Un team che sviluppa attorno all’utente: due decadi al servizio dei giocatori, purtroppo non sempre riconoscenti.
Molti di voi, i più giovani in particolare, associano il nome Arkane Studios agli ultimi titoli che la software house ha realizzato: i due Dishonored e Prey. Allo stesso modo, Origin viene associato alla piattaforma di distribuzione di giochi per PC di Electronic Arts. La connessione tra questi due nomi è in realtà molto interessante, e ci racconta più di quello che sembra.
In effetti, molto prima che potessimo acquistare giochi digitali sulla piattaforma EA, esisteva un team di sviluppo che rispondeva al nome di Origin Systems. La software house nacque nel lontano 1983 e si occupò quasi esclusivamente di giochi di ruolo per oltre 20 anni. In particolare, le due proprietà intellettuali più in vista erano Ultima e Wing Commander. Lo studio fu pioniere sotto vari aspetti, seppur non tutti positivi, realizzando infatti uno dei primi MMORPG, Ultima Online, molto prima del celebre World of Warcraft.
Purtroppo fu anche tra i primi team di sviluppo a essere smembrato dalla sete economica di Electronic Arts, che l’aveva acquisita nel 1992. Dopo l’enorme successo del gioco di ruolo online, EA decise prima che la software house dovesse occuparsi solo di giochi online. Lasciò però giusto il tempo di completare Ultima IX: Ascension, titolo legato alla serie principale di Origin che non ebbe il successo economico sperato.
Sappiamo tutti benissimo come va questa storia, soprattutto visto che stiamo parlando di Electronic Arts. I progetti di Origin vennero tutti cancellati, molti talentuosi sviluppatori migrarono verso altri lidi e lo studio si avviò verso una lenta morte, nel 2004, dopo anni in cui si dedicò solamente al supporto di Ultima Online. Una fine simile a quella che fece molti anni dopo Visceral Games, e una storia che somiglia macabramente a quello che sta vivendo BioWare.
Cosa c’entra tutto questo con Arkane Studios?
Nel 1993, Electronic Arts indisse un concorso, in Francia, in cui cercava esperti di Ultima. Attraverso esso, un giovanissimo Raphaël Colantonio ottenne un lavoro al controllo qualità e alla localizzazione dei prodotti che arrivavano da Origin. Questo gli permise di guardare una delle sue serie preferite dall’altro lato della barricata. Inoltre poté anche lavorare a System Shock, immersive sim sviluppato da Looking Glass e pubblicato da Origin: un’altra influenza fondamentale nella sua carriera.
Proprio System Shock ci porta dall’altro lato dell’oceano Atlantico, ad Austin, Texas. Qui, un giovanissimo Harvey Smith trova lavoro più o meno in contemporanea a Colantonio presso la stessa Origin, anche lui al controllo qualità, anche lui proprio sul gioco di Looking Glass. Lo stesso Smith avrebbe poi lavorato a Ultima VIII, nel 1995.
Entrambi capirono ben presto che il team creatore di una serie fondamentale come Ultima, che ha gettato le basi per molti generi del videogioco moderno, sotto il controllo di Electronic Arts aveva perso tutto il suo smalto. Origin Systems si avviava tristemente verso la morte, e sia Colantonio che Smith lo capirono.
Il primo inoltre notò come l’avvento delle home console stesse dirottando le energie produttive di EA verso i giochi sportivi – “EA Sports, it’s in the game“. Ovviamente un creativo come lui non aveva alcun interesse nello sviluppo di quel tipo di esperienze, per cui sul finire degli anni ’90 si distaccò dal producer statunitense e poco dopo, nel 1999, fondò proprio Arkane Studios. I soldi li mise lo zio, gli altri membri del team erano tre amici di Raphaël e la sede fu fissata a Lione, dove si trova ancora oggi.
Dal sequel di Ultima Underworld: The Stygian Abyss ad Arx Fatalis
Il sogno folle di Colantonio era quello di continuare la sua serie preferita, realizzando un seguito diretto del capitolo in prima persona di Ultima, Underworld.
