Approcciarci alla recensione di Dragon Age: The Veilguard ci ha fatto capire come, qualche mese fa, ci siamo sbagliati. Credevamo fortemente infatti che il titolo più controverso della stagione videoludica sarebbe stato Suicide Squad: Kill the Justice League, a causa delle molteplici circostanze legate al suo sviluppo e rilascio. Il risultato finale, in quell’occasione, ci ha ricordato come un’opera debba essere analizzata senza farsi assordare dal brusio di fondo, cercando di analizzare ciò che si ha davanti e non ciò che si sarebbe voluto avere. Abbiamo sottolineato, giudicando il lavoro di Rocksteady, come fosse il prodotto più complesso da recensire non solo dell’anno ma forse dell’intera generazione. Siamo stati forse avventati in tali dichiarazioni, trovandoci oggi a parlare dell’ultimo lavoro firmato BioWare.
The Veilguard è stato circondato, fin dall’annuncio, da una consistente diffidenza a causa di un percepito allontanamento da alcune delle caratteristiche più amate dai fan della saga. Un’estetica differente da quanto visto in Inquisition, un gameplay apparentemente sempre più orientato all’azione, un world building che sembrava rinnegare le origini dark fantasy del franchise. Dubbi, perplessità, campagne di pessimismo dilagante nei confronti di un progetto miracolosamente condotto in porto da BioWare dopo un’odissea di quasi dieci anni. Nel mezzo, avvicendamenti nella direzione del game design, massicci turnover di staff, frammentazione del ciclo di sviluppo a causa delle altrettanto convulse lavorazioni di Anthem e Mass Effect: Andromeda. Oggi cercheremo di approcciarci a questo progetto nel modo più trasparente possibile: accogliendone al contempo le abbaglianti luci e le ombre più tenebrose.
Dragon Age: The Veilguard è disponibile dal 31 Ottobre su PC (via Steam), Xbox Series e PlayStation 5.
Versione testata: Xbox Series X
Crocevia del Thedas
Dragon Age, nonostante quello che se ne possa dire, non è mai stata una serie così tanto fortunata o quantomeno costante nella propria direzione di game design.
Nel 2009, Dragon Age: Origins rapì ed ammaliò i fan del dark fantasy con un RPG complesso, ricco e stratificato (al netto di una versione PS3 che ancora oggi grida vendetta). Il merito fu anche di un gameplay tanto articolato da essere più vicino al tatticismo che alla ruolistica tradizionale. Tre anni dopo, Dragon Age II rivoluzionò completamente l’impianto ludico della serie svoltando con decisione verso l’azione. Un capitolo controverso (e particolarmente odiato dai fan), la cui buona scrittura veniva messa in discussione da oggettive carenze strutturali di uno sviluppo probabilmente troppo affrettato. Nel 2014 fu la volta di Inquisition, un episodio di ampio respiro che tentava di posizionarsi ludicamente a metà strada tra i primi due capitoli, graziato da un’ottima sceneggiatura. Nonostante un amore non incondizionato da parte del pubblico (complice un ritmo diluito ed un’accentuata ripetività), il terzo Dragon Age riuscì addirittura ad imporsi sulla concorrenza ottenendo il prestigioso premio di GOTY.
In un quadro complessivo di continue rivoluzioni ed un distacco mai colmato con le caratteristiche primigenee di Origins, The Veilguard segna un nuovo capitolo di questa intricata epopea. Un percorso funestato dalle vicende richiamate in premessa e che, addirittura, vedeva il quarto capitolo della serie divenire un game as a service in un frangente del suo cammino di sviluppo. Una circostanza che ha segnato inevitabilmente il lavoro di BioWare, costretta a dover riconvertire il titolo verso il single player, per un case study di interessante ingegneria inversa. Nei dieci anni trascorsi da Inquisition, quante cose saranno cambiate per giungere a The Veilguard?
