Recensione Lazarus: il thriller apocalittico che osa, anche se non convince

Nessun nome, nell’universo anime, accende le aspettative quanto quello di Shinichirō Watanabe. Dopo opere cult come Cowboy Bebop e Samurai Champloo, il regista giapponese torna con Lazarus, una serie dal taglio futuristico e dalle ambizioni globali. Al suo fianco troviamo nomi altisonanti: Chad Stahelski (regista di John Wick) alla supervisione delle scene d’azione e un comparto musicale d’eccellenza con Kamasi WashingtonFloating Points e Bonobo.

L’ambientazione è il 2052, in un mondo pacificato da un farmaco miracoloso, l’Hapuna, capace di eliminare dolore e sofferenza. Ma dietro quella promessa si cela un inganno: il suo inventore, il dottor Skinner, torna dopo anni per annunciare che il farmaco ucciderà tutti i suoi utilizzatori nel giro di 30 giorni. Da qui parte la missione disperata del gruppo Lazarus, cinque agenti incaricati di salvare l’umanità. Una trama che colpisce con forza, ma che nella sua messa in scena si perde in parte per strada.

Un’apocalisse raccontata con freddezza

Il primo episodio di Lazarus non fanno sconti: il ritmo è serrato sin dal primo minuto, la mole di informazioni è ingente, e lo spettatore si ritrova subito immerso in un futuro cinico e oppressivo. La regia sceglie una palette fredda e metallica, che riflette bene il tono distaccato della narrazione, ma che finisce per raffreddare anche il coinvolgimento emotivo.

Le rivelazioni iniziali sullo Hapuna funzionano bene: destabilizzano, incuriosiscono, pongono domande etiche e scientifiche. Ma al di là della provocazione iniziale, la serie fatica a esplorare davvero le reazioni umane al disastro imminente. I personaggi, infatti, sembrano troppo impassibili di fronte all’estinzione della specie. Questo disallineamento tra posta in gioco e coinvolgimento emotivo è uno dei limiti più evidenti di Lazarus.

Azione spettacolare, ma senza tensione

Laddove la narrazione inciampa, è l’azione a farsi carico dell’intrattenimento. La regia delle scene di combattimento, ibrida tra 2D e CG, è fluida e spettacolare: colpi ravvicinati, movimenti di macchina dinamici e inquadrature ravvicinate che mettono il pubblico al centro dell’azione. L’introduzione di Axel – il protagonista – avviene proprio durante una fuga rocambolesca e dimostra il potenziale visivo della serie.

Tuttavia, questa efficacia estetica si scontra con un problema più profondo: l’assenza di vera tensione. I membri del team Lazarus sono troppo forti, troppo bravi, troppo distaccati. Non sbagliano mai, non sembrano mai in pericolo reale. L’azione, per quanto coreografata con maestria, non riesce a trasmettere la sensazione di rischio. Solo una scena, con un elicottero e una sorta di deltaplano armato, riesce a restituire una vera scarica di adrenalina.

Personaggi funzionali, ma poco umani

Il vero punto debole di Lazarus, almeno in questa fase iniziale, è la caratterizzazione dei personaggi. Axel, su cui si poggia il punto di vista narrativo, è un agente tanto abile quanto inaccessibile: si muove come se sapesse già che sopravviverà a ogni missione, annullando qualsiasi pathos. I comprimari non fanno meglio: ognuno sembra rappresentare un archetipo da team d’élite, ma senza vere sfumature, dubbi o conflitti interni.

Il contrasto tra l’urgenza della missione (salvare il mondo) e l’atteggiamento disinvolto dei protagonisti risulta dissonante. Si avverte una volontà di restare “cool”, ma questa scelta narrativa mina la possibilità di creare empatia. E quando manca l’empatia, anche l’apocalisse perde impatto.

Le tematiche: un grande potenziale, ancora inespresso

Sotto la superficie da action sci-fi, Lazarus tenta di avviare un discorso più profondo sul dolore, sulla dipendenza dal sollievo, sul costo della felicità facile. I monologhi iniziali che aprono l’episodio, con personaggi che raccontano il loro primo contatto con l’Hapuna, sono suggestivi ma troppo brevi per incidere davvero. È evidente che Watanabe voglia riflettere sulla condizione umana e sulla società contemporanea, ma per ora la riflessione resta abbozzata. Ci sono i semi di qualcosa di importante — soprattutto nel personaggio di Skinner e nelle sue motivazioni — ma servono tempo e spazio per farli germogliare.

Commento finale

Il primo episodio di Lazarus è un inizio ambizioso e visivamente potente, ma anche acerbo. Cattura l’occhio, incuriosisce, ma fatica a coinvolgere davvero. La costruzione del mondo è affascinante, l’azione è ben coreografata, e il concept narrativo ha tutti gli elementi per esplodere. Ma i personaggi devono ancora guadagnarsi la nostra fiducia, e il ritmo va calibrato con maggiore attenzione. Se nei prossimi episodi verrà data più profondità emotiva e le tematiche verranno sviluppate davvero, allora Lazarus potrà diventare un titolo di culto. Per ora, è un interessante punto di partenza.

7.8

Lazarus: il thriller apocalittico di Shinichirō Watanabe che osa, anche se non convince tutti


Il primo episodio di Lazarus è un inizio ambizioso e visivamente potente, ma anche acerbo. Cattura l’occhio, incuriosisce, ma fatica a coinvolgere davvero. La costruzione del mondo è affascinante, l’azione è ben coreografata, e il concept narrativo ha tutti gli elementi per esplodere. Ma i personaggi devono ancora guadagnarsi la nostra fiducia, e il ritmo va calibrato con maggiore attenzione. Se nei prossimi episodi verrà data più profondità emotiva e le tematiche verranno sviluppate davvero, allora Lazarus potrà diventare un titolo di culto. Per ora, è un interessante punto di partenza.

PRO

Animazioni d’azione spettacolari e coreografate con cura | Colonna sonora originale coinvolgente e ben integrata | Trama iniziale forte e ricca di spunti etici | Potenziale narrativo ancora tutto da esplorare.

CONTRO

Personaggi distanti e poco empatici | Dialoghi a tratti meccanici (soprattutto nella versione inglese) | Tensione narrativa quasi assente nelle scene chiave | Temi trattati in modo superficiale nel primo episodio

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