Fire Emblem: Three Houses è stato ed è a tutt’oggi, in assoluto, uno dei miei giochi preferiti di questa generazione di console e, probabilmente, di sempre. Il titolo sviluppato da Intelligent Systems e Koei Tecmo in esclusiva per Nintendo Switch ha saputo catturare la mia anima videoludica come poche altre volte è capitato nella mia vita da videogiocatore, lasciando dentro di me un vuoto per certi versi incolmabile una volta raggiunti i titoli di coda. Per tal motivo quando è stato annunciato Fire Emblem Warriors: Three Hopes, spin-off in salsa mousou della produzione, mi sono subito sentito al settimo cielo, inebriato ed emozionato al pensiero di tornare a incrociare il mio cammino con quello di quegli splendidi personaggi e quelle meravigliose avventure, da cui mi ero separato in maniera dolorosa e quasi traumatica soltanto qualche anno fa. Lo voglio subito chiarire: a livello narrativo Fire Emblem Warriors: Three Hopes si collega fortemente al capitolo “canonico” della serie e per tal motivo, per goderne appieno, il mio consiglio è quello di recuperare almeno per sommi capi l’impianto tematico della produzione che per il resto si differenzia in maniera sensibile, pur conservando una vena strategica ben più centrale di quanto ci si potrebbe immaginare da una produzione del genere. Nel complesso, l’esperienza di gioco offerta dal titolo sviluppato da Omega Force, ancora una volta in esclusiva per l’ibrida di Nintendo, mi ha piacevolmente colpito, per quanto però devo ammettere che alcune cose hanno funzionato sicuramente meno bene di quanto mi sarei aspettato.
Fire Emblem Warriors Three Hopes: l’ardente fiamma della speranza
Prima di passare all’analisi del complesso, sfaccettato e intricatissimo comparto narrativo che si nasconde dietro quell’aspetto più marginale erroneamente attribuito a buona parte dei musou, è doveroso fare alcune importanti precisazioni. Il titolo di Omega Force è direttamente e strettamente collegato in tale senso al capitolo “principale” della serie, ossia quel Three Houses tanto amato dal pubblico, anche grazie a un character design e un impianto narrativo di altissimo livello. Proprio a tal proposito, è giusto quindi fare chiarezza sul fatto che Fire Emblem Three Hopes ne riprende praticamente buona parte delle situazioni e soprattutto dei personaggi, ma lo fa in maniera arguta e intrigante, rielaborando e modificando quella che è l’ossatura generale degli eventi narrati nel fortunatissimo titolo uscito nel 2019. Fire Emblem Warriors: Three Hopes è da considerarsi praticamente come una sorta di gigantesco “Canto di Natale”, in cui la storia ha preso pieghe diverse rispetto a quella vissuta nel capitolo strategico, indipendentemente dalle varie scelte compiute, fino a diventare praticamente una realtà alternativa vera e propria. Citando, ad esempio, The Man in the High Castle e Fatherland, in questa realtà alternativa l’eroe di Three Houses è finito col diventare l’antagonista principale, ribattezzato “Flagello Nero”, con sullo sfondo la stessa intestina battaglia tra le varie forze che dominano la martoriata ma pur sempre fiorente regione del Flodàn e le stesse minacce che incombono su di essa. In questo trambusto narrativo, muove i suoi primi passi nella storia Shelz (che chiamerò così per comodità), il nostro avatar, un mercenario unitosi a un gruppo di guerrieri di ventura e successivamente rimasto solo a seguito dell’avvento proprio del Flagello Nero, misteriosamente entrato in contatto con l’ignaro protagonista della storia. Una volta scelto il sesso e il nome del nostro eroe e superato il breve plot iniziale, la storia si apre definitamente quando Shelz, qualche mese dopo lo scontro con il Flagello Nero, si ritrova a fare la conoscenza di Clauss, Djimitri e Edelgard, i tre giovani leader dei loro casati e rispettivi capi delle Aquile Nere, dei Leoni Blu e dei Cervi Dorati, le Three Houses, ossia le tre case dell’Accademia ufficiale già viste nel capitolo principale della storia.
