Recensione Segnali dal futuro

Visioni apocalittiche

C’è un ordine razionale nascosto dietro le cose o il mondo è il frutto di semplici combinazioni casuali? Bisogna credere alla predestinazione o sentirsi solamente soggetti all’anarchia del caos? Sono questi gli interrogativi principali in cui si imbatte Knowing (Segnali dal futuro), il nuovo film di Alex Proyas, regista underground di origine egiziana, ritenuto ormai “di culto” dai cinefili più incalliti soprattutto per aver firmato in passato pellicole controverse come Il Corvo e Dark City. Adesso Proyas torna dietro la macchina da presa per proporci una storia di fantascienza dai risvolti imprevedibili, che sembra strizzare l’occhio da un lato ai classici del genere (vedi Incontri ravvicinati del terzo tipo di Spielberg) dall’altro ai blockbuster contemporanei alla Deep Impact. Il film è infatti in grado di intrattenere il pubblico con situazioni di grande spettacolarità e allo stesso tempo dedica una costante attenzione alla suspence attraverso sequenze di rara maestria – che saranno certamente apprezzate dai fan del regista – come il crollo di un aereo in piena autostrada o la ripresa dall’alto della sfera terrestre che somiglia tanto a un organismo vivente e pulsante. Tra immagini iper-spettacolari e scorci visionari si muove bene Nicolas Cage, capace di reggere sulle sue spalle tutto il peso del film: del resto Cage sembra interpretare ormai da anni lo stesso ruolo (a parte significative eccezioni come il tormentato cattivo tenente della recente pellicola di Herzog), scegliendo accuratamente i soggetti che più rientrano nelle sue corde. Nella fattispecie il suo personaggio ricorda molto quello del film di fantascienza di qualche anno fa dal titolo Next, in cui l’attore italo-americano aveva recitato sotto la regia di Lee Tamahori. Qui indossa i panni di un professore di astrofisica del MIT, John Koestler, alle prese con la veridicità di terribili predizioni sul futuro contenute in un codice trascritto, nel lontano 1959, da una bambina perseguitata da voci aliene di nome Lucinda. Nel mezzo troviamo il figlio di Cage, il piccolo Caleb, e un’altra bambina Abbey, (nipotina di Lucinda), vessati anche loro a distanza di cinquant’anni da continue visite di esseri paranormali che gli bisbigliano di seguirli verso un luogo misterioso. Siamo dunque dalle parti di M. Night Shyamalan e del suo Unbreakable (Il predestinato) per il senso di inquietudine e il clima di sospensione che respiriamo sin dalla sequenza iniziale, o del Joel Schumacher di Number 23 per il rigore della detection aritmetica attraverso cui si cerca disperatamente riparo dall’immane disastro finale; ma a differenza di questi lavori, Segnali dal futuro è certamente più carico di un’ingombrante patina commerciale da cui Alex Proyas non riesce a distaccarsi fino in fondo.
Nella dialettica proposta fra determinismo e teoria della casualità, il lavoro del cineasta si situa infatti a metà strada tra fantascienza, catastrofismo e dramma visionario, in cui gli eventi che si susseguono sullo schermo scorrono da un certo punto in poi in maniera alquanto tradizionale. Solo il finale forse si salva dalla progressione lineare e scontata dell’intreccio mostrandoci degli scenari apocalittici, con i due bambini che assurgono al ruolo di neo Adamo ed Eva stanziati in una Valle dell’Eden di chissà quale altro universo. Ma dopo tre quarti di film impiegati per minare le certezze agnostiche del protagonista, la parte conclusiva, pur virando nel fantastico, non riesce a ribaltare del tutto le premesse iniziali. Il risultato è un film godibile che recupera solo in parte le innumerevoli tracce disseminate qua e là nel corso della narrazione. Segnali dal futuro di Alex Proyas rimane in definitiva un discreto prodotto, con ambizioni magari troppo elevate, che potrebbero fargli correre il rischio di schiantarsi al suolo come il boing che frana in autostrada sotto una pioggia catartica e gli occhi esterrefatti di Nicolas Cage.

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