E così ci siamo arrivati. Dopo molti mesi di attesa, discussioni più o meno “tecniche”, aspettative e rinvii questa settimana escono le nuove console. La Next Gen. Ogni volta che si ripete questo evento, più o meno a cadenze quasi regolari di sette anni, la parola che più viene sussurrata sulle bocche e ronza nelle teste, con un mix di tensione e aspettativa è “rivoluzione”.
Al di là delle specifiche tecniche clamorosamente ostentate, dei trailer roboanti e degli annunci ad effetto, nella testa di noi gamer riecheggiano domande ricorrenti.
“Come verrà cambiato il nostro modo di giocare dalla nuova generazione di piattaforme?” “Quanto saranno diversi i nuovi giochi da quelli vecchi?” “A quali nuove meraviglie di coinvolgimento e immersione ci metteranno davanti gli sviluppatori della nuova generazione?“
In questo momento l’aria di cambiamento è densa e tangibile e non solo per l’arrivo del Ray Tracing, del 4k in 60/120 fps e, cosa forse più importante di tutte, l’introduzione della tecnologia SSD su console. Quest’ultima promette infatti di ridurre all’osso i tanto odiati tempi di caricamento, introducendo nuove e magnifiche opportunità per gli sviluppatori Next Gen: integrare sempre meglio narrazione e gameplay e rendere i videogiochi del futuro sempre più “seamless”, privi di barriere e “fili invisibili”. Il tutto a vantaggio di un maggiore coinvolgimento ed immersione del giocatore.
Rivoluzione nelle modalità di vendita.
Ma, lo ripeto, c’è dell’altro. Quello che si percepisce più di tutto, da parte di produttori e publisher Next Gen in questo momento, è la volontà di cambiare il modo di vendere, di pubblicare, di somministrare al pubblico il “medium” videoludico.
In primis assistiamo ad un cambiamento che tocca anche l’hardware, oltre che la distribuzione del software. La galoppante avanzata del digitale, che sta soppiantando il fisico, ci fa vedere per la prima volta una console Next Gen (la PS5) che esce in una versione senza lettore di supporti fisici e unicamente predisposta per il gioco digitale (qui il nostro approfondimento sulle due versioni). Tutto questo avviene in uno scenario in cui la Microsoft promuove sempre più aggressivamente il suo servizio per il videogioco via streaming (GamePass), la stessa Sony è scesa in campo con il servizio PS Now e Google Stadia, la prima piattaforma di gaming pensata per giocare interamente in streaming, è già realtà.
Le transizioni in atto
Come si apprestano, i giocatori, a vivere questo momento di transizione? La notizia che sulle piattaforme Next Gen i giochi costeranno ancora di più (si parla dell’abominevole somma di 80 € al lancio!), unitamente con l’avanzata di tutti questi servizi per il “gioco a distanza” porta quasi a pensare che nella nuova generazione si vorrà “scoraggiare” il possesso del gioco (o meglio di una licenza che ne garantisca l’uso in maniera continuativa e relativamente incondizionata) in favore di un videogioco inteso più come “servizio”. Sempre più svincolato da un supporto fisico di memorizzazione, che sia esso un disco o la memoria interna della piattaforma o (come nel caso di Stadia) addirittura dalla piattaforma stessa.
Ma quali sono i vantaggi e gli svantaggi di questa transizione? Quali le appetibili comodità e quali le paure per il consumatore? E il “gioco di nona generazione” sarà veramente qualcosa che si potrà avere solo a distanza o sarà possibile “possederlo”, pur negli stessi limiti con cui accadeva nelle generazioni precedenti?
Dove va il mercato?
Cominciamo col dire che, ovviamente, chi prende queste decisioni nei palazzi a vetri di grandi aziende come Microsoft o Sony non agisce in base all’istinto o ad una percezione del momento, ma ad approfondite analisi di mercato e studi su cosa è piaciuto (o potrebbe piacere) maggiormente all’utenza. Dunque è facile intuire come una significativa fetta di videogiocatori, oggigiorno, prediliga uno schema di “videogioco a consumo”, magari dedicando a un gioco giusto il tempo che ci vuole per completarlo. Senza conservarlo, rigiocarlo a distanza di tempo o spendere fiumi di ore a “platinarlo”: semplicemente, si orienta su un approccio “quantitativo” preferendo avere a disposizione, a basso prezzo, un’ampia rosa di titoli tra cui scegliere.
Naturalmente non sono tutti. E qui veniamo alla domanda che molti si stanno ponendo e a cui, comunque, al momento non è facile dare una risposta. I “nuovi” formati di videogioco diventeranno preponderanti, fino a soppiantare completamente quelli vecchi? Un giorno giocheremo tutti a distanza, su macchine che non sono le nostre, svincolandoci persino dall’acquisto della console? Oppure le varie forme di fruizione giungeranno ad un equilibrio e ad una convivenza? Questa, ovviamente, è una risposta che avremo solo col tempo. Per il momento possiamo limitarci a valutare quali sono i vantaggi e gli svantaggi delle varie forme di “acquisto” di un videogioco all’alba di questa Next Gen.
