Recensione Black Myth Wukong, un titolo ambizioso dal forte sapore spiritico

Sono passati diversi anni dall’annuncio di Black Myth Wukong. Il mondo videoludico e soprattutto dei Souls, ai tempi ancora orfano di Elden Ring, era ostaggio di una pandemia e l’attenzione che i più riservavano ai videogiochi era maggiore. Tuttavia, l’attesa per Sun Wukong è sempre stata sentita, e finalmente gli appassionati del mondo orientale e i videogiocatori in generale possono mettere mano su un titolo ambizioso dal forte sapore spiritico.


Versione testata: PlayStation 5


Il viaggio

La storia di Black Myth Wukong è liberamente ispirata al libro Viaggio in Occidente, una raccolta di racconti cinesi pubblicata per la prima volta a metà del XVI secolo. In questa versione, Sun Wukong – dopo aver guadagnato il titolo di Buddah – si allontana dal Trono Celeste per vivere una vita più umile con i suoi simili in cima al Monte Huaguo. Tuttavia, le divinità non sono d’accordo e inviano un esercito guidato da Erland Shen, il Dio dell’Acqua.

Dopo un estenuante scontro, che funge da tutorial per il videogiocatore, Erland avrà la meglio su Wukong e lo trasformerà in una roccia, non prima che quest’ultimo abbia separato i suoi sensi dal suo corpo e li abbia sparpagliati per il mondo.

Secoli dopo, l’Anziano del villaggio delle scimmie manderà i giovani a ricercare i sei sensi di Sun Wukong al fine di riportarlo in vita dal suo eterno riposo. Con questa semplice premessa, si apre il viaggio del nostro giovane scimmione verso altri regni e pericoli.

Rispetto ai titoli Souls, dai quali i ragazzi Game Science hanno pesantemente attinto per il combat system e per le meccaniche di gioco in generale, in Black Myth Wukong non si avverte quella sensazione di “desolazione” che da ormai quindici anni permea le creazioni di Miyazaki e affini. Si percepisce difatti che si è di fronte a un mondo vivo, popolato, che si trova quasi al suo culmine. L’ostilità dei nemici, pertanto, è data dall’essere effettivamente degli intrusi in terra straniera, malvisti e preferibili stecchiti piuttosto che in circolazione.

Un altro punto di distacco dai capisaldi del genere riguarda la narrazione, poiché il corso degli eventi è dettagliatamente raccontato durante il proseguo dell’avventura e le descrizioni di oggetti, nemici e NPC sono un piacevole riempitivo che non ha bisogno di essere interpretato e incastrato.

Colpi di scena, intrighi e rivelazioni sono alla base della storia di Black Myth Wukong, la quale mi sento di scrivere che è stata raccontata al meglio delle possibilità con poche sbavature, le quali sono per lo più dettate dall’inesperienza del team in produzioni di questo calibro. 

La superbia

Riteniamo che sia molto importante ricordarsi del fatto che Wukong, comunque, sia un videogioco e pertanto deve intrattenere.

Il mondo di gioco si presenta diviso in sei capitoli, completamente differenti l’uno dall’altro; in questo modo, il gioco offre diverse ambientazioni dall’atmosfera unica riuscendo nell’obiettivo di non risultare stancante e ripetitivo a distanza di molte ore, quando il cosiddetto “effetto wow” svanisce.

Grazie a questa struttura per capitoli, i ragazzi di Game Science hanno evitato di costruire un open world che sarebbe risultato veramente pesante da ottimizzare e si sono potuti concentrare sui piccoli dettagli, i quali li approfondiremo nei prossimi paragrafi. 

L’esplorazione non è linearissima e sebbene le deviazioni non siano tantissime, queste portano il giocatore – in più di una occasione – a perdere la retta via. Le aree segrete sono abbastanza e – inoltre – ogni capitolo è liberamente esplorabile grazie alla funzione del viaggio rapido. L’esplorabilità dei livelli è altresì fortemente influenzata dal proprio livello e dall’esperienza complessiva acquisita.

