Ritorno alle origini.
E’ così che va fin troppo spesso nelle serie videoludiche e cinematografiche più longeve: si cerca di portare avanti una saga decennale che ha cavalcato per anni l’onda del successo, ma la voglia di novità e rivoluzione si riduce ad essere continuamente un susseguirsi di espedienti che, ammassandosi di volta di volta sul groppone, portano a partorire produzioni scontate e talvolta pessime sotto svariati aspetti, complice la mancanza di idee fresche che possano rinvigorire il tutto. Ecco, senza peli sulla lingua, questo è un po’ l’aneddoto che racconta la storia da un lustro a questa parte della celebre serie di Call of Duty, che ha visto il mirino puntato sempre più verso un contesto futuristico (a tratti quasi surreale) e di cui ne ha esasperato il concetto, spremendolo fino all’ultima goccia.
A questo punto, quando si è ad un passo dal precipizio della monotonia, si hanno due scelte: tracciare una linea netta e ricominciare con qualcosa di completamente nuovo oppure ragionare lucidamente per ritrovare la strada del grande successo (non tanto commerciale, ma più nell’ambito dell’interesse reale verso il marchio) persa anni addietro. Sledgehammer Games, mi sento in dovere di dirlo, ha fatto la scelta giusta, con un nuovo capitolo che ha reso nuovamente onore al marchio di Call of Duty. E ha fatto centro riproponendo in chiave aggiornata e con maggiore spessore narrativo ciò che l’utenza non vedeva da parecchio tempo, ciò con cui sono cresciuti quelli della “vecchia guardia” e che simboleggia gli albori della saga. Insomma, l’esperienza originale che milioni di giocatori non potranno che ricordare con piacere, quando il rivale nel settore era ancora un ormai defunto (forse) Medal of Honor.
Ammettiamolo: quanti non vedevano l’ora di rivivere i fasti di un tempo della serie sparatutto più famosa di sempre, senza vedere soldati con esoscheletri ed armi e gadget futuristici di ogni sorta? Noi non possiamo che essere felici di fare un grosso salto nel passato e tornare nella seconda Guerra Mondiale, almeno in senso videoludico. Quindi, soldati, imbracciate i fucili: si parte per liberare (di nuovo) l’Europa dall’egemonia nazista.
Onore e coraggio
Avviare la campagna e trovarsi di nuovo a vivere virtualmente, dopo tantissimi anni, quel fatidico 6 giugno 1944, data che risponde allo storico sbarco in Normandia, trasmette una sensazione difficile da descrivere. E’ un mix fra nostalgia e felicità, qualcosa che colpisce e stimola i ricordi di chiunque abbia giocato i titoli di guerra dei primi anni 2000, in cui il D-Day era uno degli eventi di maggior spessore e che, in un modo o nell’altro, rimaneva impresso nella mente: la spiaggia di Omaha, una delle più bollenti e che ha registrato più perdite, i bunker con le MG42 tedesche che martellavano senza sosta, centinaia di soldati americani pronti a sacrificarsi pur di salvare milioni di vite innocenti. L’idea che tutto questo sia realmente accaduto fa sempre rabbrividire, ma al contempo permette anche di riflettere sul vero significato del termine “Coraggio”, un’immensa dote che in mezzo a quell’inferno riusciva a prevalere perfino sulla paura concreta di vedere per l’ultima volta la luce del sole.
Call of Duty WWII comincia così, diretto e senza troppi convenevoli, mettendoci nei panni della giovane recluta Red Daniels. Dal celebre sbarco, anche conosciuto come operazione Neptune, il gioco guida la nostra marcia verso Berlino attraverso svariate missioni, sebbene il filo che le lega risulti essere non di rado frammentato, traducendosi in una narrazione interessante ma limitata alla superficialità degli avvenimenti. Lo stesso vale per i personaggi che, purtroppo, non godono di una personalità particolarmente marcata tale da creare empatia nel giocatore e trasmettere emozioni, ad esempio, di tristezza in seguito all’eventuale perdita di uno di loro. Insomma, nulla che si avvicini alla sensazione provata per la morte di Ghost in Modern Warfare 2, tanto per capirci. Nonostante ciò, vuoi anche per il “fattore vecchi tempi”, la campagna si rivela molto godibile e si attesta intorno alle 8-9 ore di gioco.
L’abbiamo affrontata subito a difficoltà Veterano e non abbiamo incontrato particolari punti complicati da superare, salvo alcune fasi specifiche che hanno richiesto diversi tentativi prima di uscirne vincitori. L’intelligenza artificiale nemica non è particolarmente agguerrita ma nemmeno troppo permissiva: in sostanza, finché sfruttate bene le coperture e ponderate bene le azioni tutto fila liscio come l’olio, ma scordatevi di lanciarvi a fionda immaginandovi la tipica scena da eroe in slow motion o vi ritroverete nell’aldilà in un batter d’occhio. Per quanto riguarda i nostri compagni, invece, poche volte risulteranno letali e li vedremo mettere a segno svariate uccisioni, quindi fungono più da effetto scenico che da vero supporto. A conti fatti, perciò, rimane sempre un ampio margine di miglioramento sotto questo aspetto, anche se sembra aver fatto qualche piccolo passo avanti rispetto ai capitoli precedenti.
