Omega Force, divisione di Koei Tecmo principalmente nota per i lavori su Dynasty Warriors, è uno studio che si è posto un obiettivo assai ambizioso: creare il primo vero contendente in un genere – quello della caccia ai mostri in multiplayer – dominato in maniera incontrastata da quasi vent’anni da Monster Hunter di Capcom. L’operazione, finanziata da Electronic Arts, prende il nome di Wild Hearts e, come vedremo, pur attingendo cristallinamente a piene mani proprio dal capolavoro di Capcom, introduce anche nuove ed interessanti meccaniche.
Versione testata: PlayStation 5
Prodotto per PlayStation 5, Xbox Series X/S e PC (via Steam), abbiamo potuto testare in profondità la versione PS5, scoprite con la nostra recensione se sia riuscito a lasciarci pienamente soddisfatti!
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Welcome to Minato
La storia di Wild Hearts si svolge nel regno di Azuma, e più specificatamente nella sua città più importante chiamata Minato. Il personaggio di cui vestiremo i panni, dopo averlo accuratamente creato e modellato attraverso un editor curato e profondo, è il classico avventuriero coraggioso e sfortunato allo stesso tempo. Vicissitudini ci costringeranno a fronteggiare un Kemono (di cui parleremo più avanti), e ben presto faremo il nostro sbarco nella città di Minato, dove saremo insigniti nostro malgrado del titolo di “salvatore” della città da parte di tutti i suoi abitanti.
Sia l’incipit della storia che il relativo sviluppo non sono di certo tra i punti di forza della produzione di Omega Force, e mai ci saremmo aspettati il contrario anche per un modus operandi tipico del genere. Tuttavia Minato offre diversi personaggi ben caratterizzati, tra il serio e faceto tipico delle produzioni nipponiche, che ci accompagneranno durante tutta la nostra avventura. Anche le relative cut scene non ci sono dispiaciute, e nonostante un buon doppiaggio in italiano, non abbiamo resistito ad impostare le voci in lingua originale con sottotitoli. Per quanto meno pratico, essendo costretti a leggere, il risultato ci ha pienamente appagati, anche perché sostanzialmente in Wild Hearts quando si parla si parla, e quando si mena si mena, quindi senza la necessità di leggere mentre si fa altro.
Una volta stabilita la nostra base a Minato, ultimo insediamento umano a cercare di resistere all’imprevista deriva distruttiva dei Kemono, la nostra avventura si svilupperà lungo tutto il regno di Azuma, ampio territorio ricco di mappe da esplorare, piene di mostri (ovviamente!), collezionabili e punti di interesse da scoprire.
La caccia, il cuore pulsante di Wild Hearts
Quanto detto nel paragrafo precedente, rappresenta l’intelaiatura, il filo conduttore e senza voler sminuire, il contorno, di ciò che è il vero nucleo della produzione, ovvero la caccia alle creature. Sin dalle prime fasi di gioco compariranno a schermo sulla mappa, segnalini indicanti cacce ai vari mostri, e quasi ogni missione principale o secondaria che sia, implicherà sostanzialmente di cacciare qualche colossale creatura per qualche motivo.
Dovremo cacciare per far progredire la storia, per farmare determinati tipi di materiali, per aiutare altri giocatori nelle loro partite, insomma, il grosso del tempo passato in compagnia di Wild Hearts sarà cacciando. E dobbiamo dire, anche un po’ sorprendentemente che ci è decisamente piaciuto. Non tutto funziona perfettamente, ma nel complesso il gameplay a riguardo è ben strutturato.
Togliamoci subito i sassolini dalla scarpa, osservando cosa non ci ha convinti: in primis il fatto che tolto il supporto automatizzato degli Tsukumo, tra giocatori non ci si potrà curare durante il combattimento. Il che implica che ognuno dovrà gestire le proprie cure, essendo obbligati in caso di esaurimento di quest’ultime, ad abbandonare il party nel bel mezzo della lotta, al fine di cercarne di nuove. Questo oltre a creare evidenti problemi durante il combattimento, abbandonando i compagni a prendere schiaffi, abbassa un po’ il livello di tensione ed adrenalina, altrimenti sempre molto alto e costante.
Problema molto simile quello riguardante il reperimento del filo atto a costruire i Karakuri (acquisibile in game premendo L2 sul DualSense). Anche in end game, non se ne disporrà in quantità esorbitanti, diversi Karakuri necessitano di molto filo e sono suscettibili alla distruzione da parte delle creature. Tutto ciò, come per le cure, farà sì che parte integrante del combattimento sarà quella di “assentarsi” momentaneamente, in cerca di materiali.