Una domanda che si pone alla base anche della premessa narrativa della produzione. Dopo circa un decennio dagli eventi narrati nel precedente capitolo, il menzognero Solas (rivelatosi in realtà la malvagia divinità elfica conosciuta come Dread Wolf) intende perseguire la sottomissione del mondo abbattendo il Velo, una barriera mistica che divide e protegge il mondo reale da una mistica dimensione ostile. Il coraggioso Varric Tethras ed il novellino Rook sono sulle tracce del sordido avversario ma le cose vanno terribilmente male. Nonostante un eroico intervento atto ad interrompere il rituale di Solas, il risultato finale porta alla liberazione di divinità antiche ben più terrificanti e pericolose. Di fronte ad una crisi senza precedenti, gli eroi dovranno reclutare un manipolo di guerrieri impavidi per scongiurare la minaccia.
The Veilguard segna diversi punti di rottura rispetto al passato, soprattutto nel tono della narrazione. Se gli eventi sono interessanti e significativi in termine di lore, lo storytelling assume connotati differenti anche a causa di dialoghi meno inclini al pathos rispetto al passato. Il plot è indubbiamente interessante, così come il cast dei personaggi (forse uno dei prodotti BioWare dove godono del maggior focus), ma il ritmo arranca soprattutto nelle fasi iniziali. Il risultato è un primo impatto decisamente spinoso, aggravato da una contestuale linearità a tratti esasperante. Anche il peso delle decisioni, nella fasi iniziali, viene percepito come poco impattante. A ben vedere, esso è stato effettivamente alleggerito rispetto al passato, pur se anche qui è possibile incappare in nefaste conseguenze o sviluppi inattesi.
Fortunatamente, la produzione BioWare riesce a guadagnare momentum, a crescere sensibilmente (superata la prima decina di ore), ad aprirsi e regalare una grande avventura grazie soprattutto ad una fase finale davvero esaltante.
Here I am, Rook you like a hurricane
Strutturalmente, The Veilguard insegue le stesse riflessioni perseguite da BioWare nel passaggio tra il primo ed il secondo Mass Effect.
L’esplorazione è demandata ad un susseguirsi di aree lineari con mappe aperte. Nella zona nord del Thedas potremo dunque esplorare paludi, città, boschi, rovine antiche e molto altro. Ciascuna di esse contiene una grande abbondanza di punti di interesse. Oltre alla vostra missione principale, troverete tempo per dedicare attenzione agli archi di ciascun companion, di appoggiare le fazioni che incontrete, di esplorare le ambientazioni in cerca di segreti, enigmi da risolvere ed equipaggiamenti. Si tratta di un mondo di gioco meno dispersivo di quello visto in Inquisition, a volte incline ugualmente al backtracking, ma non per questo meno ricco di attività e contenuti (parliamo di oltre cento ore per fare tutto).
Dove c’è stata una grande rivoluzione è invece nel sistema di combattimento. Per la quarta volta Dragon Age cambia pelle, puntando verso un equilibrio più vicinio a quello degli action adventure. Sempre più lontani sono i tatticismi raffinati di Origins, viceversa si palesa una ispirazione concreta da alcune suggestioni di Final Fantasy XVI (e perché no, anche del God of War norreno).
Rook, l’alter ego completamente personalizzabile del giocatore, è l’unico personaggio sul quale esercitare un controllo diretto. Dopo aver scelto una delle tre classi principali, Veilguard permette di personalizzare il proprio stile di combattimento sviluppandosi all’interno delle specializzazioni di un albero delle abilità. Il sistema è rapido ed eclettico, malleabile a seconda delle circostanze ed incline alle attenzioni difensive tramite parry e contrattacchi. Gli altri membri del party possono essere comandati solo indirettamente, attraverso una pausa tattica che permette di pianificare alcune sequenze di attacco per sfruttare al meglio debolezze elementali ed alterazioni di status. Il risultato finale è davvero divertente e vario, ma con un’avvertenza. Vi consigliamo caldamente di selezionare una difficoltà più impegnativa dello standard. Poiché infatti solo ad alti livelli abbiamo potuto apprezzare le finezze del combat system, le peculiarità di ciascuna build nonché la sfida degli scontri più ardui.
