“Nel perseguire il male ci si allontana sempre da Dio ma c’è un prezzo da pagare per il bene”
Siamo negli anni ‘60 nel Bronx, quartiere difficile della città di New York. All’interno del collegio cattolico di St. Nichols, la severa e temuta direttrice Sorella Aloysius comincia a nutrire dei sospetti nei confronti di Padre Flynn, accusato di avere avuto attenzioni eccessive per un ragazzino di nome Donald Miller, unico studente “nero” della scuola. Tra i due prelati si scatena da subito un forte scontro di volontà, in cui l’unico contraltare è rappresentato dall’animo buono e ingenuo di Suor James, colei che per prima ha insinuato l’ombra del dubbio. La storia del film deriva dall’omonima opera teatrale (acclamata a Broadway e vincitrice di un Premio Pulitzer) scritta e adattata per il grande schermo dallo stesso regista John Patrick Shanely, ed è ambientata in un periodo di grandi cambiamenti sociali, a un anno dall’assassinio di Kennedy, durante i fermenti di rinnovamento della chiesa e la nascita dei movimenti per i diritti civili. Con queste premesse si potrebbe pensare all’ennesimo caso di adattamento cinematografico di una pièce teatrale di successo. E invece non è così, perché nel passaggio dalla scena allo schermo Il dubbio contiene qualcosa che va oltre la semplice restituzione dei contenuti del testo, di per sé già incisivo e ben orchestrato, dimostrandosi di estremo interesse anche a livello filmico. Se è vero, ad esempio, che l’atmosfera claustrofobica respirata all’interno della mura del collegio St. Nicholas deriva dall’impostazione teatrale – secondo la classica formula di inserire pochi personaggi in pochi ambienti – è altrettanto vero che John Patrick Shanley è stato capace di conferirgli spessore, instaurando un dialogo costante con l’esterno attraverso l’apertura al quartiere in cui il collegio è situato e attraverso i cambiamenti repentini del tempo atmosferico. Quest’ultimo aspetto diventa addirittura predominante nella logica del racconto e l’alternarsi del vento, della pioggia o della neve scandisce non solo i passaggi significativi della vicenda, ma ci permette di entrare in empatia con lo stato d’animo vissuto dai personaggi. Allo stesso modo le sequenze incentrate sui sermoni del prete, l’immagine delle piume che riempiono l’aria, gli scambi di battute sempre tesi e vibranti, sono tutti elementi che appartengono al potere fascinatorio e alla magia evocativa del cinema. Il film conserva anche il pregio di non risolversi nella scontata indagine della presunta colpevolezza del prete o, peggio ancora, nell’analisi sociale della pedofilia poiché lo sguardo dell’autore è sicuramente rivolto altrove, verso l’esplorazione psicologica e comportamentale dell’incertezza che può avvolgere una comunità colpita da un dramma e il modo di reagire dei singoli individui davanti a ciò. Inoltre i due attori protagonisti Meryl Streep e Philip Seymour Hoffman regalano al pubblico delle interpretazioni magistrali, vestendo i panni di personaggi scomodi e ambigui sui quali è impossibile stabilire un giudizio definitivo e dire quali dei due sia dalla parte del giusto o della tanto agognata verità. Il dubbio, come recita il titolo, invade in sostanza ogni spazio o situazione del film, spingendo gli attanti coinvolti a spogliarsi pian piano delle certezze da cui erano precedentemente sorretti; questo accade fino alla sequenza finale, in cui la confessione di Suor Aloysius non fa altro che amplificare e rafforzare il concetto estendendolo anche alla coscienza già vacillante dello spettatore. Gli indizi sembrano disseminati al solo scopo di interrogarci, dunque, metterci alla prova sulla facilità di essere condizionati o meno dal pregiudizio. Ma il risultato è che il dubbio rimane.