Proiettili e lacrime
Il gameplay di Homefront è scandito dalle fasi d’azione consone agli shooter in prima persona ed impreziosito da un contesto bellico finora raramente proposto e per questo molto interessante. Ogni missione basata com’è sulla guerriglia ha lo scopo di causare quanti più danni possibile alle milizie che hanno invaso l’America partendo dalla cittadina di Montrose in Colorado fino a San Francisco. Il giocatore, ignaro della organizzazione della restante compagine di ribelli, impara a conoscere poco alla volta un lato a lui sconosciuto della popolazione statunitense, il lato umano, la sua tenacia, l’amore per la patria e per quei valori che non vogliono perdere fino alla morte.
L’alternarsi di messaggi dalla radio pirata “la voce della libertà” che trasmette un resoconto sulle situazioni di gioco contribuisce non poco a “sentire” le missioni sia all’inizio che dopo.
L’impostazione “da resistenza” che si è voluto dare al gioco è resa molto bene soprattutto grazie ai continui rimandi alla lotta rivoluzionaria che si sta mettendo in pratica. Disseminati in giro per le missioni si possono raccogliere delle copie di giornale che aiutano a comprendere l’evoluzione della storia americana e del conflitto bellico. Dal punto di vista prettamente pratico, il titolo si lascia giocare con giusto interesse grazie ad una riproduzione del rinculo delle armi abbastanza realistica e una gestione dell’intelligenza artificiale (AI) nemica, seppur diversa a seconda del tipo di milizie che si affrontano, molto credibile. Alcune missioni stealth e da cecchino, oppure quelle a bordo di un elicottero o di un mezzo pesante, spezzano piacevolmente la linearità delle missioni. Inoltre la sensazione di immane tragedia appena consumata grazie ad un ottima design artistico delle ambientazioni, si respira durante tutto il gioco, raggiungendo il suo apice in alcuni momenti davvero memorabili.
Purtroppo i pregi finiscono qui. Il titolo soffre in particolare di un difetto molto grave quale un uso esagerato di script delle missioni come l’ondata di nemici (respawn) all’infinito, terminata solo alla conclusione di un particolare obiettivo, nonchè il fatto di tornare sui propri passi per raccogliere munizioni e scoprire che sia i cadaveri dei corpi avversari uccisi che le loro armi sono spariti. Pur seguendo le indicazioni dettate dai compagni d’armi, ci si trova a volte fermi in attesa di capire come mai non si attravera una porta, per scoprire con rammarico che non succede perchè a passare per prima dev’essere un altro personaggio che, voltandoci, era dietro di noi a correre in tondo in attesa di un nostro movimento. Un chiaro esempio di cattiva gestione dello script. A ciò si aggiunge un level design troppo limitato a corridoi che ne soffoca la voglia di sfruttare aggiramenti o diverse tattiche di ingaggio oppure di vedere e scoprire di più di un’America invasa dai comunisti.
In ultimo la campagna in singolo giocatore si riesce a portare a termine nell’arco di circa 4 ore a difficoltà Normale, risultando davvero entusiasmante solo nella parte finale della storia, che, se avesse avuto missioni che esploravano maggiormente l’inedita situazione del continente Americano invaso dai comunisti, avrebbe potuto regalare maggiore soddisfazione.