Si tratta di una caratteristica che farà storcere il naso ai fan del primo capitolo? Non lo mettiamo in dubbio, visto quanto si allontana dal titolo del 2009 (come han fatto anche tutti gli altri capitoli della saga). Ma nondimeno sarà apprezzato dai fan degli action RPG.
Corsi e ricorsi
Anche artisticamente The Veilguard non si nasconde dietro ad un dito e compie delle scelte coraggiose rispetto ai capitoli precedenti.
Al netto di ambientazioni sempre ispirate (e che continuano ad offrire inquietanti scorci di dark fantasy, in talune circostanze), il cambio di rotta stilistico è innegabile, così come l’utilizzo di una palette cromatica più accesa e meno plumbea. Siamo nell’ambito della soggettività più sfrenata, pertanto è difficile sostenere una posizione piuttosto che l’altra. Sicuramente The Veilguard ha deciso di osare abbandonando alcuni suoi tratti estetici distintivi in favore di un gusto più “ordinario”, ma non per questo necessariamente meno piacevole.
Il merito è soprattutto del comparto tecnico del quarto Dragon Age. Ci troviamo di fronte ad uno dei titoli meglio ottimizzati nella storia di BioWare, grazie ad un sapiente utilizzo del Frostbite engine. Entrambe le opzioni grafiche disponibili su Xbox Series X permettono di preferire con buoni risultati la qualità grafica (accettando i 30 FPS) alla fluidità maggiore (con 60 FPS tendenzialmente stabili). Non un risultato banale o scontato, soprattutto dopo il travagliato percorso di sviluppo. Impossibile poi non segnalare la splendida resa dei capelli dei personaggi, che incanta con un comportamento ed una resa visiva con pochissimi pari nell’industria videoludica. Ciliegina sulla torta di una ottima presentazione, la colonna sonora con una composizione orchestrale di prim’ordine.
Arrivati a questo punto, è ferma la necessità di dover tirare le somme. The Veilguard può essere considerato un buon titolo? Come riflettevamo nell’ambito della recensione di Metaphor: ReFantazio, è complesso stabilire se e quanto un RPG può sostenere la prova del tempo, dopo entusiasmi (o delusioni) iniziali. Molto semplice è definire un titolo un capolavoro o una cocente delusione, così come perdersi in disquisizioni tematico-sociali, perdendo di vista quella che dovrebbe essere una pura e semplice valutazione di un titolo.
Il quarto capitolo di Dragon Age mostra i segni di uno sviluppo turbolento e contraddittorio, che ha quasi rischiato di far naufragare miseramente la serie (ed un pò la stessa BioWare). A torto o a ragione, compie delle scelte (ludiche e non) che potrebbero alienare i fan di vecchia data. Ma ogni decisione è figlia di un innegabile sforzo produttivo nei confronti di un progetto complesso, ripreso per i capelli e portato a maturazione. Il risultato finale è, a nostro avviso, un ottimo titolo capace di rivelarsi a tratti evidentemente incoerente (come lo è sempre stata saga) ed a tratti semplicemente eccezionale (soprattutto accettandone le peculiarità). Ai posteri l’ardua sentenza se The Veilguard verrà ricordato come un passo falso o un titolo che, in fin dei conti, ce l’ha fatta.
Commento finale
The Veilguard è un titolo incredibilmente complesso da valutare, nelle more di un contesto di lancio particolarmente elettrico. Da un lato ci sono le oggettive rinunce compiute da BioWare nei confronti di alcune caratteristiche amate dai fan della serie. Dall’altro, non si può non evidenziare la validità del lavoro svolto dal team di sviluppo, capace di salvare un prodotto che negli anni è stato ad un passo dall’oblio eterno. Potrebbe non piacere, potrebbe far infuriare i fan di lunga data e potrebbe deludere chi cercava un titolo simile ai fasti mai replicati di Origins. Tuttavia, per coloro che sapranno apprezzare quanto di buono presente, l’ultimo Dragon Age sarà un’avventura divertente e longeva, con uno dei migliori crescendo nella storia della software house canadese.