L’incontro con i tre giovani diventa praticamente la miccia con cui, così come avvenuto in Three Houses, si mettono in moto gli eventi, ancora una volta fortemente condizionati dalle scelte prese dal giocatore, a partire proprio dalla scelta della fazione a cui affiancarsi, identificata con le tre Case dell’Accademia. E, se apparentemente la storia può sembrare a tratti caricaturale nel suo rappresentare una variante “forzata” degli eventi già vissuti, col passare delle ore mi sono ritrovato dinnanzi a un prodotto imponente dal punto di vista narrativo e tematico, che sfoggia una scrittura come al solito matura, spietata e che non ha paura di trattare temi importanti e di lasciarsi andare a dialoghi (spesso troppo numerosi!) sopraffini e ben congegnati, fondamentali per rendere la fame di scoperta sempre più accesa e insaziabile. La narrazione, in Three Hopes, è più centrale di quanto si potrebbe immaginare e col passare delle ore e delle scelte fatte ho potuto constatare quanto Omega Force abbia saputo “imparare” nella creazione di un comparto tematico che non ha nulla da invidiare a quello dei capitoli principali della serie, tanto nella qualità quanto nella profondità, in un contesto narrativo che finirà con il sorprendere e appassionare tutti gli appassionati del brand ma anche i neofiti, magari all’oscuro di quanto avvenuto tre anni fa con Three Houses.
Un mousou per tutti i gusti
Diciamoci la verità: l’aspetto più delicato che riguarda la valutazione complessiva del titolo è però senza dubbio quello relativo al gameplay e alle dinamiche di gioco, anche e soprattutto considerando il genere di appartenenza e la comprovata bravura dei ragazzi di Omega Force. Il team ha saputo ancora una volta (spoiler) creare un prodotto a tutti gli effetti “ibrido”, che riesce a fondere in maniera eccellente diversi stili e generi ludici, per un risultato finale decisamente molto interessante. Fire Emblem Warriors: Three Hopes è, pad alla mano, un mousou puro e crudo e lo si capisce già dal tutorial, in cui ci viene chiesto di sterminare le immancabili truppe nemiche, che si replicano come mosche e risultano quasi sempre inermi o quasi, una sorta di mega agglomerato di oggetti sacrificabili al fine di spingere in alto l’asticella della goduria per il giocatore, che si sente sempre più onnipotente con il pad alla mano. Da questo punto di vista, il lavoro di Omega Force non presenta novità sconvolgenti: una volta avviata una missione e sceso in campo mi sono trovato di fronte la solita mappa con il solito stilema funzionale, ossia con i punti di interesse che lampeggiano per indicare i vari obiettivi, che si aggiornano in continuazione, con spostamenti tutto sommato brevi in mappe molto tradizionali, a cui fa da sfondo l’immancabile presenza di migliaia di nemici, da trucidare allegramente proprio in pieno stile mousou.