Giocando in singolo, anche in questo caso il fido Tsukumo ci verrà in aiuto raccogliendo un po’ di filo per noi, permettendoci di proseguire il combattimento senza soluzione di continuità.
Karakuri, l’asso del gameplay
Messi subito in chiaro gli aspetti che non ci hanno pienamente convinto, senza comunque comprometterne l’esperienza, esaminiamo ora quel che a nostro avviso è la punta di diamante del gameplay di Wild Hearts, ovvero i Karakuri. Tramite un oggetto portato al braccio, che proietta degli ologrammi, saremo in grado di creare oggetti semplici come cubi di legno o complicati come balliste. Questa antica tecnica, ormai quasi completamente estinta, si è risvegliata in noi apparentemente senza motivo, e ci ha reso agli occhi degli altri cittadini di Minato, una sorta di predestinato.
Al gameplay classico tipico degli hunting game, di cui Capcom è fuoriclasse assoluta, Omega Force ha aggiunto l’utilizzo dei Karakuri, sia fuori che dentro il combattimento, apportando una maggiore profondità a meccaniche comunque già viste e conosciute.
Tramite questi dispositivi che potremo creare all’istante utilizzando il filo estratto da pietre o alberi, saremo in grado di costruire muri difensivi, rialzi per scalare pareti altrimenti troppo alte. Eliche con cui planare sopra ad un nemico, causando un devastante attacco in salto, o perfette per coprire grandi porzioni di mappa evitando incontri pericolosi.
Va da se che il combattimento risulterà un perfetto mix, tra il menare le mani e il costruire dispositivi diversi a seconda della situazione. Questa commistione è resa perfettamente da Omega Force, che in questo modo riesce a non farci mai stare con le mani in mano. La perpetua dinamicità dei combattimenti ci terrà incollati allo schermo per parecchi minuti, senza darci il minimo respiro, sempre presi tra colpire, schivare e costruire.
Non fosse per l’esigua quantità di filo disponibile, sicuramente reso tale per non sbilanciare le dinamiche di gioco a favore di questo strumento, l’utilizzo dei Karakuri rappresenterebbe probabilmente la componente più divertente in tutto Wild Hearts.
Armi, Armature e crafting
Preso mano ed assorbito l’utilizzo repentino e pertinente dei Karakuri durante ogni combattimento, per il nostro eroe sarà comunque fondamentale essere armato ed equipaggiato al meglio durante tutta la sua avventura. In Wild Hearts avremo a disposizione 8 tipi di armi diverse (di cui 3 sbloccabili nel secondo capitolo), ognuna molto diversa dalle altre. Potremo passare dalla velocissima katana, ai lenti e devastanti martello e nodachi, piuttosto che ranged con il tecnicissimo arco o prendendo a schiaffoni le vare creature con il wagasa, una sorta di ombrello con i bordi affilati e taglienti, utilissimo anche per effettuare parry. Ognuna di queste armi sarà potenziabile con il crafting, tramite un lungo e complesso albero di skill, attraverso il quale di volta in volta aggiungeremo abilità e potenziamenti.
Va da se, che la varietà di armi e dei loro comportamenti in combattimento, unita ai molti potenziamenti disponibili, metteranno il giocatore nella possibilità di poter costruire build di volta in volta molto differenziate tra loro come gameplay. La possibilità di creare nuovi personaggi, con stili di combattimento completamente diversi, apporterà un notevole boost alla longevità e rigiocabilità del titolo.
Le armature ci sono piaciute un po’ meno, in quanto sostanzialmente non potenziabili alla stregua delle armi. Tuttavia ogni creatura ci rilascerà un set che nelle statistiche rispecchierà ciò che erano le sue skill, e già in early game avremo a disposizione parecchi pezzi da incrociare ed utilizzare in base a mostri e situazioni.
Sia armi che armature sono molto ben realizzate ed artisticamente ispirate, dandoci stimolo di possederne parecchie alternandone l’utilizzo, anche semplicemente per il gusto di vederle.
Tsukumo e Kemono, i nostri compagni di gioco
Equipaggiare set di armature perfetti per contrastare ambienti ostili, ed elementi specifici come fuoco, veleno ecc., sarà fondamentale durante la nostra avventura in Wild Hearts. Si perché ogni caccia che andremo ad affrontare, ci metterà di fronte ai temibili Kemono. Queste leggendarie creature che attingono la loro energia dall’ambiente in cui vivono, sono inoltre in grado di plasmarne aspetto e conformazione, al fine di trarne vantaggio e mettere in difficoltà i cacciatori.
