Stranger Things 4 – Recensione

Alcune serie si evolvono nel corso della loro lunga durata altre si aggrappano a ciò che le ha rese un successo fin dall’inizio. L’appariscente quarta stagione di Stranger Things fa perlopiù quest’ultima, sfornando riferimenti pop-culturali anni Ottanta a un ritmo tale da farci temere che non ci sarà più nulla nel serbatoio per il quinto capitolo finale. Sono gli anni Ottanta della tecnologia morente e del ventre oscuro e moraleggiante del reaganismo.

In quel periodo, anche un gioco così innocente come “Dungeons & Dragons” veniva visto come un possibile metodo di aggregazione a culti demoniaci, quando in realtà si trattava semplicemente di un banalissimo gioco di ruolo. E’ interessante come, in questa stagione, vengano affrontati (anche se solo come accenni) temi simili in modo ironico. Sicuramente il “demonizzare” un gioco come D&D è una delle tante citazioni culturali pop (anche se in questo caso sbagliate) di quel periodo storico che già nelle precedenti stagioni, avevamo avuto il modo di poterle pregustare.

Ma bando alle ciance e scopriamo più dettagli su questo primo volume dedicato a Stranger Things 4, in attesa (a luglio) del finale di stagione.

La serie riprende circa un anno dopo la Battaglia di Starcourt Mall, il sanguinoso finale della terza stagione, e non c’è un solo membro della “banda” che non sia rimasto traumatizzato dall’esito finale e stia lottando per trovare un appiglio di normalità dopo i nefasti eventi della terza stagione.

Mike (Finn Wolfhard che è molto cresciuto e diverso rispetto a come, giustamente, lo conoscevamo all’inizio) e Dustin (Gaten Matarazzo attore che continua a dominare ogni scena con il suo tempismo comico) hanno rinunciato alla possibilità di essere “popolari” al liceo per confermare la loro “indole” nerd continuando a giocare a Dungeons & Dragons della mensa della Hawkins High con un nuovo gruppo di appassionati. Lucas (Caleb McLaughlin), al contrario dei due compagni, siede sulla panchina della squadra di basket della scuola, in un maldestro tentativo di ottenere popolarità da reinvestire nel caso anche su Dustin e Mike mentre Max (Sadie Sink), chiusa in se stessa dopo aver vissuto la macabra fine del fratello, sembra essere diventata completamente apatica evitando possibilmente ogni relazione, compresa quella che aveva con Lucas. Robin e Steve (Maya Hawke e Joe Keery) hanno scambiato i loro lavori part-time alla gelateria demolita con nuovi lavori senza prospettive al videonoleggio. Fortunatamente, se ve lo state chiedendo, i loro simpatici battibecchi sono rimasti perfettamente intatti.

Ma il mondo di Stranger Things non si ferma più ai confini della città di Hawkins. In lutto per la morte del capo della polizia Jim Hopper (David Harbour), Joyce (Winona Ryder) trasferisce la sua famiglia in California, lontano dall’inferno di Hawkins. Purtroppo, la vita nello stato americano si rivela più difficile di quanto possa sembrare. Senza Nancy (Natalia Dyer), Jonathan (Charlie Heaton) si trasforma in un tossicodipendente e Will (Noah Schnapp) conferma la sua indole solitaria che, per come si comporta, potrebbe essere rimasto ancora nel Sottosopra (tranquilli, è una battuta!). Ma nessuno è più tormentato di Undi/Eleven (Millie Bobby Brown), vittima di bullismo, solitudine e che, apparentemente, si trova senza i suoi poteri telecinetici.

L’affiatata banda di amici di Hawkins con la voglia di avventura è rimasta dunque tesa e traumatizzata dagli ultimi eventi. Il demone della nuova stagione – di cui i critici hanno l’ordine tassativo con l’NDA di non poter rivelare niente – invece di minacciare la loro amicizia con forti tinte nerd, paradossalmente, li riunisce. Questa ponderata inversione di tendenza è efficace, ma significa anche che i primi episodi mancano di quello che è sempre stato il piacere fondamentale di Stranger Things: vedere i bambini/ragazzi essere loro stessi come lo erano in classici come ET e Ritorno al Futuro dando invece spazio ad una lunga sequenza di eventi pensati per un pubblico amante dei teen drama. Ma alla fine passano gli anni e, naturalmente, anche i protagonisti crescono ed è giusto che vengano sviluppati anche altre dinamiche sociali, senza tuttavia snaturare troppo gli elementi che li contraddistinguevano dall’inizio della serie.