La tenacia

Un’altra nota positiva riguarda la presenza di oltre 80 boss. Partendo dal presupposto che in un titolo del genere la presenza di tanti boss – ognuno con moveset e design unici – sia già di per sé una manna dal cielo. Se si considera poi che, in alcune zone e in determinati frangenti, il titolo si trasforma in una boss rush degna delle migliori sfide Shinra, questo fa si che aumenti (e non di poco), il coinvolgimento emotivo del videogiocatore, spingendolo a chiedere di più a sé stesso.

Non mancano ovviamente punti di blocco dove soggettivamente si possa fare più o meno fatica, ma la sensazione generale è che il gioco è sì punitivo ma mai impari. Con la giusta dose di pazienza e apprendimento, qualsiasi situazione ostica può essere affrontata e superata.

Tuttavia, è corretto sottolineare come – nonostante la presenza di tre pose di combattimento – il movepool del nostro novello iniziato può apparire, soprattutto all’inizio, ripetitivo. L’albero delle abilità è immenso e dispersivo, e si fa fatica a comprendere cosa scartare e cosa attivare per costruire una build efficace e adatta al proprio stile di combattimento. Le tre pose fanno da contorno e differiscono solamente nell’utilizzo dell’attacco pesante, il quale comunque richiede punti concentrazione che si accumulano colpendo i nemici o – più inverosimilmente – aspettando pazienti di caricarla con il tasto dedicando pregando di non essere colpiti dal boss di turno.

Dall’altro lato, è possibile in qualsiasi momento resettare e distribuire diversamente le scintille, i punti abilità del gioco, senza alcun malus. Grazie a questa scelta del team, è possibile buildare in maniera meno approfondita all’inizio per poi concentrarsi sulla build in fasi più avanzate del gioco.

Inoltre, durante l’avventura si acquisiranno ulteriori bastoni che, oltre a un miglioramento estetico, aumenteranno danni e altri parametri, rendendo la nostra scimmietta sempre più letale e pericolosa. Lo stesso discorso è applicabile anche alle armature, molto variegate e dagli effetti via via sempre più catastrofici.

Un altro punto macchinoso riguarda il potenziamento permanente delle fiasche, degli attributi e di altri parametri che sono vincolati a specifici NPC presenti in determinati capitoli e pertanto si deve fare ricorso di volta in volta al viaggio rapido per raggiungerli.

Protagonista dell’esperienza di gioco è anche la magia, presente sotto diverse forme, attive o passive, votata sia a fare da supporto che da damage dealer dall’alto valore parametrico. Che tu voglia paralizzare il nemico, evocare altri sei te che combattono al tuo posto o diventare momentaneamente un boss sconfitto, il suo utilizzo nel momento esatto di una boss fight spostano il momentum a favore del giocatore, consentendogli di superare agilmente situazioni spinose.

Così come per lo stile di combattimento, anche ogni singola magia presenta il proprio albero delle abilità da potenziare sempre con le scintille, rendendo quindi più strategica la distribuzione di punti. Al contrario, per le evocazioni e trasformazioni è possibile utilizzare consumabili per potenziarli al costo di rendere l’operazione irreversibile.

Al netto di un moveset fisico abbastanza monotono che richiede troppe combo per poter iniziare a fare un quantitativo accettabile di danni, la combinazione di attacchi fisici e magici rende ogni scontro unico e memorabile, mantenendo sempre alta la spettacolarità dei singoli combattimenti.

La vista

Il titolo, giocato su PlayStation 5, presenta dei panorami e scorci magnifici e a dir poco spacca mascella. La scelta di costruire delle ambientazioni più minute ha fatto sì che i ragazzi potessero aumentare il carico prestazionale e concentrarsi maggiormente sui dettagli.

Il motore di gioco risponde a una fisica veramente articolata, e lo dimostra il fatto che i corpi dei nemici sconfitti possano essere trasportati in giro passandoci sopra e che alcune strutture siano distruttibili. L’illuminazione è ottima e difficilmente ha presentato sbavature (se non in alcuni casi in cui vi è il passaggio da zone più luminose a zone più buie e viceversa), rendendo reale il passaggio tra ombre e luci, tra caverne e campo aperto.