Fa sempre sorridere, quando si ripercorre la storia di una software house, incontrare certi nomi e notare alcuni intrecci. Indovinate chi si occupò di sviluppare Ultima Underwold? Proprio Looking Glass, i creatori di System Shock. E proprio da una costola di Looking Glass, una costola chiamata Ken Levine, nacque un altro studio che ha sviluppato immersive sim: Irrational Games, collaboratori per System Shock 2 e realizzatori poi della serie Bioshock.
Ma torniamo a Colantonio. Il giovane creativo francese voleva a tutti i costi portare avanti la sua idea e riuscì ad arruolare anche Paul Neurath, fondatore di Looking Glass e designer di Ultima Underworld: The Stygian Abyss. Armato di buone intenzioni e speranza, il buon Raphaël tentò di acquistare i diritti da Electronic Arts per realizzare un seguito canonico del gioco. Ma ovviamente abbiamo già individuato il cattivo della storia: il publisher statunitense si oppose ad un accordo, com’era facile immaginare.
Il DNA di Arkane Studios
Ciò ostacolò solo in parte i piani di Colantonio ed Arkane Studios. Il progetto cambiò nome, ovviamente, e divenne Arx Fatalis, che dal latino si può tradurre in “fortezza fatale”. Il gioco racconta di un mondo in cui il Sole si sta spegnendo e le creature della superficie sono costrette a rintanarsi in gallerie. Il giocatore si sveglia in una di queste, senza memoria e senza nome, e da lì deve muoversi, incontrando varie razze, come troll, goblin, nani e umani. Il titolo adotta una visuale in prima persona, seguendo la scia di Ultima Underworld, ed utilizza anche un sistema di punti da assegnare alle abilità, in perfetto stile RPG. Inoltre è presente anche un sistema di crafting molto basilare e varie quest secondarie.
Tutto questo lasciandoci libertà di approccio e di risoluzione delle missioni: possiamo evitare i nemici in stealth mode o sfondare le porte e combattere a viso aperto. Particolarmente interessante la meccanica di utilizzo delle magie, che prevedeva l’uso del mouse per disegnare delle rune. Il gioco inoltre non era lineare, ma offriva totale libertà riguardo l’ordine con cui affrontare l’avventura. Un mondo interconnesso da esplorare liberamente: un concetto che tornerà nella storia di Arkane, molto più avanti. Strano che sia, in Arx Fatalis non è presente alcun sistema di dialogo. Molta scelta quindi, tutta legata al gameplay: l’essenza di Arkane Studios è già tutta qui.
Mal recepito dal pubblico?
Il gioco ottenne apprezzamenti dalla critica, che non mancò di notare il parallelo con titoli come System Shock, Deus Ex e Thief, ma le vendite furono bassissime, purtroppo. Da un lato a causa del confronto con Morrowind e Neverwinter Night, usciti poco prima ed inevitabilmente di maggior appeal. Dall’altro, nonostante il suo fascino Arx Fatalis era comunque un prodotto di nicchia che funzionava nel complesso, ma con alcuni difetti evidenti e poco bilanciato nella difficoltà.
La volontà di Colantonio di realizzare un seguito si scontrò quindi con la difficoltà di individuare un produttore. Ciò portò inevitabilmente all’abbandono dell’idea di un sequel e lo studio si accordò invece con Ubisoft che voleva rilanciare il nome Might and Magic, costato non poco alla compagnia francese. Fu così che Arkane Studios cominciò il lavoro su uno dei reboot della serie di giochi di ruolo creata originariamente da New World Computing.
