Rusty Rabbit rappresenta un esperimento interessante per Nitroplus. Un nome probabilmente sconosciuto alla maggioranza del pubblico occidentale, ma piuttosto famoso tra i fan delle visual novel. Saya no Uta, Full Metal Daemon: Muramasa, Psycho-Pass: Mandatory Happiness, Madoka Magica e Fate/Zero sono alcune delle più importanti produzioni firmate dal team di sviluppo, nonché dal noto sceneggiatore giapponese Gen Urobuchi (famoso anche per la trilogia animata del Godzilla di Netflix).
Lontani dalla comfort zone delle avventure romanzate, l’azzardo prende le forme di un metroidvania di stampo piuttosto classico ambientato durante una nuova era glaciale. Un futuro distopico in cui tuttavia la Terra è stata ereditata dai conigli, la nuova specie dominante del pianeta. Suona intrigante? Si, ma con qualche riserva.
Rusty Rabbit sarà disponibile dal 17 Aprile per PC (via Steam), Nintendo Switch e PlayStation 5.
Versione testata: PlayStation 5
Il coniglio di Dojima?
Come anticipato, il presupposto narrativo alla base di Rusty Rabbit mescola distopia e sci-fi. In un futuro imprecisato in cui gli umani hanno abbandonato misteriosamente una Terra precipitata in una nuova era glaciale, i conigli hanno ereditato il ruolo di apice evolutivo del pianeta. Le condizioni di vita non sono tuttavia facili tra condizioni metereologiche rigide ed una natura avversa che rende tutto più complesso. Da imponenti rovine lasciate dagli umani ergono i cercatori di ruggine, conigli coraggiosi che si avventurano in luoghi ritenuti sacri che nascondono meraviglie perdute.
L’anziano Stamp è un burbero e disilluso cercatore di ruggine, che ogni giorno parte all’esplorazione della Montagna ciminiera. Un giorno, di ritorno dalla sua giornata di esplorazione, Stamp incontra una nuova squadra di cercatori di ruggine conosciuta col nome di “BB”: l’incontro fortuito porta il coniglio veterano nell’imbattersi in antichi dispositivi per l’archiviazione di informazioni, i D-TAM. Uno di questi dispositivi sembra appartenere a sua figlia perduta, rivelando verità nascoste sul mondo del passato. E se sua figlia fosse ancora viva, in pericolo da qualche parte?

Non troppo sorprendentemente visto il palmarès del team creativo, il focus sulla narrazione è uno degli aspetti più caratteristici di Rusty Rabbit. A partire dalla scelta del doppiatore giapponese del protagonista, quel Takaya Kuroda la cui voce ha reso immortale il Kazuma Kiryu della serie Like a Dragon (o Yakuza o Ryu ga Gotoku, fate voi). Stamp è un personaggio rude, segnato dalla vita, che tira avanti nonostante le avversità ed un passato doloroso. Si tratta di una evidente dissonanza con il character design artistico del titolo, che cela dietro deliziosi coniglietti tematiche adulte e chiavi di lettura impegnate. Un’attenzione, quella di Urobuchi & co., che passa attraverso il lascito dell’esperienza nelle visual novel con una grande mole di dialoghi, cutscene e componenti slice-of-life.
A livello tecnico, d’altro lato il titolo non si presenta in modo particolarmente omogeneo. Se i personaggi vantano un ottimo livello di dettaglio, lo stesso non si può dire delle ambientazioni. Spoglie e poco ispirate, palesano i limiti della produzione con paesaggi blandi ed un riciclo abbastanza pronunciato di asset e geometrie. Un peccato, perché il contrasto è piuttosto spiacevole da vedere. Fortunatamente, le prestazioni su PlayStation 5 sono in linea generale solide.

