Un ritratto pasoliniano dei nostri tempi
Claudio è un operaio edile di trent’anni che lavora in uno dei tanti cantieri della periferia romana, è sposato con Elena ed è padre di due bambini. All’improvviso però la sua esistenza felice viene tragicamente interrotta dalla scomparsa di Elena, che muore dando alla luce il loro terzo figlio. Claudio non è preparato ad affrontare la vita da solo e cerca di rimuovere il dolore concentrando i suoi sforzi sul guadagno e sui beni materiali, ma finirà per seguire la direzione sbagliata e cacciarsi nei guai.
A quattro anni di distanza dalla pregevole pellicola Mio fratello è figlio unico, Daniele Luchetti torna alla regia dipingendoci il ritratto agrodolce di un’Italia delle scorciatoie, dei piccoli e dei grandi affari sporchi. La nostra vita è un film che punta la lente d’ingrandimento sul mondo delle nuove borgate romane, abitato dal sottoproletariato urbano, specchio ormai delle contraddizioni del nostro tempo, tra insopportabili reality show e soap opera, tronisti nullafacenti, veline e chi più ne ha più ne metta. Lo sguardo del regista romano è lucido, onesto, quasi “pasoliniano” nella sua empatica immedesimazione con gli abitanti di questi luoghi, lontano certamente dalle rappresentazioni di maniera e stereotipate a cui per anni ci ha abituato il cinema italiano. Quella che Luchetti mette in scena è in sostanza una storia semplice, in grado tuttavia di restituirci il clima sociale e culturale che si respira nel nostro Paese, una storia che porta sullo schermo persone e non “personaggi”, con le loro autentiche emozioni, i loro dolori, le loro difficoltà concrete.