Con la classica alternanza di attacchi veloci e pesanti e di skills utilizzabili con la pressione del tasto R + Y o X e via dicendo, e con l’ausilio di parate e schivate utili quasi esclusivamente contro i boss, i mini boss e i nemici speciali, è infatti possibile farsi strada verso i punti di interesse in modo molto semplice e tradizionale, ma non per questo motivo meno appagante. Proprio prendendo in esame le sopracitate abilità si ritrovano le prime novità legate alla bravura del team di sviluppo nel fondere sapientemente lo stile classico dei mousou con la vena strategica dei Fire Emblem, di cui appunto le skills sono un primo esempio. Queste abilità, oltre a essere uniche per ogni personaggio, sono infatti un ottimo modo per sconfiggere determinate truppe nemiche ma soprattutto richiedono sia un cooldown sia il ritrovamento di certi oggetti per poterle utilizzare e dunque rappresentano il primo tassello di un sistema di combattimento meno button mashing del previsto e che richiede anche quel minimo di preparazione agli scontri e di analisi delle proprio risorse. Questo aspetto va di pari passo con l’introduzione di altre soluzioni ludiche prese a pié pari dalla serie di riferimento, ossia le “azioni uniche” e le “mosse di classe” che, come suggerisce il nome stesso, rappresentano degli attacchi speciali unici a seconda della classe del personaggio e del suo stesso modo di essere un guerriero, una scelta che rende l’esperienza di gioco sicuramente più vasta e variegata soprattutto considerando il fatto che in tal modo apre al giocatore tantissime possibilità in termini di personalizzazione del party da utilizzare e del comportamento migliore da adottare una volta scesi in campo.
Strategia, azione, personalizzazione
Questa scelta diventa ancor più centrale prendendo in esame un’altra importante caratteristica del gioco, chiamata Indicatore Collasso. Questa, in sostanza, rappresenta una vera e propria “barriera” protettiva che ogni nemico possiede, rappresentata da uno scudo i cui segmenti si rompono man mano in base agli attacchi subiti, per poi, una volta azzerati, lasciare l’avversario esposto ai colpi più potenti dell’eroe scelto, su cui spicca il poderoso Slancio Critico che fa un po’ da azione finale spettacolare e decisiva per ogni battaglia. L’Indicatore Collasso è legato però alle debolezze e alle resistenza che ogni nemico, da buon gioco di ruolo, possiede e dunque è necessario scegliere le giuste unità prima di iniziare gli scontri più importanti, per massimizzare l’efficienza in battaglia e per evitare spiacevoli sorprese che, superate le prime fasi di gioco, diventano sempre più numerose e potenzialmente pericolose. Per farvi un esempio, alcuni boss soffrono gli attacchi a distanza, altri sono deboli alle asce o alle magie e via dicendo, un aspetto tipico dei titoli dalla marcata componente ruolistica e che in Fire Emblem Warriors: Three Hopes si fonde molto bene con l’anima mousou del gioco, che rimane comunque il focus sul combattimento, il quale però ha dei lineamenti meno “ordinari” di quanto si possa immaginare. Ciò viene ampliato anche dalla gestione delle truppe alleate, che risultano ugualmente fondamentali per avere la meglio sulle numerose truppe nemiche. Tramite la mappa nel menù di gioco è ad esempio possibile impartire gli ordini ai propri alleati e lanciarli in una specifica zona del campo ad affrontare un determinato nemico, la cui scelta viene favorita da un indicatore che simboleggia le percentuali di vittoria dello scontro “automatico” in base proprio ai fattori legati alle debolezze e alle resistenze di cui vi parlavo poc’anzi.
E, sempre in onore di una vena strategia e ruolistica più marcata anche di quanto avrei sperato, voglio sottolineare che il titolo di Omega Force eredita dalla serie principale anche quelle caratteristiche legate al consolidamento dei legami tra il protagonista e gli altri personaggi principali del gioco, con ovvie conseguenze sul numero e sulla tipologia di abilità e relativa forza/debolezza contro determinate tipologie di boss e nemici vari. Questa dinamica si fonde con l’immancabile sviluppo del grado di competenza con armi specifiche, che sblocca ancora una volta tattiche e abilità uniche a seconda delle scelte e dello stile di combattimento preferito, cosa che amplia ancor di più le possibilità offerte del gioco, che assume sempre di più i lineamenti di un ibrido che piace e diverte. È tutto perfetto quindi? Assolutamente no, e voglio provare a spiegarvi il perché. In primis, ho avuto la sensazione che questa formula ibrida non sembri pensata per i neofiti: tutti questi parametri e tutte queste combinazioni possono scoraggiare la maggior parte dei giocatori, poiché spesso e volentieri risultano eccessivamente ridondanti nella loro esplicazione piuttosto che nel loro effettivo impiego, divenendo talvolta eccessivamente pesanti da assimilare e carpire. A ciò si aggiunge il fatto che, nel complesso, il sistema di combattimento per la maggior parte del tempo rimane quello di un mousou e che tutto questo, in qualche modo, diventi veramente utile soltanto in presenza di boss e nemici unici, vanificando in qualche modo quanto di buono creato dal team di sviluppo. Nel complesso, però, posso ritenermi soddisfatto da questa produzione, che diventa un’altra importante esclusiva di un parco titoli sempre più invitante per Nintendo Switch, che da questo punto di vista continua a risultare, a mio modo di vedere, per certi versi irraggiungibile.