Dark Messiah of Might and Magic e gli anni tumultuosi
Il progetto per Ubisoft ricalcava il gameplay sviluppato per Arx Fatalis, rinunciando ad alcuni elementi ruolistici e concentrandosi maggiormente sull’azione. L’impianto ludico restava tuttavia lo stesso, così come il motore grafico. Nel gioco era possibile guadagnare degli skill points da spendere in tre diversi alberi delle abilità: combattimento, magia e un terzo dedicato a tecniche di vario tipo. Per quanto in Dark Messiah si potesse scegliere anche un approccio offensivo, come nella maggior parte dei giochi Arkane Studios il focus era comunque più sullo stealth. Una delle più grosse novità, per questo secondo titolo dello studio francese, era la modalità multiplayer online, in cui si potevano affrontare duelli uno contro uno oppure battaglie strategiche a squadre.
Il gioco non venne accolto con particolare entusiasmo, soprattutto dalla critica statunitense, che sotto vari aspetti lo reputò banale. Soprattutto la versione per Xbox, che riduceva all’osso alcuni degli elementi chiave del gameplay, venne totalmente stroncata dalle principali testate. In ogni caso il titolo, uscito nel 2006, sancì anche la fine della breve collaborazione tra Arkane Studios e Ubisoft, che pure avrebbe voluto produrne un seguito.
In quegli anni Colantonio lasciò la gestione del team ai suoi compagni e si dedicò a intessere rapporti negli Stati Uniti attraverso la neonata sede di Austin, stessa città dove un tempo risiedeva Origin. Lo sviluppo produttivo era comunque lasciato alla sede in Francia, dove i costi erano sensibilmente ridotti.
Collaborazioni altisonanti per progetti irrealizzati
Arkane cominciò così a lavorare assieme a Valve ad uno spin-off di Half Life dal titolo Ravenholm. Il team e i proprietari di Steam arrivarono a realizzare perfino una decina di livelli giocabili prima che il gioco venisse cancellato. Ad oggi non si sa esattamente se il motivo furono i costi elevati o la scarsa celerità dei lavori.
Parallelamente, alla fine dello sviluppo di Dark Messiah, negli studi francesi si cominciò a lavorare ad una nuova opera che rispondeva al nome di The Crossing. Secondo lo stesso Colantonio, il gioco avrebbe mescolato single e multiplayer in modo originale, al punto da definire il particolare connubio che lui chiamava “crossplayer”. Cosa avessero in mente i ragazzi di Arkane Studios, purtroppo, non lo sapremo mai, perché a causa dell’elevato budget necessario e della difficoltà nel trovare un publisher anche questo progetto sarà accantonato. In particolare, la scelta di metterlo da parte arriverà in seguito ad una nuova proposta di collaborazione, sentite un po’, da parte di Electronic Arts.
Al soldo di Electronic Arts
Esatto, proprio quella EA che aveva portato alla morte la serie di Ultima e aveva fatto fuggire Colantonio. La proposta era allettante in effetti: lavorare con nientemeno che Steven Spielberg, uno dei più grandi cineasti viventi. Il nome del progetto era LMNO e l’offerta era talmente allettante, anche a livello economico, da portare Arkane Studios a cancellare The Crossing e concentrarsi su questo progetto.
Ma di nuovo sappiamo tutti come va a finire questa storia: dopo giusto un paio d’anni, EA cancellò il progetto e il talentuoso team francese si ritrovò a fare da supporto. Così Colantonio e compagni collaborarono al multiplayer di Call of Duty: World at War prima e a Bioshock 2 successivamente. Ancora un curioso intreccio con il lavoro di Ken Levine: l’eredità di Looking Glass Studios. Sicuramente esperienza non da buttare, quest’ultima sul titolo di 2K Marin, ma Arkane Studios era un team estremamente creativo, con la voglia di realizzare opere che portassero la loro identità.
Creatività senza contratti
Ricordate il peregrinare di Colantonio negli Stati Uniti nel tentativo di intessere rapporti produttivi? A un certo punto, tra il 2007 e il 2008, Raphaël incontrò Harvey Smith. Sì, proprio lo sviluppatore di cui abbiamo parlato all’inizio, che in contemporanea a lui era entrato in contatto con EA e con Origin. I due si conoscevano già e finora non avevano considerato la possibilità di collaborare. Pensavano di essere troppo simili, come talenti creativi. A un certo punto invece riconsiderarono la cosa, e nel 2008 Smith entrò formalmente a far parte di Arkane Studios. Fin da subito queste due figure chiave del team discussero di una deriva “ninja” per un futuro gioco. Il piglio che troveremo nel progetto che consacrerà lo studio, pochi anni dopo.
