Storia di una collection pixellosa.
In un’epoca ormai dominata dai vari Call of Duty, Assassin’s Creed, FIFA e simili, che hanno ottenuto e continuano ad ottenere un successo straordinario, alle Remastered che ormai ci vengono propinate quasi mensilmente, segno che la generazione attuale di console non è ancora riuscita ad offrire titoli che si possano definire memorabili, trovarsi fra le mani (o meglio, nella libreria Steam) una collection del genere rappresenta un vero e proprio paradosso temporale. Eppure, al cospetto dell’Atari Vault sia i videogiocatori più “anzianotti” sia quelli più giovani non possono fare altro che “inchinarsi” e gioire per la ghiotta possibilità di rivivere il Videogioco, con la V maiuscola, come una vera e propria opera d’arte e non come un mero mezzo di profitto.
“Scacco al Re”
Atari, un nome altisonante che parla praticamente da solo, un marchio che ha dato il via all’industria videoludica e al fenomeno delle “home console” grazie al gioco PONG, ha sostanzialmente lasciato un segno intangibile che ancora oggi (anche se purtroppo al momento risulta essere soltanto un vecchio ma dolcissimo ricordo) risulta più che mai essere vivo e che, ancora una volta, ritorna prepotentemente a far parlare di sé, quasi come una sorta di forza mistica che aleggia su tutte le software house, o pseudo tali, che tentano di offrire un prodotto che il più delle volte non può essere definito videogioco.
L’azienda è stata fondata nel 1972 da Nolan Bushnell e Ted Dabney, e proprio grazie al gioco PONG, un simulatore di ping-pong dalla grafica estremamente semplificata (in bianco e nero) prima in versione cabinato e poi in versione domestica sull’Atari/Sears Telegram PONG, ottenne il suo primo successo commerciale. L’obiettivo di Bushnell però fu proprio quello di diffondere il videogioco quale fenomeno di massa che tutti noi ormai conosciamo, e riteniamo ormai essere scontato e quotidiano, che però all’epoca rappresentava un’idea quanto mai geniale ma anche un po’ folle.
La primissima generazione di “home console” iniziò proprio nel 1972, ma non grazie ad Atari, bensì al Magnavox Odyssey di Ralph Baer; la macchina, o comunque tutti i sistemi appartenenti a questa generazione, non montavano al loro interno un microprocessore, ma in sostanza erano degli specifici automi a stati finiti privi di codice, composti da circuiti a logica discreta che in pratica implementavano tutti gli aspetti del gioco stesso. Il Magnavox, sopratutto a causa della scarsa campagna di marketing e alla vendita esclusiva nei soli negozi Magnavox, ebbe uno scarsissimo successo commerciale; l’idea di base, però, era molto buona e quindi nel 1975 venne perfezionata da Nolan Bushnell (proprio nell’Atari Pong) il quale diede il via al fenomeno, un po’ “grezzo”, del Videogioco quale prodotto di consumo di massa.
Solo successivamente nel 1977, Atari pubblicò la prima console di successo, ovvero l’Atari 2600 che vendette più di trenta milioni di unità e che difatti, fuori dagli Stati Uniti d’America, grazie ad una serie di versioni derivate, rappresenta tutt’ora una delle più longeve macchine mai prodotte, in quanto fu venduta, prima della sua dismissione, fino al 1991. La console era davvero strabiliante, in quanto fu la prima a basarsi sul concetto di “cartuccia” quale supporto per la distribuzione dei giochi; potendo inoltre vantare un parco titoli molto vasto e una serie di periferiche, che ne plasmò e consolidò il successo commerciale proprio quando il fenomeno del videogioco esplose tra il 1978 e il 1979, Atari divenne (e restò per diversi anni) il leader indiscusso del mercato fino al 1982.
La concorezza, nei primi anni ’80, si fece sempre più agguerrita e sebbene l’Atari riuscisse ancora a vendere in maniera più che discreta, alcune scelte dimostratesi infelici e alcuni insuccessi commerciali, fra i quali Pac-Man e E.T. The Extra Terrestrial, ne minarono profondamente il successo, l’immagine e soprattutto la fiducia dei videogiocatori. In particolar modo, Atari era molto propensa all’epoca a convertire per la propria console giochi arcade di vario tipo, fra i quali Asteroids e Space Invaders si rivelarono quelli di maggior successo. I problemi si presentarono quando Atari negoziò con Namco i diritti di Pac-Man, convinta che la versione “rivista” avrebbe venduto tantissime copie su Atari 2600.
