Sapete perché gli storici fanno riferimento al periodo medievale come ai secoli bui? Perché id Software non aveva ancora inventato Doom, e fino ad allora la società viveva nel più assoluto disordine. Dal punto di vista della storia, Doom: The Dark Ages è un prequel degli ultimi due brillanti revival, rispettivamente Doom (2016) e Doom Eternal (2020), che propone un’ambientazione esoterica medievale dark fantasy e offrendo un’esperienza più lenta e brutale rispetto alle iterazioni precedenti.
Si tratta pertanto di un nuovo interessante capitolo della leggendaria saga FPS nata nel lontano 1993 (riproposta lo scorso anno in versione 4K a 120 fps insieme al secondo capitolo) che trae ispirazione da alcuni fondamentali opere della cultura pop: il leggendario Doom originale, la graphic novel Batman – Il ritorno del Cavaliere Oscuro di Frank Miller, il film del 2006 di Zack Snyder, 300 (anch’esso basato su una graphic novel di Miller) e – qualcosina – dalle opere di Hans Ruedi Giger. C’è così tanto di cui parlare, quindi facciamolo e basta: ecco la nostra recensione di Doom: The Dark Ages.
Il gioco sviluppato da Id Software e pubblicato da Bethesda Softworks è disponibile dal 15 maggio 2025 su PC, PS5, Xbox Series X/S e gratuitamente attraverso il servizio in abbonamento Xbox Game Pass.
Versione testata: PlayStation 5
Benvenuti nell’inferno medievale
The Dark Ages trasporta il giocatore nel cuore di un Medioevo infernale alternativo, dove sangue, acciaio e fuoco si mescolano senza pietà. Racconta l’epica storia delle origini della rabbia del protagonista. In questo terzo capitolo della moderna serie, i giocatori si calano nei panni insanguinati dello Slayer – considerato una “superarma degli dèi” – in una nuova, oscura e sinistra crociata contro le legioni dell’inferno, aiutato dai suoi nuovi e vecchi alleati, attraverso il Cosmic Real (una dimensione ispirata all’estetica lovecraftiana, con architetture ciclopiche) caratterizzato da mondi misteriosi connessi al passato dello Slayer, foreste oscure, sotterranei, antichi paesaggi infernali, campi di battaglia e mondi inesplorati.

Resisti e combatti
“Resisti e combatti“, questo è il motto prescelto da id Software, ma è più di un semplice slogan: è la filosofia di game design su cui ruota l’intero Doom: The Dark Ages. Doom: Eternal richiede di padroneggiare il movimento ad alta velocità, gli scatti senza sosta per evitare i variegati attacchi nemici, la rotazione rapida di tutte le armi e degli strumenti disponibili per massimizzare i danni, tenendo a mente, imperativamente, di non doversi mai e poi mai fermare neanche per una frazione di secondo altrimenti il Game Over è praticamente inevitabile. Nonostante la potenza a dir poco incredibile e inarrestabile del Doom Slayer, può comunque resistere solo ad una manciata di attacchi nemici prima di passare a miglior vita, quindi muoversi a tutta velocità a terra e in aria (sfruttando le correnti ascensionali) è fondamentale per la sopravvivenza.
Il movimento è ancora veloce, preciso e scattante ma con qualche lieve differenza rispetto al passato
In Doom: The Dark Ages, sin dalle prime fasi, ci siamo dovuti liberare (mentalmente e muscolarmente) di quanto avevamo appreso in Doom: Eternal e nei relativi DLC (The Ancient Gods Parte 1 e The Ancient Gods Parte 2). Viene abbandonata l’agilità acrobatica di DOOM Eternal a favore di un approccio più pesante e strategico. La velocità di camminata è lievemente ridotta, così come il tempo e la capacità di salto e con tanto di rimozione degli scatti ma mantenendo la possibilità di fare lo sprint e il salto più in alto e, sebbene ci siano ancora le piattaforme e le arrampicate da fare per raggiungere le sezioni sopraelevate, il tutto sembra più concreto per impostazione predefinita. Doom: Eternal era, ed è tuttora, un meraviglioso esponente del genere, incredibilmente veloce e con un livello di profondità, dettaglio e tecnicismo impossibile da ritrovare in qualsiasi altro moderno sparatutto AAA. Doom: The Dark Ages fa un passo indietro (in senso buono) e, pur essendo ancora intenso e brutale come non mai, chiede ai giocatori di riconsiderare il proprio stile di gioco, adottando una filosofia completamente nuova: la già citata resisti e combatti.

