IPTV, cosa si rischia davvero utilizzando il pezzotto?

Cos’è l’IPTV?

Per IPTV (Internet Protocol Television) s’intende un sistema che permette di guardare i canali televisivi sfruttando il protocollo TCP/IP di una connessione a Internet.

L’IPTV solitamente offre 2 tipologie principali di contenuti: contenuti in presa diretta (distribuiti contemporaneamente a più utenti) e contenuti di tipo Video-on-Demand, cioè pre-registrati e resi disponibili a ciascun utente che ne faccia richiesta. Rispetto alla TV tradizionale(es. tv digitale terrestre, il satellite, o la tv via cavo), l’IpTV offre come detto potenzialità tecnologiche decisamente superiori,  ma allo stesso tempo, proprio come queste tecnologie tradizionali di trasmissione, propone un modello chiuso, dove è il provider a decidere i contenuti e la modalità di fruizione da parte dell’utente.

Quanto mi costa il “pezzotto”?

In linea di principio, la tecnologia IPTV è perfettamente legale. La situazione cambia, tuttavia, quando la stessa viene utilizzata per poter decodificare un segnale proveniente dal web al fine di garantire in chiaro (a prezzi davvero contenuti e somme non versate ai titolari del diritto di credito), contenuti a pagamento come quelli di Sky, DAZN, Netflix, Spotify, Mediaset premium, Youtube premium, etc.

Il meccanismo, noto ormai comunemente con il termine di “pezzotto”, consiste  nel pagamento una quota mensile, di solito tra i 10 e i 25 euro, e l’utilizzo di un decoder ad hoc o di un software dedicato. Solitamente si paga l’abbonamento a un “reseller“, ossia a una sorta di rivenditore del segnale illegale.

Seppure il fenomeno sembra, rispetto al passato, per varie ragioni, essersi ridotto, sono comunque decine le persone che accedono illegalmente ai servizi a pagamento. Non si intende qui esprimere alcuna considerazione di valore in ordine alla scelta di chi ha fatto del “pezzotto” una scelta di (si ripete  illegale) ribellione civica.

E’ evidente, però, che la maggioranza degli utenti abbia abbracciato tale scelta per motivi economici, di risparmio.

E’ davvero così conveniente?

Per poter valutare se il pezzotto sia la scelta (si ripete illegale) economicamente più efficiente, è necessario essere a conoscenza dei possibili costi, per valutare l’allocazione ottimale di fattori, nel caso in cui si venga scoperti e, in seguito, condannati.

Punto di riferimento è la legge n. 633 del 22.4.1941, meglio conosciuta come legge sul diritto d’autore e, in particolare, l’art. 171-octies che al primo comma prevede che “Qualora il fatto non costituisca più grave reato, è punito con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa da euro 2.582 a euro 25.822 chiunque a fini fraudolenti produce, pone in vendita, importa, promuove, installa, modifica, utilizza per uso pubblico e privato apparati o parti di apparati atti alla decodificazione di trasmissioni audiovisive ad accesso condizionato effettuate via etere, via satellite, via cavo, in forma sia analogica sia digitale[…]”, pena che non potrà essere inferiore a “due anni di reclusione e la multa a euro 15.493 se il fatto è di rilevante gravità” (comma secondo).

A ciò occorre, inoltre, aggiungere il patos e i costi del processo penale cui si verrà sottoposti.

La giurisprudenza sul punto

In giurisprudenza pietra miliare è la sentenza n. 46443/2017 dalla Suprema Corte di Cassazione. In tale occasione la Corte confermava la pena, inflitta al fruitore del pezzotto dalla Corte di Appello di Palermo, a quattro mesi di reclusione ed Euro 2.000 di multa per avere in violazione della L. n. 633 del 1941, art. 171 octies installato un apparecchio con decoder regolarmente alimentato alla rete LAN domestica ed internet collegato con apparato TV e connessione all’impianto satellitare così rendendo visibili i canali televisivi del gruppo SKY Italia in assenza della relativa smart card.

pezzotto iptv

Di particolare rilevanza il passo della sentenza in cui la Corte di Cassazione chiarisce che viola la L. n. 633 del 1941, art. 171-octies  la condotta consistente “nella decodificazione ad uso privato di programmi televisivi ad accesso condizionato e, dunque, protetto, eludendo le misure tecnologiche destinate ad impedire l’accesso posto in essere da parte dell’emittente, senza che assumano rilievo le concrete modalità con cui l’elusione venga attuata, evidenziandone la finalità fraudolenta nel mancato pagamento del canone applicato agli utenti per l’accesso ai suddetti programmi” .

Una battaglia ancora aperta

La cronaca ci dice che la battaglia al pezzotto è tutt’altro che finita se a fine febbraio sono stati identificati e denunciati dalla GDF ben 223 persone.

Questo è lo stato di fatto. Di certo questo articolo non cambierà di una virgola la posizione di chi fa del “pirataggio” una “battaglia etica”.

Potrei ancora evidenziare la dubbia necessità (ossessiva) di avere l’accesso a tutte, proprio tutte, le piattaforme (non dimentichiamoci la recente Disney+!).

Sarebbe, però,  filosofeggiare.

Concludo allora, citando il buon De Crescenzo, con una domanda: “Vi siete fatti bene i conti? Vi conviene?”

Avv. Ciro Coticelli
via Brandi 3 –  80054 – Gragnano (NA)
avv.cirocoticelli [@] gmail.com – fb @studiolegalecoticelli

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1 commento

  1. fatevi furbi. il pezzotto in sè non è illegale perche non è altro che uno smartphone collegato alla tv….non è ne un decoder,ne null’altro.
    Se sequestrano i pezzotti devono bloccare anche le vendite di smartphone e chiavette varie (amazon firestick,nowtv,timbox,ecc,ecc….perche anche su questi device si puo vedere iptv)

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