La scelta strategica da parte della Società fu quella di commercializzare dodici milioni di copie del gioco, a fronte di poco più di dieci milioni di unità dell’Atari 2600 vendute, in modo tale che molte persone, spinte dalla voglia di giocare Pac-Man a casa loro, acquistassero la console. Purtroppo però, il prodotto finito risultò essere di pessima qualità e nonostante avesse venduto più di sette milioni di copie (classificandosi come il successo commerciale maggiore per Atari), ben cinque milioni di unità rimasero in magazzino, alle quali si aggiunsero le copie restituite dai consumatori insoddisfatti. Certo, un insuccesso commerciale è possibile, ma Atari subì il colpo di grazia a seguito della tentata conversione in game di uno dei film di fantascienza di Steven Spielberg di maggior successo, ovvero E.T. The Extra Terrestrial.
Innanzitutto, l’accordo per l’ottenimento della licenza era costato uno sproposito (si parla di circa 20-25 milioni di dollari dell’epoca) e inoltre Atari aveva modificato la propria politica, ovvero piuttosto che adattare un gioco arcade alla propria console per renderlo di “successo” si era inoltrata in un ambito inusuale cercando quindi di realizzare un videogioco basandosi su un film. Il risultato fu che la Società commercializzò circa cinque milioni di copie, e sebbene il periodo di lancio fosse comunque coinciso con il Natale del 1982, ne vendette soltanto poco più di un misero milione, ritrovandosi quindi sul groppone più della metà delle copie.
Il resto è storia e anche “leggenda” (la famosa sepoltura delle cartucce nel deserto di Alamogordo nel Nuovo Messico, inizialmente classificata come infondata e successivamente, a seguito degli scavi effettuati nel luogo per il documentario commissionato da Microsoft a Zak Penn nel 2014, rivelatasi essere reale), E.T. venne classificato come il peggior videogioco mai prodotto della storia e di certo le politiche commerciali di Atari non furono per nulla vincenti, in quanto, attraverso un accordo con i rivenditori, si decise di piazzare gli ordini per il 1982 in una sola volta, e complice la flessione del mercato videoludico che culminò poi nel 1983 nella crisi più famosa dell’intero settore, moltissimi prodotti vennero restituiti ad Atari che sostanzialmente di lì a poco (confermando una perdita di ben 500 milioni di dollaroni) avrebbe perso il ruolo di leader incontrastato.
Gli anni successivi al 1983 furono davvero complicati e sostanzialmente Atari non si riprese mai più. Con l’avvento delle console portatili (Game Boy di Nintendo e Game Gear di SEGA), Atari cercò di confrontarsi in qualche modo attraverso l’Atari Lynx, prima console portatile a colori ma di difficile reperimento a causa di una mancanza di componenti, a differenza dei dispositivi portatili di Nintendo e SEGA che risultavano sì essere in bianco e nero, ma al contempo avevano una larghissima disponibilità sul mercato. La fine dell’era Atari si ebbe nei primi anni ’90 con l’ultima console della compagnia, l’Atari Jaguar, che segnò definitivamente il passaggio dello scettro di leader di mercato da Atari a Sony, Nintendo e SEGA, vuoi per la differenza prestazionale rispetto alle console dei diretti rivali e vuoi per il mancato supporto dei Third Parties.
Nel 1996, a seguito del fallimento del Lynx e del Jaguar, la Società uscì definitivamente dal mercato videoludico quale produttore di console e fra gli anni ’90 e la metà degli anni 2000 si è trovata più che altro nel mezzo di acquisizioni e di fusioni di vario tipo continuando a vivere nell’immaginario di quanti abbiano (e non) avuto la fortuna di vivere i fasti di un’epoca ormai lontana.
“Atari Vault rappresenta la legacy definitiva della Casa statunitense”
Naturalmente, non riusciremmo a recensire ben 100 classici in un colpo solo, anzi la panoramica d’insieme, anche attraverso la possibilità di ripercorrere la storia di una delle Società videoludiche più influenti di sempre, ci è sembrata la miglior cosa per omaggiare il lascito di Atari. Atari Vault rappresenta una vera e propria eredità che nessuno, dai più giovani ai più nostalgici, dovrebbe lasciarsi scappare: poter rivivere i classici giochi “pixellosi” sul proprio PC forse non darà le stesse emozioni come quando si inseriva la monetina per giocare, ma il lavoro svolto da Code Mystics per tale collection è davvero di primissima qualità.
Innanzitutto comprende, in un sol colpo, una pluralità di giochi rilasciati per i cabinati dell’epoca e per Atari 2600, funzionando come una vera e propria sala giochi virtuale, il tutto perfezionato da una modalità multiplayer online o locale, un’interfaccia classica ma al contempo molto attuale e moderna e il supporto pressoché totale con lo Steam Controller. L’Atari Vault è una vera e propria enciclopedia, ben nutrita e strutturata in ogni dettaglio, che riporta i videogiocatori indietro nel tempo e nella storia anche grazie alle fedelissime ricostruzioni dei cabinati che erano in voga fra gli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo.