Entra in scena quello che potrebbe essere lo strumento più versatile nella storia di Doom: il Sega Scudo. Si tratta di una combinazione di uno scudo circolare di solido metallo dotato di lame rotanti lungo l’intera circonferenza (potenziabile nel corso della campagna). Questo è il miglior amico del Doomguy (trasformando in un “carro armato” medievale) in questo sanguinoso viaggio negli inferi, poiché può essere utilizzato in molti ingegnosi modi. Può essere lanciato contro i nemici per creare un devastante attacco in grado di annientarne più contemporaneamente (in particolar modo quelli equipaggiati anch’essi di scudo, che se surriscaldato a colpi di proiettili, potrà essere colpito dal nostro di scudo, portando a combo devastanti; o ancora per distruggere – sempre dopo averla surriscaldata a dovere – l’armatura dei nemici). Può essere usato anche per spostarsi, poiché la sua funzione di “richiamo” permette al giocatore di saltare o raggiungere sezioni apparentemente insormontabili. Ma soprattutto, permette di parare.
Il ritmo di gioco è più deliberato: si passa dal “ripping and tearing” al “stand and fight”, con un focus su parry e gestione delle risorse. Le mappe sono più ampie e meno verticali, offrendo sezioni sandbox che incentivano l’esplorazione
Non è più necessario schivare ogni attacco, anzi, il gioco incoraggia a parare. Tenendo lo scudo davanti a sé, il giocatore può continuare a muoversi, ma anche proteggersi da più di qualche colpo, prima di dover attendere che lo scudo si ricarichi completamente. L’elemento chiave sono le parate perfette: mosse eseguite con un tempismo ideale che possono persino stordire i nemici. Spesso, il solo atto di eseguire una parata perfetta sta a significare che il danno verrà amplificato per un paio di secondi, quindi come strategia è infinitamente più efficace rispetto a schivare ogni colpo. La meccanica torna particolarmente utile anche per rilanciare un attacco. Nello specifico, i nemici più grandi ed equipaggiati, si “divertono” a lanciare rapidi attacchi dalla distanza; con il giusto tempismo, è possibile rispedire al mittente l’attacco destinato a noi, annientandolo e/o rompendo le difese. Il contrattacco può essere utilizzato anche contro gli attacchi corpo a corpo o – qualora si volesse – è possibile caricare direttamente con lo scudo.
Questo scudo è davvero l’essenza dell’intero Doom: The Dark Ages. Presenta qualche limitazione, ma è uno strumento con un chiaro utilizzo offensivo, difensivo e trasversale. In quella che potremmo definire una vera e propria danza caratterizzata dall’uso sapiente dello scudo, l’uso delle armi – fondamentali per infliggere danni costanti – e uccisioni gloriose. Queste, tornano prepotentemente anche in questo capitolo – sebbene siano state riviste e risultano essere molto più organiche – basate sulla direzione e l’angolazione data dal giocatore, piuttosto che quelle guidate e ripetitive dei giochi precedenti, il che sta a significare che possono essere eseguite da qualsiasi angolazione del campo di battaglia e cambieranno di conseguenza l’esecuzione inflitta. Possiamo persino usare un flagello al posto del semplice pugno (tramite il Guanto del potere). Un’arma di un brutalità senza eguali, prodotta per incanalare la ferocia dello Slayer nei combattimenti ravvicinati. Caratterizzata da anelli indistruttibili in acciaio Ethrion e da un nucleo infernale, è l’ideale per scatenare la ferocia distruttiva del protagonista.
Naturalmente, non sarebbe un gioco di Doom senza un’ampia selezione di bocche da fuoco. Troverete vecchi amici come il fucile a pompa e la sua variante doppietta, armi al plasma (fra cui l’Acceleratore e la Pistola ciclica) e altro ancora, con anche una manciata di nuove inclusioni. Ciò che è già il più iconico del gruppo è il Polverizzatore, un’arma che schiaccia i teschi dei demoni marchiati dalla maledizione e ne scaglia i frammenti coi suoi cilindri. A questo si aggiunge il Distruttore a catena, un manufatto terrificante che emana una malvagità senziente ed inquietante, in grado di portare morte e distruzione sparando il suo denso nucleo sferico contro le forze demoniache e la Balestra a forza balistica che sostanzialmente – in salsa medievale – va a sostituire il BFG canonico della saga e permette di lanciare una lancia mistica che annienta tutti i nemici a schermo. Ogni arma ha due diverse modalità, ciascuna con il proprio albero delle abilità e i relativi percorsi di potenziamento (accedendo al Santuario della Sentinella). Questi possono spaziare da semplici potenziamenti delle statistiche, come l’aumento della frequenza d’attacco, fino a effetti elementali e altri vantaggi che alterano drasticamente le meccaniche di base dell’arma stessa. Altresì, è possibile passare – anche nel corso del combattimento – da un’arma all’altra della stessa categoria (ad esempio da Pistola ciclica a Acceleratore e viceversa) semplicemente premendo il tasto quadrato (PS5). Durante la nostra prova, ci siamo presi la libertà di riprovare un paio di livelli optando per build dell’arma completamente diversi, per capire quanto possano essere differenti in termini di feeling e combattimento sul campo. Detto questo, abbiamo percepito un orientamento evidente verso determinate tipologie di armi. Le armi al plasma, in particolar modo la Pistola ciclica – con tutti i potenziamenti sbloccati – è assolutamente overpowered, tant’è che abbiamo utilizzato esclusivamente quella a partire dall’ottavo capitolo in poi. Talvolta alternata al Polverizzatore e – all’occorrenza – al Lanciarazzi. Altre armi, come il Lanciagranate, il Fucile a pompa, la Doppietta e persino l’Impalatore, le abbiamo trovate decisamente lente (de gustibus).

