interessante o per meglio dire quella più “lenta” e in cui il ritmo cala pesantemente e si assiste a più momenti morti, a un maggior numero di frangenti in cui il racconto si espone a qualche incertezza di troppo, ma comunque mai veramente “problematici”.
Nel complesso, comunque, è impossibile non apprezzare il grande lavoro svolto nella messa in scena di una serie tv sempre più convinta della sua forza e delle sue immense potenzialità, abbandonando quello status – erroneamente concepito in partenza – di prodotto di nicchia e diventando sempre di più il punto di riferimento della scena fantasy televisiva.
Un cast eccezionale per una scrittura eccezionale
Un altro degli aspetti vincenti di questa seconda stagione di The Witcher, e lo dicevo anche poco sopra, è dunque sicuramente quello legato alla gestione del cast e della caratterizzazione dei personaggi, nettamente più curata e ampliata rispetto al passato e che balza all’occhio praticamente sin dalle prime battute. In questa seconda stagione, infatti, il livello generale di recitazione e scrittura si è alzato in maniera esponenziale, con personaggi su schermo sempre più consapevoli del proprio ruolo e soprattutto sempre più curati, sia a livello di fedeltà narrativa sia proprio come resa generale “sul campo”. In primis, considerando quanto detto poco sopra, il primo nome che viene in mente è quello di Ciri e della sua splendida interprete, Freya Allan, diventata sempre di più l’epicentro della vicenda, cosa che viene evidenziata di episodio in episodio e senza alcun tipo di “freno”. Di pari passo alla rilevanza sempre maggiore del suo personaggio è proprio la Allan a risultare sempre più convincente e perfettamente calata nella parte, con un mix di sguardi e una gestualità che si sposa a pennello con quel personaggio spigliato, irriverente e allo stesso tempo fragile che abbiamo imparato a conoscere sia nella trasposizione videoludica sia nell’opera cartacea.
Lo stesso discorso vale anche per il buon Cavill, sul quale ho avuto tantissimi dubbi in passato e che invece, dopo questa seconda stagione, per quanto mi riguarda è probabilmente il miglior Geralt possibile per quanto visto finora. Ho trovato l’ex Superman semplicemente perfetto per quanto riguarda il fattore espressività e gestualità, risultando praticamente sempre molto fedele all’immaginario che ruota intorno al personaggio di Geralt. Se questi due fattori risultavano comunque adeguati e convincenti anche in passato, a fare la differenza è l’interpretazione del ruolo di “padre” per Ciri, che l’attore compie in maniera semplicemente perfetta. Dai suo occhi, per intenderci, ho percepito vero affetto, partecipazione, voglia di proteggere qualcosa di veramente importante e l’ho apprezzato veramente tanto perché, sicuramente, è un ruolo più delicato da interpretare in maniera convincente. Oltre alle due importanti conferme ho apprezzato anche il fatto di voler dare maggior lustro ad alcuni volti fin troppo “limitati” nella precedente stagione.
Mi riferisco al personaggio di Triss Merigold (Anna Shaffer), ad esempio, che in questa seconda ondata di episodi ha rivestito un ruolo decisamente più centrale, seppur sempre distante da quello degli altri volti più “importanti”. La debolezza e allo stesso tempo la saggezza e il potere della maga si uniscono a quelli di Yennefer, il cui ruolo in questa seconda stagione è nettamente diverso rispetto a quello della prima, ma non per tal motivo meno centrale, anzi. Anche la Chalotra compie un percorso di evoluzione convincente, chiaro segnale di quanto tutti remino nella stessa direzione, a testimonianza ulteriore di quanta convinzione ci sia intorno alla produzione stessa. Nella lista delle new entry, poi, non posso non menzionare Vesemir (Kim Bodnia), maestro e “padrino” di Geralt che finalmente fa la sua comparsa, insieme agli altri Witcher di Kaer Morhen. Se questi ultimi, tra cui spiccano Eschel e la sua disavventura, risultano comunque (ingiustamente) dei semplici comprimari, il ruolo di Vesemir appare invece molto più curato e soprattutto è il suo attore a dimostrare di aver studiato a fondo la parte, riuscendo a restituire quel volto amorevole e allo stesso tempo spietato tipico del personaggio.
Ho apprezzato anche la scelta di ampliare sempre di più il cast con volti nuovi molto interessanti e potenzialmente in grado di alterare gli equilibri dello show, specialmente contestualizzandoli in un mondo vastissimo e ricco di forze in gioco, di ogni genere, razza e credo politico/sociale, seppur alcuni di questi non abbiano ricevuto la stessa attenzione di altri. Peccato, ad esempio, per Niveleen e la sua tristissima avventura, interpretato magistralmente da Kristofer Hivju, noto per il ruolo di Thormund ne “Il trono di Spade”, la cui apparizione si limita al solo primo episodio, forse il migliore del lotto. Un’inezia, certo, ma avrei preferito un destino diverso sia per lui sia per altri personaggi, che sono usciti e entrati in scena in maniera forse troppo veloce.
Commento finale
La seconda stagione della serie tv dedicata all’universo di The Witcher mi ha veramente reso felice. I nuovi episodi risultano superiori a quelli precedenti in termini sia di qualità narrativa sia proprio costruttiva, con una direzione generale semplicemente perfetta in molti casi e un livello decisamente diverso in termini di consapevolezza dei propri mezzi e del materiale di riferimento. La Hissrich è riuscita a mettere su un prodotto che si avvicina maggiormente all’immaginario videoludico del brand, una mossa più che azzeccata e vincente, e nel complesso posso assicurarvi che lo fa in maniera veramente encomiabile, riuscendo ad espandere l’universo intravisto nella prima stagione a dismisura, fino a diventare soverchiante. I nuovi episodi costruiscono infatti non soltanto la genesi del rapporto tra Geralt e Ciri ma gettano anche le fondamenta per le tantissime “sottotrame” di cui l’universo creato da Sapkwoski è pieno, spalancando così le porte per un futuro semplicemente radioso. Se proprio volessi trovare il pelo nell’uovo potrei dirvi che l’attenzione minore per alcuni personaggi anche importanti e il ritmo calante nella fase centrale della serie sono gli aspetti meno convincenti del prodotto, ma sono comunque delle mancanze che, confrontate con il livello generale, non riescono a inficiarne la qualità. Insomma: a quando la terza stagione?