Recensione Battlefield 3


Minaccia fantasma

Nei panni di un fuggitivo in corsa per le strade di New York City, ci troviamo a vivere in prima persona la scena introduttiva, saltando su un treno della metro in corsa e tentando di fermare un gruppo di terroristi. Il plot utilizzato mostra le battute finali per poi ripercorrerle dal principio sotto forma di interrogatorio, facendo leva sulla curiosità del giocatore di scoprire come sono andati i fatti e soprattutto conoscere la verità. Il sergente Blackburn, citato in modo abbreviato con l’appellativo di “Black”, è il personaggio principale sul quale verte tutta la storia. Non è certo un soldato modello e, forse per questo, non viene preso subito in parola dalle forze militari. Gli alti funzionari del reparto investigativo vogliono scoprire bene se ci sarà un attacco terroristico nella grande mela e come fermare Solomon, il terrorista a capo delle forse PLR, ma non sono convinti che la tesi portata da “Black” sia attendibile per cui si parte con il rivivere le missioni.

E’ l’anno 2014, le forze di coalizione capitanate dalle unità Marines statunitensi continuano nelle operazioni di pacificazione lungo il confine tra Iraq e Iran, per riportare stabilità nella regione. Ma voci di possibile colpo di stato e la presenza di unità PLR, aumentano il livello di guardia dei soldati. La tensione sale quando il gruppo di soldati subisce un attacco e la situazione diventa instabile nel momento in cui, sfruttando un terremoto, le forze PLR attaccano l’Iran e si manifestano come vera minaccia. Con questa premessa, DICE, il team di sviluppatori svedese già noto per la serie Battlefield e per lo spin-off Bad Company, ha deciso di cucire la trama di Battlefield 3, atteso titolo disponibile dal 28 Ottobre 2011 su piattaforma Personal Computer e console Playstation 3 e Xbox 360.

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Ogni missione è quindi un pezzo del puzzle che il giocatore deve ricostruire. La narrazione a momenti separati degli eventi, impersonando diversi soggetti inseriti nel contesto delle missioni, non aiuta certo a tenere alta l’attenzione, obbligando il giocatore a metterci del suo per unire i pezzi, ma che riesce lo stesso a farsi apprezzare per azzeccati colpi di scena e momenti drammatici. La produzione DICE non punta a far vivere il conflitto come un film alla Michael Bay, non è un’esperienza cinematografica alla “Call of Duty”, seppur riprendendo alcuni “clichet” forgiati dalle abili mani di Infinity Ward con il primo Modern Warfare. Si potrebbe dire che prende e migliora moltissimo la natura militare di Medal of Honor, peccando si del medesimo difetto di evitare la spettacolarizzazione di alcuni istanti topici ma garantendo una visione matura che il genere FPS chiedeva da tempo. Per cui, una volta terminato il gioco dopo circa 7 ore a livello Difficile, abbiamo sentito una somma soddisfazione, proprio per i motivi sopra citati.

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