Non ci si prepara alla guerra
E’ palese come Sledgehammer Games abbia voluto ereditare gran parte degli elementi classici che caratterizzavano il gameplay dei primi capitoli di Call of Duty, a partire dall’hud di gioco: la minimappa che al suo interno ospita una stellina preposta ad indicare gli obiettivi, probabilmente, è uno dei segni distintivi che per primo salta all’occhio. Ma c’è anche un altro glorioso ritorno nella serie, che va a cambiare le regole della sopravvivenza in battaglia sancite da una decennio a questa parte: stiamo parlando della amata (o temuta, dipende) barra della salute. Dimenticatevi i bordi dello schermo rossi ed un’attesa di qualche manciata di secondi per tornare come nuovi dopo aver collezionato una serie di proiettili in pancia, perché qui l’unico modo per uscirne indenni è quello di sfruttare bene i ripari circostanti, capire quando attaccare ed utilizzare sapientemente i kit medici a disposizione.
Oltre a trovarli sparsi nelle varie ambientazioni, i kit possono anche essere ottenuti da un nostro specifico compagno dopo aver riempito la barra che circonda l’icona del suo personaggio eliminando un certo numero di nemici. Questo nuovo sistema di “gestione delle risorse”, definite abilità di squadra, si rivela interessante, in quanto eleva leggermente il ruolo di alcuni membri del nostro plotone rendendoli un punto di riferimento in base alle nostre necessità. Sulla scia dell’ottenimento dei medikit, è inoltre possibile richiedere le munizioni oppure il supporto, ad esempio, di colpi di mortaio.
In merito all’arsenale a nostra disposizione, torna innanzitutto il fedelissimo fucile M1 Garand che ci accompagnerà sul campo di battaglia sin dallo momento dello sbarco in Normandia. Call of Duty WWII, poi, rispolvera altre vecchie glorie tipiche del secondo conflitto mondiale, tra cui l’MP40, la M1911, la Luger, il PPSh-41, lo Springfield e altre storiche armi che sanno farsi (ri)apprezzare per la loro semplicità. La varietà non manca e c’è tutto ciò che ci si aspetta, dalle pistole ai mitragliatori fino ai lanciarazzi.
Sarà inoltre possibile guidare diversi veicoli in single-player, passando da sezioni di gioco a bordo di una jeep fino al pilotaggio di un caccia, in una parte che ricorda molto lo scontro sopra i cieli di Londra in Battlefield 1. Purtroppo, in multiplayer la presenza di veicoli utilizzabili è prossima allo zero, se non per un paio di velivoli da cui sparare grazie alle serie di uccisioni, di cui vi parleremo più in basso. Infine, non mancano i classici collezionabili, che in WWII non sono altro che oggetti dell’epoca (sotto il nome di “ricordi”) più o meno nascosti nelle varie missioni.
Chiamata alle armi
Sledgehammer Games ha saputo fare un lavoro decisamente buono per quanto riguarda il single-player, ma non sarebbe un Call of Duty completo senza la modalità multigiocatore, quello che ormai potremmo definire il cuore pulsante del genere FPS. World War II vanta un corposo comparto multiplayer grazie alla varietà proposta, ma andiamo per gradi. Innanzitutto, le mappe in cui giocare le modalità classiche sono una decina (numero indubbiamente destinato ad aumentare con i futuri DLC) e sono realizzate in modo da ridurre al minimo i tempi morti: dopo il respawn, infatti, non ci sarà bisogno di scorrazzare per mezza mappa prima di trovare altri giocatori da eliminare, ma basteranno relativamente pochi secondi per rientrare nel vivo dell’azione. Questo, ovviamente, a beneficio di un ritmo di gioco sempre elevato per tutta la durata della partita.
Finalmente, poi, si torna ad un online competitivo classico e bilanciato che, diciamolo, ha quasi un che di inedito dopo tanto tempo lontano dai riflettori. Niente più doppi salti, dash, esoscheletri, cardiorilevatori e manfrine simili: per dimostrare il nostro valore in battaglia avremo a disposizione solo armi a misura d’uomo e un paio di granate. A fornirci supporto extra ci penseranno le ricompense uccisioni, tra le quali troviamo il pilota di caccia, la bomba planante (sullo stile del missile Predator) ed un gruppo di paracadutisti pronti a scendere in campo per darci una mano.
