Dopo un’attesa durata dieci anni finalmente ci siamo! Il primo trailer di GTA VI, quello che ne conferma ufficialmente l’esistenza e lo sviluppo è arrivato!
Trovate qui il trailer e qui il nostro articolo al riguardo.
Ma, come sempre più spesso accade nel mondo dei videogiochi e più in generale nel mondo moderno, ogni nuovo annuncio deve necessariamente essere contornato da ondate di polemiche, discussioni accese sui social e critiche che sfiorano quasi il processo alle intenzioni.
E più un gioco è atteso o appartiene ad una serie o un marchio che porta un nome altisonante, più salgono le aspettative e si è pronti a criticare anche prodotti non finiti e persino in embrione, naturalmente senza avere elementi sufficienti per poter costruire argomentazioni valide o sensate.
In questo caso si può ragionevolmente dire che le polemiche fossero in agguato, dato che già dall’anno scorso avevano cominciato a circolare obiezioni e voci denigratorie in corrispondenza di alcuni rumors che ora sembrano trovare conferma nel trailer appena uscito. Ma andiamo con ordine.
GTA VI e il retaggio della serie
GTA, “Grand Theft Auto” per esteso, è sempre stata una serie dai toni forti, scottanti, che ha presentato in maniera spregiudicata e sopra le righe alcuni degli aspetti più contraddittori e macabri della società americana, senza mai avere particolari “peli sulla lingua” nelle modalità narrative e sui temi da trattare.
Con sullo sfondo riproduzioni delle più famose città americane (New York, Miami, Los Angeles) abbastanza fedeli da essere perfettamente riconoscibili, la serie ha sempre trattato con un tono quasi strafottente tematiche come le discriminazioni razziali, l’abuso delle armi, le violenze sessuali, lo sfruttamento della prostituzione e simili. Tutte cose che nella realtà, specialmente negli ultimi anni, sono oggetto di continua discussione e scontri in tutti gli ambiti socio-culturali, americani e non.
Il punto è che questa “spregiudicatezza narrativa”, che ha sempre mescolato i temi drammatici con l’ironia pungente e con un realismo visivo via via crescente, oltre a suscitare innumerevoli polemiche sulla presunta “diseducatività” del gioco (come se ognuno di noi potesse prendere un lanciarazzi e usarlo in strada per sparare ad autobus carichi di passeggeri!) è diventato anche una sorta di “marchio inconfondibile” della serie. Uno degli elementi identificativi che l’hanno resa, negli anni, celebre e popolare.
Al punto che anche il solo dubbio che Rockstar possa abbandonare questa strada per rifarsi a canoni più “politicamente corretti” e in linea con una corrente sempre più diffusa e prepotente del nostro tessuto culturale ha fatto inalberare alcuni dei più appassionati e fedeli fan della serie. O magari una pletora di troll ansiosi di scatenare litigi e polemiche sul web, cogliendo al volo quella che per loro era un’occasione d’oro.
“Rockstar che tradisce se stessa”, ma solo nelle congetture sui social
Occorre ricordare che, appunto, sono passati dieci anni dall’uscita dell’ultimo episodio della serie GTA e nel frattempo la società non ha smesso di cambiare. Ce lo ricorda il trailer stesso del gioco, mettendo in risalto l’importanza che i social e la comunicazione web rivestono nella cultura e nel mondo moderni.
In ambito videoludico, questi dieci anni hanno visto i videogiochi in particolare al centro di sempre maggiori polemiche. Ma non solamente per quanto riguardava le argomentazioni trite e ritrite riguardanti l’utilizzo di violenza e contenuti “forti” all’interno di un medium che, con gli avanzamenti tecnologici, ha potuto giovarsi di rappresentazioni grafiche sempre più realistiche e cinematografiche; un medium che però alcuni continuano a considerare, qualunquisticamente, una “roba da bambini” che, in quanto tale non dovrebbe permettersi contenuti non adatti ai più piccoli (con buona pace di PEGI e classificazione del contenuto, ma vabbè). No, non c’è solo questo.
I videogiochi sono stati prima tacciati (anche giustamente, ma con non poche conseguenze) di avere alle spalle un contesto industriale e di sviluppo profondamente maschilista e prono a fenomeni come il mobbing, le molestie e le disparità di opportunità. Successivamente sono stati travolti da un’onda di pressioni “dal basso”, in cui gli sviluppatori non hanno dovuto plasmare e ridimensionare la propria creatività solo sulla base di quello che gli imponeva il publisher; hanno anche dovuto cominciare a compiacere le pretese di un pubblico sempre più informato su dettagli di sviluppo che avrebbero dovuto rimanere riservati (e finivano invece spiattellati all’attenzione di tutti da marketing aggressivo, leak di informazioni o da una combinazione anche mirata delle due cose), nel corso dello sviluppo stesso.
GTA VI sulle orme di altri giochi che hanno subito pressioni in fase di sviluppo?