E allora vediamo un po’ a cosa andiamo incontro.
Next Gen: Fisico vs Digitale
Questa è una diatriba ancora oggi molto accesa e si concentra principalmente sulle problematiche legate alla produzione e alla distribuzione. Ma non sono poche anche le questioni legate alla modalità di fruizione.
Un gioco memorizzato su supporto fisico (tipicamente Blue-Ray) ha diversi svantaggi, che ad alcuni possono farlo apparire obsoleto: il supporto fisico è in copia unica, quindi può rompersi o deteriorarsi e non può essere sostituito senza ricomprarlo; è ingombrante e devi averlo con te se per caso decidi di spostarti; inoltre contiene una versione del gioco “fissa”, che avrà comunque poi bisogno di essere aggiornata per poter essere utilizzata correttamente. Il gioco digitale, per contro, ha numerosi vantaggi: puoi scaricarlo e installarlo direttamente sul dispositivo disponendo semplicemente di una connessione a Internet; non pesa, non ingombra ed è “infinitamente riproducibile”.
Ma allora, di cosa si lamentano i sostenitori del “fisico”? Sono solo vecchi nostalgici che adorano scartare una confezione, sentire l’odore di “nuovo” della plastica appena uscita dal cellophane e avere una collezione in bella mostra su una mensola dello scaffale accanto a quella dei dischi o dei libri? Beh, non esattamente.
I “vantaggi del fisico”
Ci sono due argomentazioni “pratiche” e una “teorica”. Dal punto di vista pratico, il concetto è che, per l’appunto, bisogna avere una connessione: sembra una cosa scontata, ma una connessione è comunque qualcosa per cui bisogna pagare mensilmente e comunque non tutti ne hanno una adeguata. I tempi e le modalità di download possono essere disagevoli se si vive in una zona non ben coperta da fibra o altre tecnologie di avanguardia e la dimensione dei giochi da scaricare sta crescendo in maniera esponenziale, obbligando alcuni ad aspettare molte ore (se non addirittura giorni) per ottenere un gioco correttamente installato e aggiornato sulla propria piattaforma.
Inoltre, un gioco fisico può essere rivenduto (e acquistato) usato, mentre uno digitale no. Per alcuni l’usato non è solo un modo di liberarsi di un gioco vecchio, al quale non si giocherà più, per guadagnare qualcosina da reinvestire in un titolo nuovo: l’usato rappresenta anche una valida forma di risparmio nell’acquistare un titolo che gli ingenerosi prezzi pieni rendono magari inaccessibile per molto, molto tempo. Un’eventuale scomparsa del formato fisico potrebbe dettare anche una scomparsa dell’usato e questo non è certo un bene per il mercato.
Dulcis in fundo, se il gioco è single player oppure comunque offline, l’idea di dover dipendere da una linea che funzioni senza guasti e interruzioni anche solo per fruire di qualcosa che potrebbe, almeno in linea teorica, consumarsi tutta tra le pareti della propria stanza risulta concettualmente inaccettabile per molti.
Una trasformazione graduale
Comunque, anche se sembra che il fisico stia inesorabilmente cedendo il passo al digitale, questo processo non appare poi così rapido. L’utenza legata ai supporti fisici costituisce ancora una fetta considerevole degli acquirenti; e la PS5, dopotutto, pur compiendo un passo importante verso l’era dell'”Only Digital” (dato che presenta per la prima volta una versione priva di lettore e totalmente “libera dalla schiavitù del fisico”), offre ancora la possibilità di acquistare una console più “tradizionale”, attrezzata per gestire anche giochi nel vecchio formato fisico, che quindi continuerà ad essere prodotto e rivenduto.
Next Gen: Gioco locale vs Streaming
Un altro punto “caldo” delle trasformazioni in atto dal punto di vista videoludico è quello della transizione dal gioco “posseduto” e scaricato in locale a quello giocato via streaming. Con il progredire della tecnologia e la disponibilità al pubblico di connessioni a banda sempre più larga ha preso piede l’idea, per i distributori di un gioco, di rendere scaricabile dai propri server non solo il gioco, ma l’intero corpo di dati e informazioni che servono a giocare.
In questo modo l’utente può affrancarsi dal download dei dati e dall’ingombro (questa volta in termini di memoria) delegando al distributore anche l’onere dell’esecuzione del gioco, oltre che quello della sua conservazione in uno “store digitale”. Nel caso di Stadia, poi, il gioco verrà eseguito sull’hardware di una macchina molto valida e ad elevate prestazioni, senza che il giocatore debba procurarsene una. Tutto quello che serve è una connessione veloce e stabile. E naturalmente anche in questo caso ci sono vantaggi e svantaggi.