Mecha Doom
Ad aggiungere una certa dinamicità alla campagna ci pensano altri due extra a dir poco fenomenali, la possibilità di utilizzare l’Atlas e il Drago cibernetico. Nel primo caso si è chiamati a scorrazzare governando un mecha da 30 piani e affrontando i mastodontici Titani, un tempo guardiani pacifici del loro mondo verdeggiante e ora – purtroppo – al servizio dalle legioni dell’inferno. Gli scontri prevedono scazzottate in stile Pacific Rim, con tanto di schivate e combo micidiali e scontri a fuoco con le armi più grandi che si siano mai viste. In sella al drago – invece – il nostro Slayer deve indebolire le flotte infernali, distruggendo scudi energetici, Navi infernali e Corrieri infernali sfruttando la potenza dell’autocannone al plasma. Sebbene le sezioni propinate sia governando l’Atlas e sia il Drago siano a tratti ripetitive e – in alcune occasioni – potevano essere gestite decisamente meglio in termini di varietà, ci siamo comunque divertiti nell’affrontarle . Sia con l’Atlas che ci ha fatto sentire praticamente invincibili e sia con il Drago, in quanto – in quest’ultimo caso – c’è un passaggio continuo fra sezioni a terra di shooting del Doomguy e in volo e viceversa, aggiungendo varietà al gameplay.



Nemici per tutti i gusti
La seria ha da sempre dato molta importanza ai nemici e alla loro caratterizzazione e questo capitolo non fa differenza. Abbiamo una varietà di nemici incredibile; oltre ai classici Imp, Zombi e Soldato, troviamo gli Imp di pietra (resistenti allo scudo), il Cavaliere Pinky, i Seguaci dell’Inferno, il Soldato scudo, il Cavaliere infernale, l’immancabile Mancubus, il Ravenant, il Cacodemone e altre forze demoniache (che preferiamo scopriate voi in prima persona), fra varianti e ibridazioni pronte a farci la pelle. Ognuno con attacchi diversificati e che possono essere sconfitti ricordando qual è il loro precipuo schema d’attacco. Naturalmente più si avanza nel gioco e più ci si ritroverà ad affrontare gruppi diversificati e sinergici. Ed è qui che è necessario dare sfoggio (e sfogo) a tutte le capacità e abilità ottenute e apprese, fra parate, contrattacchi, lanci di scudo, scarica di proiettili e corpo a corpo e ricordando di esplorare l’ambiente non tralasciando nulla.



Esplorazione
Proprio con riferimento all’esplorazione, durante l’attraversamento dei magnifici e ancora più strutturati e tentacolari ambienti di gioco – circondati e braccati dai cattivi infernali in campi di battaglia che sono stati notevolmente ampliati in The Dark Ages – si è chiamati sia a completare delle sfide (sia missione e sia maestria e che ricompensano con oro e skin arma) che richiedono ad esempio di: infliggere danni da sovraccarico, o di infliggere danni secondari da rimbalzo utilizzando una determinata arma o di provocare danni caricati o ancora di sparare 250 colpi, uccidere tutti i demoni leader e tanto altro ancora e sia di ricercare collezionabili come oro (unica valuta presente nel gioco), giocattoli, pagine del Codex e altre preziose risorse con cui potenziare armi da fuoco, da mischia e il potente sega scudo. Il giocatore può completare gli obiettivi nell’ordine che desidera e esplorare i livelli come meglio crede (che non superano mai la durata di circa un’ora, il che sta a significare che per completare il gioco ci vogliono tra le 22 e le 30 ore complessive se si sceglie di esplorare ogni angolo della mappa). Tali attività vanno assolutamente svolte, in quanto la difficoltà è via via crescente e senza potenziamenti ci si potrebbe davvero trovare in difficoltà.




