Pochi giorni fa si sono tenuti i The Game Awards a Los Angeles. Lo show organizzato e presentato da Geoff Keighley è arrivato alla sua sesta edizione e sembra che abbia trovato finalmente la giusta formula. La serata è andata avanti tra grandi annunci e premi generalmente condivisibili. Il gioco più atteso e nominato della serata era Death Stranding, l’ultima opera di Hideo Kojima. Il titolo che ha diviso critica e pubblico sembrava destinato a fare incetta di premi, tra cui la statuetta più ambita. Ma le cose non sono andate così…
Le nomination per il gioco di Kojima Productions, oltre a quella per gioco dell’anno e per miglior direction, erano per miglior gioco action/adventure, miglior colonna sonora, miglior audio design, miglior performance attoriale (due candidati), migliore direzione artistica e migliore narrativa. In totale nove nominations. Tuttavia, di queste solo tre si sono trasformate in premi.
Premi vinti e mancati
La colonna sonora di Death Stranding si è aggiudicata la statuetta e, onestamente, c’è poco da discutere al riguardo. L’accompagnamento sonoro scelto da Kojima o composto appositamente è semplicemente perfetto in ogni momento e indimenticabile. Un premio senza dubbio meritato.
Restando nell’ambito del sonoro, il titolo ha invece mancato la statuetta per l’audio design, in favore del recente Call of Duty: Modern Warfare. Anche in questo caso sul premio c’è poco da discutere: l’ultimo sparatutto di Activision ha un comparto sonoro avvolgente e realistico.
L’altro premio tecnico era quello per la migliore direzione artistica, una delle categorie più combattute probabilmente. In questo caso la statuetta è andata a Control, ultima opera di Remedy Entertainment che sperimenta con le luci (e con il ray tracing) per creare un’atmosfera suggestiva. Nella stessa categoria c’era anche la concorrenza del piccolo e indipendente Grìs, una perla del panorama indie, che sicuramente avrebbe altrettanto meritato il premio.
Anche il titolo di Kojima, in quanto ad art direction, farà sicuramente scuola. Il design di personaggi e mondo di gioco, la palette cromatica adottata, le inquadrature dinamiche durante il gameplay: sono solo alcuni degli elementi che rendono Death Stranding un’opera artisticamente identitaria, che crea un immaginario vivido e memorabile.
Il gioco di Kojima Productions vantava un cast di attori degno delle migliori produzioni hollywodiane e grazie a ciò ha ricevuto ben due nominations per la miglior performance, e forse sono state poche. Entrambi i due attori protagonisti, Norman Reedus e Mads Mikkelsen, sono stati nominati. Dei due ha prevalso quello che interpretava il personaggio più carismatico, più particolare: l’antagonista Cliff. E in fondo, forse, è giusto così.
Passando ai premi meno tecnici…
Un’altra importante nomination per Death Stranding era quella per il miglior gioco Action/Adventure. Una categoria prestigiosa, dove però ha giustamente prevalso Sekiro: Shadows Die Twice. Bisogna dire che il titolo di Kojima è davvero sui generis: non ricalca perfettamente i canoni dell’Action/Adventure, piuttosto traccia una sua strada. Una scelta che è stata in effetti croce e delizia dell’opera, dividendo pubblico e critica tra chi ha ne adorato la particolarità e chi invece l’ha giudicata troppo noiosa.
Di contro, l’ultimo titolo di From Software non solo rientra perfettamente nel genere, ma ne è anche un esponente di spicco, con una sua originalità, soprattutto per quanto riguarda il sistema di combattimento.
Tomorrow is in your hands
Le ultime tre nomination sono per i premi in assoluto più ambiti. Partiamo da quella per la migliore narrativa, vinta dall’indie estone Disco Elysium. La qualità della narrazione di Death Stranding, per chi l’ha finito, è indiscutibile. Come sempre la scrittura e la regia di Hideo Kojima sono di estremo valore, e il messaggio morale del gioco non solo arriva potente sul giocatore (veicolato anche attraverso il gameplay), ma lascia un segno profondo. Dall’altro lato però, il thriller noir raccontato dal gioco di ruolo di ZA/UM ha stregato il mondo, facendo della narrativa e dei dialoghi elemento fondante. Vittoria in fondo meritata.
La migliore game direction invece non poteva che andare a Hideo Kojima. Per capacità di mescolare i pezzi, di amalgamare il tutto, di raccontare una storia che lascia il segno, sfruttando ogni singolo elemento di gameplay per far assimilare al giocatore la morale dell’opera, nessuno ha saputo fare di meglio del director nipponico. Death Stranding è un titolo che può giustamente piacere oppure no; sebbene affetto da vari difetti, è oggettivo che il gioco messo assieme da Kojima raggiunga picchi di qualità inimmaginabili sotto vari aspetti, spingendo il videogioco come medium verso nuovi orizzonti.
Il gioco dell’anno
Infine, la statuetta più ambita, quella di gioco dell’anno. In questa categoria ha trionfato Sekiro: Shadows Die Twice, titolo di estremo valore, indiscutibilmente tra i migliori offerti da questo 2019 videoludico, capace di prendere a piene mani da Dark Souls e dal genere action e mescolare tutto in un’opera riuscitissima e coerente a sé stessa, a cui risulta davvero difficile trovare dei difetti. Di contro Death Stranding è un gioco che ha oggettivamente vari problemi, dovuti magari alla fretta nello sviluppo o a una certa superficialità.
Probabilmente per questo è stato scelto di premiare Miyazaki piuttosto che Kojima. E in fondo è una scelta che non si può mettere davvero in discussione. Sebbene Death Stranding sia un gioco memorabile, che rimarrà a lungo nei cuori dei giocatori, la spigolosità della produzione è evidente e mina la riuscita complessiva del titolo.
Resta il fatto che, in tutta sincerità, personalmente avrei scelto di affidare proprio all’opera di Kojima la statuetta di gioco dell’anno. Per impatto, innovazione e in generale per ciò che mi ha lasciato dentro una volta raggiunti i titoli di coda, Death Stranding è un titolo che difficilmente dimenticherò. E pur avendo amato senza riserve la storia del “Lupo”, il gioco che più segna questo 2019 per me è proprio quello di Hideo Kojima.