Vantaggi e svantaggi dello streaming
Da un lato, l’utente è svincolato dal dover acquistare e mantenere in piena operatività un hardware performante e si affranca dall’ingombrante onere di dover scaricare montagne e montagne di Gigabyte su un supporto di memoria (disco interno o esterno), ovviamente limitato. Per contro, la dipendenza dalla qualità della connessione si estende non solo all’intervallo temporale richiesto per scaricare i dati, ma all’intera durata di una sessione di gioco. Si pone, prepotente, il concetto di “input lag”, ovvero quanto un ritardo nella connessione possa influire sul tempo di risposta che intercorre tra il momento in cui si impartisce un comando e quello in cui se ne vedono gli effetti nel gioco: nel caso di giochi con un gameplay frenetico o in cui sia richiesta molta precisione, questo ritardo può avere conseguenze fatali.
Inoltre il concetto di “possesso” diventa ancora più sfumato, vincolando il più delle volte il giocatore ad una spesa che diventa periodica (pagamento di un servizio in abbonamento) anche solo per la fruizione di un singolo gioco. Questo perché i server che il gestore dovrà mantenere e tenere accesi per garantire il servizio sono macchine costose e necessiteranno di entrate costanti. Naturalmente, il pagamento di un abbonamento dà di solito accesso (come nel caso del GamePass) non ad un unico gioco, ma ad un’intera libreria per un prezzo che è decisamente inferiore a quello dei giochi acquistati singolarmente. Il problema è che “diventa un costo mensile”.
Il videogioco come “servizio”
Siamo davvero pronti ad aggiungere una “bolletta sui videogiochi” a quella per l’energia elettrica e al mutuo tra i conti da pagare a fine mese? Evidentemente alcuni lo preferiscono, dato che giocano più giochi insieme e solo per il tempo necessario a finirli, non ritenendo che valga la pena di pagare un prezzo pieno per poi mettere tutto in un angolo a prendere polvere (fisica o digitale che sia). Ma ci sono anche quelli che invece preferiscono pagare, magari anche a distanza di tempo dall’uscita per avere un prezzo inferiore, per poi conservare per sempre il gioco materiale (se fisico) o la possibilità di accedervi e riscaricarlo per poterci giocare (se digitale).
Next Gen: Prospettive
Anche in questo caso la “rivoluzione” videoludica in atto agli albori di questa Next Gen è ancora agli inizi ed è troppo presto per capire se in futuro una delle due forme di distribuzione del gioco prenderà il sopravvento sull’altra. Ma comunque resta la domanda (e la curiosità di approfondire la risposta) se siamo pronti o meno per questo cambiamento.
L’Italia non è certo tra i paesi messi meglio al mondo in quanto a copertura di rete: in alcune regioni si fatica anche solo a far arrivare una fibra e si lamenta una qualità altalenante dei servizi a seconda del luogo anche da parte dei provider più costosi e – apparentemente – più affidabili. Per contro, i videogiochi moderni (specie se si parla di cose del calibro di Call of Duty, Tekken 7 o The Last of Us 2) richiedono un carico di informazioni sempre più gravoso da trasmettere lungo una linea e sono onerosi sia graficamente che in termini di prontezza del controllo richiesta.
Delegare la totalità (o comunque una componente sempre più importante) del carico computazionale richiesto da un videogioco alla connessione è davvero una scelta che “tutti possono permettersi”? E chi continuerà a non poterlo fare anche nei prossimi anni non rischierà, magari, di “essere lasciato indietro solo perché nel resto del mondo funziona”?
Aggiornarsi o non aggiornarsi?
Certo, si può obiettare che anche “rimanere ancorati ad una PlayStation 2” o ad un PC comprato nel 2005 significa precludersi la possibilità di giocare a giochi più moderni finché non si effettua un aggiornamento: ma in quel caso il miglioramento è demandato alle possibilità e alla volontà del giocatore e non ad una sua ipotetica “collocazione geografica” o a fatti su cui non ha potere di scelta.
Quanto abbiamo veramente da perdere nel trasformare anche un videogioco single player in qualcosa per cui “non abbiamo più gli ingredienti necessari tra le quattro pareti della stanza in cui giochiamo?”
Ovviamente qui si pongono solo le domande, non ci sono i dati né gli estremi per poter dare le risposte, né appare molto sensato fare dei pronostici senza avere elementi concreti su come si svilupperanno alcune situazioni.
Possiamo solo dare il via a questa Next Gen, assistendo con partecipazione al “taglio del nastro” di questa settimana e lasciare che siano i prossimi anni di videogaming a fornirci la risposte a questi interrogativi.