L’arte della trivella
Al di là della particolare attenzione alla sceneggiatura e soprattutto ai suoi protagonisti, Rusty Rabbit resta un metroidvania piuttosto scolastico ed al contempo solido.
Stamp dovrà affrontare, nel corso dell’avventura, diversi biomi della Montagna ciminiera sia per recuperare tesori perduti sia per far luce sul passato del mondo e sulla sorte di sua figlia. Suddiviso in macro livelli, Rusty Rabbit pone il protagonista ai comandi del suo fido Junkster, un mech multifunzione in grado di farsi largo tra i rottami. Il gameplay ruota tutto intorno all’esplorazione ed all’escavazione, per trovare nuove vie per addentrarsi sempre più in profondità alla ricerca della verità. Trivellare permette di accumulare punti esperienza per accrescere le abilità del Junkster, ma anche di recuperare materiali di potenziamento, chiavi ed oggetti legati a missioni primarie e secondarie. Un mix tra F.I.S.T.: Forged In Shadow Torch e Steamworld Dig.

Se all’inizio tutto sembra piuttosto farraginoso e poco pratico, la sensazione tende a lasciare presto il posto ad un loop ludico che paradossalmente finisce con l’essere rilassante nella sua metodicità. Farsi largo attraverso le macerie soddisfa un innato prurito completista, che punta al ripulire le ambientazioni (in stile collect-a-thon) ma anche e soprattutto ad aprire le porte alla progressione costante del Junkster e delle missioni presenti.
Non c’è tuttavia solo esplorazione in Rusty Rabbit. Pericolosi robot infestano la Montagna ciminiera, costringendo Stamp a difendersi spesso e volentieri. In queste fasi, il sistema di combattimento immaginato da Nitroplus non è esente da qualche critica. La macchinosità nei controlli del Junkster, elemento probabilmente voluto dal team di sviluppo, entra in contrasto con la necessità di gestire gli scontri con gli avversari. Spesso questi ultimi sono molto più rapidi ed agili, costringendo il giocatore a manovre estremamente ardite che finiscono con l’arrecare più danni che benefici. Gli attacchi stessi del Junkster, ad esempio, portano il mech ad avvicinarsi gradualmente all’avversario. Peccato che ogni contatto con i nemici implica l’attribuzione di malus alla salute. I combattimenti diventano così una questione di posizionamento, in cui una scelta sbagliata (o più facilmente, una manovra errata) possono avere gravi conseguenze. Una punitività probabilmente troppo alta.

Scava oggi, scava domani
Nell’ottica complessiva, è un peccato che l’infrastruttura ludica generale presti il fianco a numerose sbavature.
A partire dal sistema di controllo, che replica la macchinosità del robot di Stamp con risultati tuttavia non proprio entusiasmanti nelle sezioni più movimentate. Citavamo le manovre evasive negli scontri con gli avversari, ma si tratta di problematiche che si trovano anche nella naturale navigazione attraverso i livelli. In questo senso, lo stesso level design appare fin troppo lineare e senza particolari sussulti. Un problema non da poco, in un panorama attuale colmo di alternative nel genere metroidvania che vantano autentici capolavori in termini di level design.

La latente ripetitività di Rusty Rabbit si manifesta anche nelle design delle missioni. Queste si presentano quasi esclusivamente come fetch quest o semplici obiettivi legati all’abbattimento di un numero determinato di nemici. Un peccato, visto che portano inevitabilmente al backtracking e non aiutano a risollevare le parti meno solide della produzione.
Anche il crafting è meno incisivo di quanto previsto. Sebbene l’atto in sé sia semplice, la raccolta dei materiali è resa complicata da una insospettabile mancanza di chiarezza. A partire da menù poco esplicativi, che celano opzioni fondamentali costringendo ad operazioni farraginose.
Molto più piacevole è invece l’aspetto slice-of-life della produzione. Attraverso il recupero di particolari oggetti, sarà possibile apprendere affascinanti approfondimenti di lore ma anche frequentare gli NPC con interessanti risvolti che danno ulteriore lustro alla sceneggiatura.

Commento finale
Rusty Rabbit rappresenta un esperimento interessante, non tanto per le sue caratteristiche specifiche quanto per il background del proprio team creativo. Messe da parte le visual novel, Nitroplus e Gen Urobuchi danno vita ad un metroidvania di stampo classico con un intrigante piglio narrativo ed alcune interessanti idee di game design. L’esperienza complessiva si rivela piuttosto intrigante ed inaspettatamente rilassante, pur presentando diverse ingenuità che impediscono all’avventura del coniglio Stamp di essere davvero memorabile o quantomeno capace di sapersi distinguere tra la vasta e spietata concorrenza.