Ma agganciandoci al discorso del nemico, volevamo fare una riflessione: è abbastanza bizzarro che Netflix sia così protettiva nei confronti dell’identità dell’ultimo grande antagonista. Quello che i creatori della serie, i fratelli Duffer, hanno sempre intuito è che le dimensioni e la forma di un demone non sono per forza la fonte del suo terrore. A ogni puntata, la serie propone paesaggi sempre più terrificanti, ma ingannevolmente semplici. Prendete qualcosa di riconoscibile, come un albero o una casa, e mettetelo sullo sfondo di un cielo rosso da incubo. Sottolineate il tutto che qualcosa di maligno è nelle vicinanze grazie all’utilizzo di un sintetizzatore che pulsa come un battito cardiaco, e otterrete momenti più inquietanti di qualsiasi altro mostro.

I fratelli Duffer, comunque, si vede che si sono particolarmente divertiti a prendere ispirazione (o in alcuni casi, addirittura, senza neanche troppi fronzoli citare direttamente) grandi classici del passato a tinte Horror, e chi è amante del cinema, potrà ben intuire a quali film faranno riferimento.

Un altro dei punti forti di Stranger Things è l’accurata scelta della colonna sonora, che in questa stagione, vi garantiamo, saprà stupirvi (nuovamente) positivamente. Ogni spunto musicale è azzeccato, compresa una minacciosa scena di fuga ambientata sull’allegro “Pass the Dutchie” dei Musical Youth. C’è un altro punto musicale gestito talmente bene, che Netflix ritiene che citarlo nella recensione possa essere una possibile violazione della sua politica di spoiler, dunque non vi anticipiamo nulla, ma quando lo incontrerete capirete di cosa sto parlando.

La colonna sonora è completata da un’evocativa serie di sinistre distorsioni audio e di stridori che svolgono il lavoro che dovrebbero fare: incutere timore o comunque inquietare ma contemporaneamente intrigare lo spettatore.

Come visto nel corso di questi mesi, è già stato rivelato (attraverso un trailer) che Hopper non è realmente morto, il che sembra un modo poco credibile per aiutare l’interesse vivo verso la serie. Infatti, la storia, non sarà basata solo sulle misteriose vicende di Hawkins ma anche, contemporaneamente, sui fatti che vedono Hopper prigioniero in Russia. Due dinamiche che risulteranno, man mano che avanzerà la storia, interessanti. Tuttavia la lore dei misteri rimane intatta e se Stranger Things vi è piaciuto in passato, probabilmente vi continuerà a piacere anche questa volta. La televisione formulaica funziona sempre quando la formula viene venduta così bene e garantisce un successo, e lo stesso Stranger Things sembra confermare questa teoria.

Questa stagione non ha lo stesso alone di mistero che offrivano le passate, complice, probabilmente, una serie di eventi che portano a credere che ciò che si andrà a vedere è un pò un “more of the same” delle passate serie, tuttavia la formula si conferma lo stesso un successo in quanto, il pubblico, pare comunque apprezzarlo forse anche perchè affezionati ai personaggi e attori che ormai seguono dal “lontano” 2016.

Andrea D’amely
Andrea D’amely
Il giovane Andrea scopre la sua grande passione per i videogiochi alla tenera età di 4 anni grazie ad un meraviglioso Game Boy ricevuto in dono. Con il passare degli anni ho vissuto gran parte delle varie generazioni videoludiche ad osservare (e giocare) numerosi titoli per svariati dispositivi: rimanendo, però, sempre affascinato dal magico alone proveniente dalla Grande N essendo cresciuto principalmente a giochi pane e Nintendo. Grande appassionato di Cinema e sport, talvolta mi diletto ad osservare anche l'universo WWE e simili.

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