Nel 2010 Arkane Studios era senza contratti e senza titoli in sviluppo, e la direzione, scoraggiata dalla situazione degli ultimi anni, stava per ridurre il personale per limitare i costi. Fu proprio a questo punto che si presentò l’occasione che cambierà le sorti della software house. Vennero contattati da Bethesda Softworks, che aveva apprezzato i loro primi lavori e aveva in mente un gioco stealth ambientato nel Giappone feudale che avrebbe risposto al nome di Dishonored.
Bethesda e Arkane Studios: il sodalizio della svolta
Le assonanze tra i lavori del team francese e la serie principale di Bethesda, The Elder Scrolls, erano evidenti. Inoltre il publisher statunitense mise da subito a loro agio Colantonio e la sua squadra, lasciandogli una certa libertà creativa. La situazione era ideale: da un lato un publisher in piena crescita, che aveva appena acquistato id Software e il cui focus principale da sempre era sui giochi in soggettiva; dall’altro una software house nata con in mente la prima persona e l’immersività. Bethesda cercava proprio quell’originalità per il progetto che aveva in mente e Arkane aveva bisogno proprio di un producer che valorizzasse i suoi lavori, dando tempo e risorse necessari a creare prodotti qualitativamente eccelsi.
Il connubio tra team di sviluppo e publisher risultò fin da subito tanto azzeccato che bastarono pochi mesi e Arkane Studios venne acquistata da ZeniMax Media, i proprietari di Bethesda. A questo punto, forti di un grosso produttore alle spalle che apprezzava la loro idea di game design, Colantonio e Smith poterono portare avanti le loro idee creative.
Ninja e steampunk vittoriano
Fu così che diedero seguito al loro concept e il progetto Dishonored crebbe. Durante i lavori, l’ambientazione si spostò dal Giappone feudale a Londra e poi a una terra immaginaria. La Dunwall concepita dal team si ispira in parte al Regno Unito d’età vittoriana, ma l’elemento steampunk è molto forte e in generale il setting è un sunto di varie fonti. Le ispirazioni sono talmente varie che qualcuno ha sentito la necessità di coniare il termine “whalepunk“, in quanto in Dishonored tutto è alimentato a olio di balena.
Il gioco sarà davvero quello della svolta per il team di sviluppo. Ancora una volta ovviamente in prima persona, ancora una volta stealth, combattimento e magie: tutto per dare libertà di approccio al giocatore. Nel titolo vestiamo i panni di Corvo Attano, ingiustamente accusato di aver assassinato la regina di cui era guardia del corpo, che dovrà riscattare il suo nome disonorato. L’avventura ci porta a visitare varie aree dell’isola, in una serie di missioni in cui dovremo assassinare un obiettivo, potendolo raggiungere in vari modi.
L’anima di Dishonored è senza dubbio stealth, ma il gioco offre anche un sistema di combattimento e un level design magistrale. La costruzione della città è realistica, verticale e aperta, dando contemporaneamente estrema libertà al giocatore, che esplorando può scoprire tantissime vie alternative che danno senso di veridicità all’ambientazione. Inoltre la Dunwall concepita dal team di artisti è originale, socialmente complessa e interessante da approfondire. Lo spaccato tra ricchi e poveri è credibile e crea delle sfumature tra giusto e sbagliato che rendono la città appestata memorabile.
Il gioco fu un successo su tutta la linea. Acclamato quasi all’unisono dalla critica, che seppure ne sottolineò alcuni difetti legati in particolare alla trama, ne lodò in toto l’impianto ludico. Dishonored ricevette anche vari premi e soprattutto, per la prima volta nella storia di Arkane Studios, fu anche un successo commerciale. Finalmente lo studio venne riconosciuto come uno tra i più talentuosi e promettenti nel panorama mondiale.