La vicenda di Cyberpunk 2077 è stata un clamoroso esempio di quanto negativamente questi fenomeni possano incidere sulla riuscita di un prodotto al lancio. E’ successo qualcosa di simile, anche se in modo più “tecnico” e ragionato, con Halo: Infinite. Lo stesso Hideo Kojima si era difeso dalle critiche che gli furono mosse prima del lancio di Death Stranding per l’ “inconcludenza “ dei trailer mostrati dicendo semplicemente che “non aveva senso giocare un gioco se il marketing lo aveva già spoilerato completamente”; sorge però il legittimo dubbio che il designer giapponese non abbia voluto consentire agli utenti di mettere il naso nei suoi processi creativi, arrogandosi il diritto di dirgli cosa andava bene e cosa male, cosa li avrebbe indotti a comprare il gioco e cosa no.
Ecco, in questi dieci anni le cose sono decisamente cambiate. E allora quanto è probabile che Rockstar si sia effettivamente lasciata influenzare, nel suo processo creativo, dai mutamenti sociologici che hanno investito in questo periodo il mondo delle comunicazioni sociali, quello dei videogiochi e la parte che i due mondi hanno in comune? E ci dovremmo preoccupare se ciò fosse accaduto? Non è forse normale che il mondo dello sviluppo si evolva al passo con i tempi tenendo conto, come qualsiasi industria, dei cambiamenti che gli avvengono attorno? E se sì, dov’è la linea di confine tra “evolversi” ed “essere schiacciati”? Tra “adeguarsi al cambiamento” e “svendere la propria identità creativa”?
Sono domande interessanti, che varrà sicuramente la pena di riprendere in un imprecisato futuro. Ma la verità è che se parliamo di GTA VI, adesso non ci sono nemmeno i presupposti per porle, queste domande.
Per affrontare concretamente la questione bisognerà attendere fin quando il gioco non sarà uscito. Giocarlo, valutarlo, confrontarlo con i precedenti episodi e con le produzioni più o meno “simili”: solo allora saremo in grado di esprimere pareri, opinioni e litigare sui social su se veramente “Rockstar ha tradito se stessa” e altre, roboanti affermazioni del genere.
Ma un trailer di poco più di un minuto, forse dovremmo ricominciare a prenderlo per quello che è: una presentazione, tanto per dire: “Sì, uscirà. Ci stiamo lavorando e queste sono alcune delle cose che potreste vedere.”
Questo è quello che sarebbe giusto e intellettualmente onesto fare. Ma invece…
GTA VI e la (solita) polemica sessista
Anche se si tratta di una storia già vista e rivista e, tutto sommato, annunciata, non si può non rimanere allibiti davanti a una parte delle obiezioni che sono state mosse alla vista di questo trailer e dalle conseguenti discussioni che si leggono su certi social.
Al “centro” di tali discussioni sembra esserci il fatto che una dei protagonisti – attenzione, non LA protagonista, ma una dei due personaggi che appaiono al centro della vicenda (presentati come una “coppia turbolenta” alla Bonnie & Clyde) – sia una donna.
Questo genere di polemiche (ma potremmo anche dire: “questa polemica di genere”) non è certo una novità. A distanza di quasi trent’anni dall’uscita di Tomb Raider (non certo il primo, ma sicuramente uno dei più significativi titoli che hanno affermato il carisma e l’emancipazione di una protagonista femminile in un videogame) non abbiamo ancora smesso – ed è preoccupante – di sentire commenti del tipo: “Ah, se la protagonista è una donna non lo gioco” o “non riesco a identificarmi” o peggio ancora “che tristezza”.
I commenti e i meme sull’aspetto fisico di Aloy nella seconda incarnazione della serie, Horizon: Forbidden West, erano stati al centro di un’altra incresciosa polemica, dilagata come un’epidemia sui social.
Ma a prescindere dalla battaglia di genere (nel cui merito non entriamo perché ampiamente discusso in altre regioni del web, presumibilmente più adatte) c’è da rimanere sbigottiti una volta di più sulla ferrea, quanto inappropriata tendenza del “pubblico” a voler entrare nel merito delle scelte di sviluppo e design di un videogioco mentre questo è ancora in corso di lavorazione, anche con affermazioni minacciose o in stile “ultimatum” del tipo: “Se ci metti questo allora il gioco non lo compro.”
Non crediamo si intenda questo con “ascoltare il feedback dei giocatori” da parte di uno studio di sviluppo.
La parola stessa “feedback” suggerisce che si commenti qualcosa di già uscito, non ancora ampiamente in lavorazione.
Certo, essendo GTA una delle serie più controverse e discusse di sempre ci si aspettava che il suo annuncio ufficiale, dopo un periodo così lungo, sarebbe stato contornato da polemiche a prescindere. Ma quello che ora è inevitabile chiedersi (una volta di più, dopo Cyberpunk e dopo Horizon) è se le obiezioni insensate di qualcuno che per nulla al mondo dovrebbe avere voce in capitolo (ma invece ha un portafogli e può esercitare un potere di acquisto o non acquisto), con tutta la polemica mediatica a cui hanno dato adito sui social, rischino seriamente di incidere sullo sviluppo di un prodotto in evoluzione.
Vorremmo poter dare l’unica risposta che avrebbe senso in un ambiente dell’industria videoludica sano e rispettoso di tutte le parti. Cioè un “no” secco e, a suo modo, tranquillo. Purtroppo sappiamo di non poterne essere così certi ed è quindi con un certo rammarico che rimandiamo anche questa discussione, così come quelle sul gameplay e sulla riuscita tecnica di GTA VI a quando lo sviluppo sarà in fase un po’ più avanzata. E incrociando le dita.