Tecnica e comparto grafico
Il vero punto debole della produzione, comunque, rimane il comparto tecnico e grafico, decisamente sottotono anche per gli standard del genere e soprattutto anche e soprattutto considerando le note problematiche relative all’hardware di riferimento. Fire Emblem Warriors: Three Hopes si mostra infatti, a livello tecnico, un prodotto con tanti limiti, sia a livello di fruibilità generale sia dal punto di vista dell’impatto visivo. Se da un punto di vista del character design e nella riproposizione dei modelli poligonali dei protagonisti e degli antagonisti principali rimane di ottimo livello, a farmi storcere sinceramente il naso è tutto il contorno, che risulta fin troppo anonimo, tanto in battaglia quanto nelle fasi di intermezzo. Chiudendo un occhio su quanto detto poco sopra è però difficile fare lo stesso osservando e analizzando la stabilità e la fruibilità del gioco, che risultano decisamente poco funzionali anche considerando quanto detto poc’anzi.
L’aspetto più problematico è senza dubbio quello relativo al frame rate, che sia in modalità docked sia in modalità handled fatica non poco anche a tenere i 30fps, uno standard ampiamente soddisfatto dal suo predecessore e che, per tal motivo, rappresenta un forte passo indietro per la produzione, incapace di affiancare al titolo un comparto tecnico in grado di sostenerlo. Anche da un punto di vista dalla qualità dell’immagine il titolo di Omega Force si mostra “poco performante”, con una pulizia complessiva buona ma per certi versi soltanto accettabile e un’effettistica generale povera e che non riesce a rendere il quadro complessivo più armonioso. Spettacolare, invece, è il comparto sonoro: tra un doppiaggio semplicemente perfetto e una colonna sonora maestosa nella sua solennità, mi sono sinceramente emozionato e ho ricordato, anche grazie a questo aspetto, quanto effettivamente il brand Fire Emblem mi sia entrato nel cuore con colpevole ritardo, ma in maniera comunque autentica e ineluttabile.
Commento finale
Fire Emblem Warriors: Three Hopes si è rivelato un titolo complesso e sfaccettato dal punto di vista del gameplay “ibrido”, capace di fondere in maniera intrigante i classicismi del sistema di combattimento strategico alle più “caciarone” situazioni tipiche dei mousou in maniera quasi perfetta. A ciò si unisce un buon comparto narrativo, che sfrutta tutto sommato molto bene i collegamenti col capitolo principale del brand per offrire una storia avvincente e mai banale, capace di fare da ottimo contorno a un piatto complessivamente ricco. Il fatto, poi, che ancora una volta tutta la storia sia legata alla scelta della fazione iniziale e che quindi la rigiocabilità è ancora una volta stellare, contribuisce non poco a rendere il titolo un altro piccolo must have per gli appassionati del genere, a patto però di chiudere un occhio su un comparto tecnico e grafico decisamente non al passo coi tempi e con la produzione. Nel complesso, comunque, posso dirvi che l’obiettivo di Omega Force è stato centrato e per quanto i difetti sopracitati possano ledere in parte la qualità complessiva del prodotto è impossibile non consigliarne l’acquisto, specialmente se siete fan del brand in questione.