Dal primo al secondo Dishonored
A questo punto le cose si fanno più semplici per Colantonio, Smith e compagnia. Forti del successo ottenuto lavorando a quattro mani, i due director di Dishonored decidono di dividersi e lavorare su progetti separati. Fu così che si scambiarono: il francese andò a dirigere la sede di Austin, mentre lo statunitense si occupò dello studio di Lione.
Grazie all’accoglienza riservata all’avventura di Corvo, anche Bethesda concesse ulteriore libertà e potere creativo alla software house, oltre che strumenti tecnici. Fu così che Arkane Studios abbandonò l’Unreal Engine 3 utilizzato per il primo Dishonored e adottò un motore grafico proprietario. Il Void Engine scelto per i successivi giochi del team venne sviluppato a partire dal motore id Tech 5, di proprietà di id Software, sebbene con profonde differenze.
A questo punto lo studio di Lione si mise all’opera su Dishonored 2, capitanato da Harvey Smith. Sfruttando il nuovo motore grafico e limando le criticità del primo capitolo, il team ha sfornato un prodotto qualitativamente superiore. Se il primo Dishonored era il frutto acerbo di un talento cristallino, il secondo sublima tutti gli aspetti che lo rendevano un’esperienza varia e divertente. La possibilità di scelta tra due personaggi con abilità molto diverse tra loro offriva un ulteriore livello di astrazione alle possibilità di scelta dei giocatori. Inoltre il level design risultò ancora più aperto e contemporaneamente affinato, offrendo anche un’intelligenza artificiale dei nemici migliorata. La ciliegina sulla torta fu infine la maggior cura sotto il profilo narrativo, con dei protagonisti stavolta parlanti ed una serie di storie secondarie interessanti.
La maturità artistica di Arkane Studios
Mentre Arkane Studios Lione si occupava dell’avventura di Emily e Corvo, lo studio di Austin inizio i lavori su un progetto del tutto diverso. Bethesda possedeva i diritti del seguito di Prey, un titolo uscito nel 2006 che aveva riscosso un discreto successo. Nel gioco ci si trovava su una navicella spaziale braccati da degli alieni extraterrestri. Si trattava di uno sparatutto in prima persona sviluppato originariamente da Human Head Studios per conto di 3D Realms. Il secondo capitolo venne annunciato poco dopo, ma attraversò molte difficoltà produttive, fino alla cancellazione, arrivata tra il 2013 e il 2014. La proprietà intellettuale finì quindi nelle mani di Arkane. Avendo la libertà di reinterpretare tutto, come prevedibile Colantonio e il suo gruppo ad Austin si lanciarono in un totale reboot di Prey.
L’idea era quella di realizzare un seguito spirituale di System Shock, riprendendo quel filone di immersive sim iniziato da Looking Glass, portato avanti da Irrational Games e adesso totalmente in mano ad Arkane Studios. Il team recuperò molte delle idee dietro alla loro prima opera, Arx Fatalis. Dopo la struttura a livelli di Dishonored, che si rifà molto a quella della serie Hitman, il team tornò a un’esperienza più strutturata. Dalle bellissime aree sandbox divise in compartimenti stagni dell’avventura di Corvo, qui si è optato di nuovo per qualcosa di più coeso. Per questo Talos 1, la stazione spaziale su cui l’avventura è ambientata, è un mondo interconnesso che il giocatore può esplorare liberamente, scegliendo come procedere, proprio come nel primo videogioco del team.
Arte in varie forme
Non bisogna dimenticarsi del connubio artistico dietro il titolo. La stazione spaziale, frutto di accordi tra il governo Kennedy e l’Unione Sovietica, è una suggestiva commistione di atmosfere, che spaziano dall’asetticità dei laboratori fino allo sfarzo delle aree ricreative. Non mancano sequenze uscite direttamente da 2001: Odissea nello spazio, incluse alcune gite all’esterno, fluttuando nello spazio profondo. Tutto ciò con la presenza costante di alieni inquietanti, capaci di assumere le sembianza di oggetti di vario tipo. Abilità che anche il giocatore potrà ottenere, scegliendo di trasformarsi (più o meno) parzialmente in un mimic anch’egli.
