Recensione Dorian Gray

dorian-gray_thumb Una trasposizione moderna fedele al testo

“Meglio regnare all’inferno che servire in paradiso”. Così recitava una famosa apostrofe del Paradise Lost di John Milton, poema epico che racconta l’episodio biblico della caduta dell’uomo ad opera di Satana, a cui fa eco dopo circa duecento anni un altro capolavoro della letteratura, ovvero Il ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde. In entrambe le opere si respira un senso di indeterminatezza e di fragilità per quello che è il destino dell’uomo, responsabile di aver venduto la propria anima al Diavolo e di operare coscientemente il male, che sia esso un santo, un saggio, un povero o un ricco, come nel caso di Dorian. Questi spunti letterari vengono assorbiti e portati a presenza dalla interessante pellicola di Oliver Parker, regista ormai specializzato negli adattamenti del grande scrittore irlandese (suoi anche Un marito ideale e L’importanza di chiamarsi Ernesto), che stavolta decide di rimanere fedele al testo quasi ai limiti dell’illustrazione. Eccezion fatta per il finale, infatti, la storia del film è pressochè identica a quella del libro, in cui si narra di un giovane particolarmente bello, ingenuo e puro, dipinto in un quadro dal pittore Basil e iniziato al culto della bellezza dal cinico mentore Lord Wotton.

Costui gli spalanca però contemporaneamente le porte del vizio e mentre Dorian contempla la sua bellezza raffigurata nel quadro, esprime anche il desiderio che il dipinto possa portare al suo posto i segni del passare del tempo. Presto detto, il “patto con il Diavolo” si realizza e il quadro invecchia al posto del ragazzo, ma pur rimanendo eternamente giovane l’anima di Dorian andrà incontro a una progressiva decadenza morale alla quale sarà difficile scampare. Al di là della trama più o meno nota, l’aspetto più interessante di Dorian Gray risiede nelladoriangray_02 volontà dell’autore di ricercare una strada propria, che rifugge da un confronto diretto con il grande romanzo di Wilde e si indirizza invece verso l’enfatizzazione degli aspetti più propriamente visivi e orrorifici del testo. Parker sceglie di mantenere un’aura gotica che avvolge tutta la pellicola, insistendo su forti contrasti tonali e restituendoci l’atmosfera di una Londra Vittoriana sfarzosa ma anche degradata. Nello stesso tempo è capace di porre lo spettatore di fronte a delle immagini moderne. Ciò è evidente nelle scene riguardanti la mostruosità del ritratto che si trasfigura nell’anima malata di Dorian, realizzate con sofisticati effetti di computer grafica a cui si aggiunge un uso espressivo del sonoro, teso a sottolineare attraverso rantoli inquietanti la grottesca trasformazione. La regia segue dunque da vicino il percorso di annichilimento morale del protagonista, seppur adottando una netta compressione temporale che a volte risolve con troppa fretta alcuni passaggi importanti della vicenda. Un esempio è rappresentato, nelle battute iniziali, dall’incontro tra Dorian e Sybil, l’attrice di teatro che si uccide dopo essere stata abbandonata dal dandy. L’episodio avrebbe certamente meritato una maggiore attenzione da parte del cineasta inglese, che non coglie a pieno in questo caso l’idea degli aspetti conflittuali che si agitano nell’animo dei due personaggi. Ad ogni modo, il film nella sua interezza gode di una costruzione narrativa ben architettata, sostenuta anche dall’ottima interpretazione degli attori, tra cui troviamo Ben Barnes (Le cronache di Narnia) nei panni del sempiterno Dorian, un irriverente Colin Firth che assume il volto dell’esteta Lord Wotton e Ben Chaplin nel ruolo del sensibile pittore Basil Hallward.

A conti fatti, Dorian Gray risulta alquanto arduo da classificare in un genere prestabilito, soprattutto perché al suo interno troviamo sia l’horror che il thriller e sia elementi che appartengono ad altri filoni come il fantasy. Di certo è sconsigliato per i puristi che non amano mescolare le carte in tavola, ma nel complesso il film può rappresentare l’occasione per rileggere il famoso romanzo di Oscar Wilde (quanto mai attuale nella riflessione sul tema della giovinezza e della bellezza ricercate a tutti i costi), a cui non va dimenticato che Oliver Parker ha aggiunto spessore figurativo e dignità cinematografica.

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