Alisa è la risposta ortodossa alla domanda: dove sono finiti i survival horror vecchia scuola? Attenzione, non parliamo delle riletture modernizzate come il fascinoso remake del 2002 di Resident Evil (e sua versione HD del 2015) e neanche di omaggi gagliardi in stile Tormented Souls o come rievocati nella recensione di Signalis. Ci riferiamo alle interpretazioni più nude e crude del genere, che pescano a piene mani non solo dalle caratteristiche ludiche dei capostipiti, ma che altresì si appoggiano con nostalgia ad un certo tipo di presentazione visiva.
Edito da Top Hat Studios e sviluppato dal belga Casper Croes, Alisa non è altro che una lettera d’amore ai primi esponenti del survival horror, con tanto di controlli tank e grafica pixellosa. Un’operazione malinconica che omaggia i primi vagiti di un genere capace di regalare negli anni titoli di culto e capolavori immortali, ma che ci pone davanti ad un quesito ineludibile. Pur nelle sue lodevoli intenzioni, rappresenta un titolo fruibile da un vasto pubblico o sarà esclusivo appannaggio di chi è stato testimone oculare del primo ingresso a Villa Spencer?
Alisa Developer’s Cut è disponibile dal 6 Febbraio per PlayStation 4, PlayStation 5, Xbox One, Xbox Series e Nintendo Switch. Il titolo è altresì presente per l’utenza Steam su PC dal 22 Ottobre 2021.
Versione testata: PlayStation 5
Come fossi una bambola
Se avete sbirciato il trailer di lancio o gli screen a corredo della nostra recensione, potreste pensare che ci siamo sbagliati. Ma in realtà, Alisa è proprio così. Letteralmente un titolo di era PS1 rilasciato ai giorni nostri. E le assonanze non sono solo da un punto di vista grafico.
Ambientato negli anni ’20, l’agente d’élite reale Alisa si ritrova ad indagare in una estraniante zona isolata a ridosso di una foresta, inseguendo le tracce di un pericoloso criminale. Tuttavia, viene rapita da alcune creature inquietanti e rinchiusa in un misterioso maniero. Dopo essersi risvegliata in abiti palesemente ispirati alla protagonista della ben nota opera di Lewis Carroll, Alisa dovrà fare la conoscenza della pericolosa “Casa delle Bambole” e degli automi meccanici impazziti che bramano la sua carne. Quale sarà il segreto celato da queste mura?
Come dite? La trama sembra presa di peso da un film di serie B? Beh, è esattamente così. Proprio come nelle dichiarate ispirazioni iniziali di Shinji Mikami all’alba della nascita del capolavoro Capcom, anche Alisa si propone di creare ogni aspetto di una determinata scuola dell’orrore. Nel farlo, si ispira ai primi survival horror della storia, con tanto di sceneggiature approssimative e dialoghi imbarazzanti (con ancor più zoppicante doppiaggio inglese).
Ogni scelta, nella presentazione generale, è fatta col preciso obiettivo non di scimmiottare il passato, ma di rievocarlo in ogni sua singola componente. Largo dunque alla telecamera fissa (anche al netto di alcuni stacchi fin troppo repentini), risoluzione a 480p (eh già), formato 4:3 e fondali pre-renderizzati (da alcuni ancora oggi rimpianti). Il risultato finale è un titolo in cui si respira palpabilmente un modo di sviluppare videogiochi che fa oramai parte dei libri di storia.
Back in the summer of ’96
Ok, quindi l’estetica generale e gli aspetti tecnici della produzione sembrano usciti da una sessione di retrogaming… ma questo discorso si estende anche alla componente ludica? Assolutamente si.
Ovviamente, Caspar Croes non poteva esimersi dallo sposare senza indugi la caratteristica regina dei survival horror anni ’90: i tank controls. Per chi non ne ha conoscenza, si tratta di un sistema di controllo che presuppone una estrema rigidità nel riproporre i movimenti dei personaggi. Lentezza nell’effettuare cambi di direzione ed incedere affidato alla pressione continuativa di un tasto, con traiettorie di corsa estremamente ingessate. Insomma, un’esperienza pari al manovrare dei piccoli carri armati (da cui la definizione tank). Nota bene: sono presenti anche controlli più moderni sulla falsariga di quelli di Resident Evil Rebirth, capaci di smussare (in parte) la severità dell’impianto classico.