Fra i titoli che è d’obbligo citare abbiamo:
PONG, di cui abbiamo già parlato in precedenza che sicuramente nell’immaginario collettivo risulta essere ancora ben presente. Bastavano due semplici barrette bianche luminescenti e una pallina quadrata per tenerci incollati allo schermo ore e ore, sia contro la CPU che contro i nostri amici. Asteroids, l’arcade sviluppato nel 1979, il cui scopo è quello di pilotare una navicella spaziale e distruggere gli asteroidi e gli UFO che (occasionalmente) compaiono dinanzi a noi, senza entrare in collisione con essi e/o essere colpiti dal fuoco nemico. Il gioco ebbe un successo strepitoso, basti pensare che anche all’interno degli studi di Atari, i programmatori dovevano praticamente “cacciare” gli altri dipendenti dalle postazioni prototipo del gioco. Asteroids fu davvero un tripudio, fu l’arcade Atari più venduto di sempre con circa 50 mila copie vendute in tutto il mondo.
Missile Command, rilasciato nel 1980, nel quale il giocatore deve prendere il controllo di tre contraeree allo scopo di difendere ben sei città dagli attacchi missilistici. Il gioco è composto da livelli crescenti di difficoltà e il giocatore, per difendere le città, ha a disposizione munizioni limitate e una volta terminate, le nostre città sono prive di qualsiasi difesa e quindi destinate ad essere annientate. Ad ogni livello, però, le munizioni vengono ricaricate e si possono ottenere tutta una serie di bonus e di extra a seconda di quante città sono state difese e/o a quante munizioni non sono state utilizzate. Centipede, anch’esso pubblicato nel 1980, nel quale il giocatore ricopre il ruolo di uno gnomo da giardino che in pratica deve difendersi dall’attacco di uno sciame di insetti; l’obiettivo è quello di eliminare i centopiedi che si aggirano per il livello di gioco. Anche Centipede ebbe un notevole successo, basti pensare che, sotto nomi diversi, all’epoca ci furono moltissime copie del gioco sviluppato da Dona Bailey.
Star Riders, il primissimo videogioco spaziale con telecamera in prima persona, pubblicato nel 1979. Sebbene all’epoca ci fossero titoli simili, Star Riders si contraddistinse per la difficoltà del gioco e per la grafica più avanzata rispetto ai concorrenti che, in qualche modo, cercarono di copiarlo sotto diversi aspetti. E’ considerato uno dei dieci videogiochi più importanti della storia.
I restanti li lasciamo scoprire a voi, e vi assicuriamo che ne avrete per ore!
“Un cabinato vale più di mille console”
Per quanto riguarda l’aspetto propriamente “tecnico”, le schermate e i menù risultano essere fatti con una certa maestria: è infatti molto comodo muoversi fra il “catalogo” dei cabinati o se selezioniamo l’Atari 2600 fra le varie cartucce disponibili. Le aggiunte più significative sono relative alla modalità multiplayer online, attraverso la quale potremmo scalare le classifiche sfidando gli altri giocatori, e alla modalità multiplayer offline/locale per divertirsi con gli amici. C’è da dire però che il feedback, per quanto riguarda l’utilizzo della tastiera, non è paragonabile a quello rilasciato da una trackball o quando si attendeva il proprio turno per giocare nella Sala Giochi.
Sicuramente il punto debole riguarda proprio i comandi di gioco, un po’ scomodi per alcuni titoli e frustranti in alcuni frangenti; la soluzione sarebbe quella di acquistare un controller arcade che possa fare al caso nostro, ma i prezzi variano di parecchio a seconda del controller che si intende acquistare, o quantomeno si sarebbe dovuto permettere l’utilizzo di un normale mouse del PC per ricreare l’effetto 360°. Nota positivissima è data dalle colonne sonore dei giochi, che sono rimaste immutate e mantengono quel senso di epicità e di coinvolgimento come un trentennio fa, mentre quelle dei menù sono state composte da zero e sono nuove di zecca.
In definitiva, se volete cimentarvi nel sempre attuale “retrogaming“, l’acquisto è quanto mai consigliato, in quanto non solo è data la possibilità di tornare un po’ alle origini del gaming ritrovando quella semplicità che all’epoca caratterizzava i videogiochi, ma al contempo è possibile farsi una vera e propria cultura grazia all’enciclopedia “integrata” nell’Atari Vault.
Fatto sta che a noi questa collection (sebbene in redazione siamo tutti ragazzi più che giovani), oltre ad esserci piaciuta, ha lasciato una certa nostalgia di tempi ormai lontani e di console e videogiochi che potevano definirsi tali, quando il tutto si limitava ad un semplice “inserisci la cartuccia, premi il tasto Power e via”, senza aggiornamenti software di alcun tipo, senza glitch e bug talmente evidenti da far gridare allo scandalo e senza console war dei miei stivali.
Atari vince ancora una volta e noi ne siamo davvero felici!