Il combattimento con questi colossi sarà dinamico e variegato. Una frenetica ed inarrestabile danza, ci porterà a sfoggiare devastanti attacchi corpo a corpo, alternando forsennate corse all’indietro in fuga da potenti attacchi ad area. Dovremo cercare di studiarne i punti deboli attraverso schede che man mano diventeranno più dettagliate, in proporzione a quanti esemplari della stessa razza avremo sconfitto.
Oltre ai già menzionati Karakuri, l’ultimo tassello fondamentale del gameplay in combattimento, riferito in single player, sarà la presenza del nostro fidato Tsukumo. Questi simpatici ed utilissimi minion sono in pratica delle sfere di legno e filo intelligenti, che ricopriranno il ruolo di veri e propri compagni durante la battaglia. Ne potremo scoprire 50 in ogni mappa, il che ci garantirà i punti necessari per potenziarli.
I Tsukumo saranno in grado di distrarre i mostri attirando su di loro l’attenzione, permettendoci piccoli momenti per rifiatare. Saranno in grado di fornirci un po’ di filo durante la battaglia, tenendo conto che ne siamo a corto o magari curarci in caso di salute messa male. Nelle situazione più disperate potranno anche attaccare, dimostrando un IA sempre coerente e sensata. Non ci è mai capitato di pensare “ma cosa sta facendo…” anzi, spesso sono stati molto utili per togliere arroventate castagne dal fuoco.
Versione PlayStation 5: tecnicamente un disastro
Senza il minimo spettro di esitazione, per quel che ha riguardato la nostra esperienza, la maggior nota dolente da mettere a verbale, è il comparto tecnico di Wild Hearts. Se artisticamente e stilisticamente lo abbiamo elogiato ripetutamente, sotto il punto di vista della grafica, della fluidità e dell’ottimizzazione, ci siamo trovati di fronte un prodotto assolutamente non al passo con i tempi.
Lo abbiamo giocato su PS5 con un LG55C9 OLED con HDR, HDMI 2.1, per cui una tv di tutto rispetto in ambito gaming console. Abbiamo provato sia impostando dal gioco la grafica sia su risoluzione che su prestazioni.
Nel primo caso il frame rate ci è parso veramente troppo basso, con un immagine molto poco fluida rispetto al gameplay super dinamico. Nel caso del preset su risoluzione gli fps sono migliorati ma comunque non al punto da conferire ad un titolo del genere, una fluidità adeguata, sempre.
Oltre alla questione fluidità, il titolo ha delle texture slavate, poco definite, nonché evidenti problemi di illuminazione e con i particellari. A tratti abbiamo fatto fatica a guardare alcuni scenari a causa di una lucentezza fuori scala enfatizzata anche dall’HDR, per non parlare della prima volta che nel gioco è comparsa la pioggia, visivamente comparabile a quella di qualche titolo da cabinato di 30 anni fa.
Una resa grafica e di fluidità, che veramente non rende merito al resto della produzione, solida sotto quasi tutti i fronti. Allo stato attuale veramente indifendibile ed imparagonabile, non solo nei confronti del suo competitor annunciato, ma proprio in generale rispetto a quasi i tutti i migliori titoli mid e next gen che girano sull’ultima console di Sony. Non ci resta che sperare in qualche salvifico upgrade futuro da parte di Omega Force.
Commento Finale
Che siate amanti degli hunting game o no, Wild Hearts è un titolo che a fronte di un auspicato supporto futuro da parte dello sviluppatore, potrà lasciare il segno tra i titoli di questa generazione. Questo dovuto per lo più grazie alla longevità conferitagli dalla sua natura cooperativa nonché dalla grande varietà di build realizzabili. Agguerrito e dichiarato competitor del re indiscusso del genere, ovvero Monster Hunter di Capcom, riesce ad offrire un impianto di gameplay solido e profondo grazie all’implementazione dei Karakuri, ne esce invece drasticamente ridimensionato sotto il punto di vista grafico e tecnico più in generale, con un resa visiva non al passo con i tempi ed una fluidità piuttosto altalenante e poco adatta al tipo di gioco. Un titolo molto dinamico, appagante e profondo, con aspetti si da sistemare ed ottimizzare, ma che nel suo complesso potrà garantirvi un ampio monte ore soli o in compagnia dei vostri amici, a caccia di creature attraverso le pericolose terre di Azuma.