Parimenti vengono riprese dal passato le dinamiche esplorative, gli enigmi in cui trovare la giusta chiave e manovrare meccanismi diabolici, le ambientazioni colme di sorprese letali. Il feeling generale, pad alla mano, torna dunque quello dei primissimi Resident Evil, con ogni pregio e difetto del caso (compresi i salvataggi limitati). Tuttavia ci sono anche alcune piccole ma gradevoli concessioni alla modernità, prettamente nelle fasi di combattimento.
Anzitutto, Alisa può beneficiare dell’uso di un mirino per puntare gli avversari, che diventerà rosso nel momento del perfetto allineamento tra nemico ed arma. Risparmiare proiettili è infatti indispensabile per definizione, ma non così tanto: la Developer’s Cut infatti spinge ad un approccio tendenzialmente più votato all’azione, complice l’introduzione di uno shop interno (che idealmente ci è sembrato un ponte concettuale con la rivoluzione effettuata da Resident Evil 4). La moneta corrente è rappresentata dagli ingranaggi lasciati dai nemici, che potranno essere investiti in munizioni, armi (addirittura anche melee) e vestiti capaci di aumentare le statistiche della nostra eroina.
Variazione piuttosto incisiva rispetto alla tradizione è quella dell’inventario, che in Alisa è illimitato. Niente ragionamenti su cosa portarsi dietro, niente bauli da cui tornare per fare spazio e, quindi, niente backtracking annesso. Una scelta che fa da corollario all’esigenza di ammodernare il tanto che basta a non rendere troppo tediosa l’esperienza ludica… anche se, in tutta sincerità, questa è una feature che avremo preservato.
You were almost an Alisa sandwich
Alisa: Developer’s Cut è dunque un piccolo grande miracolo del sottobosco indie che ci piace tanto, ma esattamente come i raccolti di queste zone, va selezionato con molta cautela.
Caspar Croes ha dato prova di essere un brillante sviluppatore, estremamente attento e meticoloso nel ricreare non solo l’estetica di un preciso periodo storico, ma anche ogni caratteristica ludica e strutturale. Il plauso è innegabile ed il risultato finale è un survival horror che può essere consigliato a mani bassissime ai fan più sfegatati del genere. Tuttavia, risulta estremamente complesso da valutare attraverso le lenti di un giocatore che quell’era del gaming, semplicemente, non l’ha vissuta.
Noi redattori siamo consapevoli infatti di essere videogiocatori spesso ludicamente attempati, al punto da poterci emozionare davanti ad operazioni nostalgia che ci ricordano non solo “i bei tempi andati” ma anche anni più spensierati. Personalmente, anche solo pensare ad alcuni scorci e sessioni in compagnia di Alisa mi ha fatto tornare in mente quando da piccolo affrontavo la stazione di Raccoon City assieme a mio padre, per risolvere gli enigmi e scappare ai viscidi lickers. L’amarcord si mescola alle emozioni. Un aspetto che, personalmente come a tantissimi altri, farà apprezzare Alisa per quello che vuole essere: un piccolo revival di un grande periodo del gaming, soprattutto horror.
Ma un pubblico più giovane, può cogliere il romanticismo dell’estetica di Alisa o l’adorabile nevrosi del suo sistema di controllo? La nostra risposta è che una platea di questo tipo difficilmente potrà apprezzare anche gli evidenti limiti tecnici e ludici, al punto di trovare totalmente frustrante l’avventura in questa casa della bambole. Ed oggettivamente non ci sentiamo di biasimarli. Alcune caratteristiche di Alisa non sono altro che lo specchio di precise scelte di game design frutto di esigenze di tempi diversi. Alla sensibilità odierna appaiono totalmente superate e rappresentano perlopiù testimonianze di come si faceva game design che non esempi da riproporre 1:1. Quindi ecco: Alisa Developer’s Cut è un gran titolo, ma principalmente per inguaribili romantici o per sognatori di un’epoca non vissuta.
Commento finale
Dopo anni di militanza su PC e diverse revisioni, Alisa: Developer’s Cut arriva anche su console portando l’omaggio del proprio sviluppatore ai capostipiti del survival horror. Casper Croes scrive la più classica delle lettere di amore, andando tuttavia a replicare religiosamente ogni aspetto, dalla narrativa di serie B alla grafica dell’era PS1, passando per i controlli tank. Una ventata di nostalgia che verrà visceralmente amata da chi ha vissuto questo periodo storico. Per tutti gli altri, il viaggio indietro nel tempo potrebbe essere fin troppo traumatico.