In Prey non esistono soluzioni univoche. Per raggiungere un luogo il giocatore ha a disposizione tante possibilità diverse: hackerare un tastierino numerico, ottenere la password esplorando oppure sfruttare un percorso nascosto, o addirittura crearne uno da zero. Nel gioco infatti è presente il Gloo Cannon, ossia una delle più grandi idee mai viste in un videogioco. Quest’arma permette di sparare della colla, in sostanza, dandoci la possibilità di pietrificare gli alieni che vagano per Talos 1. Contemporaneamente, però, possiamo usare questo dispositivo per aprirci dei percorsi o creare delle piattaforme. In questo modo, il giocatore può raggiungere aree altrimenti fuori portata, andando persino oltre ciò che gli sviluppatori avevano previsto.
Due ottimi titoli. E i risultati?
Dopo gli anni di sviluppo congiunto, durante i quali i due team della software house si supportarono a vicenda per affinare i rispettivi prodotti, finalmente i giochi arrivarono sul mercato. Nel 2016 e nel 2017 Arkane Studios pubblicò rispettivamente Dishonored 2 e Prey. Il primo ottenne apprezzamenti dalla critica e vendette piuttosto bene, seguendo la scia del primo capitolo.
Per quanto riguarda il secondo, non tutta la stampa lo accolse allo stesso modo, nonostante abbia poi vinto alcuni premi importanti tra cui il Game Award come miglior gioco d’azione. Tuttavia, dopo tre anni dal suo debutto possiamo dire che, al netto di alcuni difetti, si trattasse di uno dei più interessanti e innovativi giochi visti in questa generazione.
Purtroppo, come spesso è accaduto al team, le vendite di Prey non sono state esattamente soddisfacenti, e adesso ci chiediamo se mai ne vedremo un seguito.
Arkane Studios oggi
Nel frattempo, il fondatore di Arkane Studios, Raphaël Colantonio, pochi mesi dopo l’uscita del gioco sci-fi ha annunciato di voler abbandonare la software house. Fu così che Harvey Smith tornò a dirigere il team di Austin, di cui ad oggi non si hanno notizie. La speranza è che dietro le quinte stiano già sviluppando qualcosa, che si tratti del secondo Prey o di una nuova IP. Del talento dello studio non dubitiamo.
Parallelamente, Colantonio aiutò per un breve periodo il team di Lione per agevolare il passaggio alla nuova gestione. In Francia erano già al lavoro su un nuovo progetto, di cui adesso conosciamo il nome e la data di uscita oltre ad avere visto il gameplay. Deathloop è il nuovo titolo di Arkane Studios Lione, in uscita a fine 2020 su PlayStation 5 e PC. E l’anima del team, come sempre, si nota al primo sguardo.
Guardare al futuro di Arkane Studios non è facile. Da un lato l’abbandono di Colantonio, dall’altro i risultati commerciali non esaltanti, unitamente al periodo traballante che Bethesda sta attraversando potrebbero comportare dei problemi per il team. La nostra speranza è che per sviluppatori creativi e innovativi come i ragazzi di Arkane ci siano sempre spazio e risorse. Perché il videogioco nella sua forma più pura è un mezzo interattivo, e nessuno oggi interpreta lo scambio tra utente e medium come questo studio ha dimostrato di saper fare in questi ultimi vent’anni.
Complimenti per l’articolo. Non conoscevo, lo ammetto, la storia di Arkane pur avendone apprezzato molto i lavori. Dopo questa lettura, anzi, mi stanno ancora più simpatici: sono la dimostrazione lampante che il successo è la combinazione perfetta di talento, fortuna ma soprattutto perseveranza. Di fronte alle tante sconfitte e delusioni, i ragazzi di Arkane non si sono mai arresi e alla fine hanno realizzato titoli davvero imprescindibili per un amante del genere action/stealth.