In modalità prestazioni il titolo tiene sempre graniticamente i famigerati 60 fotogrammi, almeno nelle situazioni più tranquille. Difatti, durante le boss fight, capita spesso che prima cali il frame rate sotto anche i 30 fotogrammi e poi la risoluzione, non riuscendo comunque per alcuni frangenti a garantire la fluidità richiesta. Inoltre, alcuni comandi soffrono di un leggero input lag, rendendo frustranti situazioni in cui si ha il controllo della situazione e improvvisamente per cause non proprie ci si ritrova con le spalle al muro.

Inoltre, sempre dai titoli di Miyazaki il gioco si porta dietro il problema della gestione della telecamera, con i boss aerei e/o grandi, chiedendo più tentativi per meccanicizzare le dinamiche di gioco.

Ci sentiamo però di dire che sono difetti che possono essere corretti serenamente con delle patch post lancio, e che – sebbene incidano – nell’esperienza, non la minano a tal punto da interrompere il viaggio della nostra amata scimmietta. Sono tutt’al più delle mancanze di un team giovane e inesperto che ha lasciato qualcosa per strada, ma al quale va riconosciuto di aver creato un prodotto che non mostra troppo i fianchi e non sbianca nel confronto con produzioni più blasonate e altisonanti.

Commento finale (La fine del viaggio)

Black Myth Wukong è un titolo estremamente ambizioso nel quale un team alla sua prima esperienza in un progetto di queste dimensioni ne esce a testa alta. Ogni singolo aspetto del gioco è una dichiarazione d’amore che i ragazzi hanno voluto omaggiare sia all’opera originale che al loro lavoro. Al netto di qualche difetto fisiologico spuntato fuori durante lo sviluppo, è un gioco che si lascia giocare e soprattutto riesce a fare ciò che deve principalmente fare un videogioco: divertire. La difficoltà non è scalabile se non in-game, tramite le giuste abilità ed equipaggiamento. Il livello di sfida non è mai impari e sempre accessibile, a patto che il giocatore affronti capitoli e boss al giusto livello, dopo aver completato l’esplorazione e migliorato la propria build. Rispetto ad altri esponenti del genere, è più semplice da affrontare e può essere un ottimo punto di partenza per i novizi e un ottimo allenamento per i veterani del genere. Ci sentiamo pertanto di consigliarlo complimentandoci con i ragazzi di Game Science con un enorme applauso virtuale.

8.8

Black Myth Wukong


Black Myth Wukong è un titolo estremamente ambizioso nel quale un team alla sua prima esperienza in un progetto di queste dimensioni ne esce a testa alta. Ogni singolo aspetto del gioco è una dichiarazione d’amore che i ragazzi hanno voluto omaggiare sia all’opera originale che al loro lavoro. Al netto di qualche difetto fisiologico spuntato fuori durante lo sviluppo, è un gioco che si lascia giocare e soprattutto riesce a fare ciò che deve principalmente fare un videogioco: divertire. La difficoltà non è scalabile se non in-game, tramite le giuste abilità ed equipaggiamento. Il livello di sfida non è mai impari e sempre accessibile, a patto che il giocatore affronti capitoli e boss al giusto livello, dopo aver completato l’esplorazione e migliorato la propria build. Rispetto ad altri esponenti del genere, è più semplice da affrontare e può essere un ottimo punto di partenza per i novizi e un ottimo allenamento per i veterani del genere. Ci sentiamo pertanto di consigliarlo complimentandoci con i ragazzi di Game Science con un enorme applauso virtuale.

PRO

Comparto artistico di livello | Esplorazione buona seppur nella sua semplicità | Combat system che migliora avanzando nel corso del gioco | Varietà di boss | Divertente al punto giusto |

CONTRO

Prestazioni instabili nei momenti concitati | Combat fisico all’inizio un po' monotono |

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