Grafica e tecnica
Lato grafico il motore id Tech arrivato ormai alla sua ottava versione, è in grandissimo spolvero. I dettagli nel gioco sono incredibili, sia per quanto riguarda gli ambienti, diversificati e dal grande impatto visivo (che hanno ridotto di un bel po’ la verticalità che li contraddistingueva in passato), e sia per quanto riguarda la caratterizzazione dei nemici. Meravigliose anche le scene di intermezzo, capaci di emanare adrenalina e testosterone come mai si era visto prima nella serie. Sebbene non ci siano modalità fra cui scegliere, è comunque possibile modificare alcune impostazioni video; ad esempio: campo visivo, se abilitare o meno l’aberrazione cromatica e la profondità di campo, il Motion blur e l’intensità dello stesso, la nitidezza, la calibrazione del HDR. Lato tecnico, il lavoro è altrettanto di livello, con lievi sbavature. Non abbiamo riscontrato criticità o cali di frame improvvisi. Il gioco scorre fluidissimo (in 4K e a 60 fps su PS5 standard); le uniche due problematiche incontrate (un qualcosa già accaduto con Eternal) è che durante un salto ci siamo ritrovati bloccati nello scenario di gioco, l’altra, abbiamo fatto un salto e ci siamo ritrovati a cadere per 250.000 metri all’interno dello scenario di gioco. Nulla di invalidante, considerando che i punti di salvataggio sono abbondanti. Sarebbe stato problematico se avessimo affrontato l’avvenuta alle difficoltà più estreme dove si ha una sola vita a disposizione.




In termini di accessibilità, uno degli obiettivi principali della produzione, era quello di rendere il gioco fruibile a tutti. A partire dallo schema di controllo, un pochino ostico in Eternal, e reso più immediato ed intuitivo in The Dark Ages. In termini di difficoltà – oltre alla possibilità di selezionare il livello, fra “Aspirante Slayer”, “Fatemi Male”, “Incubo” ecc., è possibile intervenire sui cursori personalizzando e settando la sfida come meglio si vuole. Intervenendo su modificatori come “danni al giocatore”, “danni ai demoni”, “velocità di gioco”, “durata stordimento”, “velocità proiettili nemici” (e altro), il giocatore può “cucire” l’esperienza sulla propria pelle. Altresì, avendo testato il gioco con DualSense alla mano, vi diciamo che anche lato controller è possibile intervenire su decine di parametri, fra cui “sensibilità orizzontale e verticale”, “mica assistita”, se optare per i grilletti adattivi oppure no e altre utili funzionalità come tremolio schermo ambiente, tremolio telecamera, ondeggiamento arma, colore automappa, sottotitoli e dimensioni degli stessi. Insomma, lo sviluppatore ha mantenuto la parola, includendo tutte le funzionalità necessarie per godere appieno del gioco.
Da segnalare – infine – che gli ambienti di gioco, per quanto incredibili, potrebbero risultare un tantino dispersivi (specialmente verso la fine). L’automappa aiuta, ma non è sempre immediato capire dove un collezionabile sia collocato o come possa essere effettivamente raggiunto. Ci è capitato – in più di una occasione – di girare e rigirare il livello per trovare quel passaggio o quel muro/barriera da distruggere per raggiungere l’agognato obiettivo/collezionabile e alcuni neanche siamo riusciti a raggiungerli.
Colonna sonora
La colonna sonora di Doom: The Dark Ages è stata composta dall’acclamatissimo team di Finishing Move. Il duo, formato da Brian Trifon e Brian Lee White, ha realizzato le colonne sonore di Halo: The Master Chief Collection, The Callisto Protocol e Borderlands 3. Il passaggio a Finishing Move è arrivato dopo una complicata disputa tra id Software e il compositore Mick Gordon, autore della pluripremiata colonna sonora dei due precedenti Doom. La nuova soundtrack mantiene comunque viva l’anima metal della serie, con meno influenze elettroniche rispetto ai capitoli precedenti.
Commento finale
Doom: The Dark Ages segna una svolta decisa e consapevole per il franchise, proponendo un’esperienza dark fantasy/fantascientifica per giocatore singolo più matura, viscerale e atmosferica. Abbandonata la frenesia ultratecnica di Doom Eternal, il gioco si rifà a un immaginario medievale oscuro e lovecraftiano, dando vita a uno shooter più lento, ma non per questo meno brutale o appagante. L’introduzione di nuove meccaniche di parata (grazie all’incredibile sega scudo), armi corpo a corpo, nuove e devastanti bocche da fuoco e sezioni a bordo di mech e draghi rende il gameplay sorprendentemente vario e coerente con l’ambientazione. Nonostante qualche rischio di ripetitività e l’assenza del comparto multiplayer, The Dark Ages riesce a rinnovare la formula senza tradire l’identità del Doom Slayer e a renderla – grazie alle tante funzioni di accessibilità – alla portata di qualsiasi giocatore. È un Doom diverso e, proprio per questo, dannatamente affascinante!