Un’interessante new entry nel multiplayer è sicuramente il Quartier Generale, uno spazio social sullo stile della Torre di Destiny in cui è possibile muoversi liberamente e nella quale si possono incontrare altri giocatori, riscattare ricompense, modificare leclassi, accedere all’addestramento, personalizzare (in minima parte) il nostro alter ego e fare molto altro. In WWII, inoltre, fa il suo debutto la modalità Guerra, che ci permette di giocare in tre mappe (differenti da quelle standard) definite operazioni: qui l’elemento fondamentale per portare a casa la vittoria è la massima collaborazione con i nostri compagni di squadra, in quanto dovremo completare diversi obiettivi o, al contrario, difenderli. Le statistiche come il numero di uccisioni o di morti, pertanto, non avranno alcuna importanza, offrendo un’azione di gioco totalmente dettata dal gettarsi continuamente nella mischia senza troppe preoccupazioni. Tanto per citarne una, l’operazione Neptune vedrà due squadre impegnate una a far breccia nelle difese nemiche per distruggere svariate postazioni e l’altra, appunto, nella loro difesa. Esattamente come nella prima missione della campagna insomma, con la differenza che avremo a che fare con giocatori in carne ed ossa e non con l’intelligenza artificiale.
A chiudere il cerchio del multigiocatore, infine, ci pensa la sempre apprezzata modalità Zombi Nazisti, che può anche essere affrontata in solitaria ma che, ovviamente, risulta decisamente più godibile in gruppo. Innanzitutto, prima di iniziare a sterminare orde di non morti verremo accolti da un interessante ed utile prologo che ci spiegherà le basi della storia e ci permetterà di familiarizzare con le meccaniche principali. Dopodiché potremo scegliere fra due mappe di gioco: Groesten Haus, ambientata all’interno di una casa e, di conseguenza, abbastanza piccola, e L’Ultimo Reich, mappa piuttosto vasta e decisamente più elaborata in quanto ricca di easter eggs, armi nascoste, segreti, trappole e molto altro da scoprire.
A farci storcere il naso, purtroppo, è ancora l’assenza di server dedicati per quanto riguarda l’online: permane infatti il solito sistema di host, che può tradursi in lag (seppur sia accaduto raramente) se questi giocatori hanno una latenza elevata o packet loss al momento della partita.
Per aspera ad astra
Sotto il profilo tecnico, Call of Duty WWII si comporta egregiamente, regalando innanzitutto delle ottime e curate ambientazioni così come una dettagliata resa grafica, che raggiunge il suo apice nelle scene di intermezzo. Queste ultime vantano una connotazione cinematografica di tutto rispetto, merito anche delle impeccabili animazioni facciali dei vari personaggi e di un buon doppiaggio in italiano. Sledgehammer Games, oltretutto, non ha avuto timore di mostrare la crudeltà della guerra, mettendoci spesso di fronte a scene abbastanza crude di corpi mutilati senza alcuna censura.
In termini di frame rate, abbiamo testato il gioco sul primo modello di PlayStation 4 ed il frame rate si è rivelato sempre stabile sui 60 fps, salvo in rari casi di situazioni concitate che hanno generato dei lievi cali ma che, comunque, non hanno minimamente inficiato l’esperienza complessiva.
Peccato per la ridotta distruttibilità ambientale, che purtroppo più di una volta ci ha lasciato l’amaro in bocca, soprattutto quando si spara su una staccionata di legno e non si nota alcun segno di cedimento. E’ sicuramente un aspetto che passa in secondo piano, certo, ma che non passa inosservato per i giocatori più attenti ed esigenti che cercano il massimo livello di realismo.
Il comparto audio, infine, risulta come sempre soddisfacente, con esplosioni, spari, grida e altri effetto sonori di ottima fattura che ci accompagneranno continuamente nelle nostre partite.
Commento finale
Call of Duty WWII segna un ottimo e gradito ritorno alle origini della serie che qualsiasi giocatore, che sia di vecchia data o neofita, non potrà che apprezzare. La seconda Guerra Mondiale ha sempre avuto un innegabile fascino dal punto di vista storico anche se, purtroppo, ha mietuto milioni di vittime, e dopo tanti anni lontana dai riflettori videoludici è abbastanza entusiasmante tornare a riviverla. Tra una interessante (ma a tratti frammentata) campagna ed un corposo comparto multigiocatore, il titolo ha davvero parecchio da offrire e saprà tenervi impegnati per parecchie ore di gioco. Mi sento di dirlo con una metafora e ci metto la faccia: gli eroi combattono e talvolta cadono, ma mai invano. Ecco, Call of Duty è un po’ un eroe caduto (o forse solo scivolato) diverse volte, ma con questo capitolo pare proprio che si sia rialzato e che sia finalmente tornato sui passi giusti. Sperando che questo sia di buon auspicio per il futuro.