Stray è l’opera prima di BlueTwelve Studio, pubblicato da Annapurna Interactive. Gli sviluppatori avranno fatto centro al primo tentativo? Scopritelo nella nostra recensione!
Negli ultimi anni, l’industria videoludica si è spostata sempre più verso un tipo di produzioni, spesso standardizzate, basate sulla ricerca spasmodica della quantità a tutti i costi. Produzioni che hanno richiesto investimenti umani e di capitale sempre più importanti che di fatto hanno depauperato il mercato da tutti gli esperimenti e progetti di portata minore, i cosiddetti titoli doppia A, che proliferavano solo dieci anni fa.
Fortunatamente, questo vuoto, nel giro di pochi anni, è stato occupato dal mercato indie che è definitivamente esploso. Nel corso di questi ultimi dieci anni abbiamo giocato vere e proprie perle del media grazie a sviluppatori indipendenti che ci hanno regalato esperienze costruite intorno ad idee uniche ed interessanti.
Un’ulteriore evoluzione di questa situazione la stiamo vivendo nell’ultimo periodo. Stiamo assistendo infatti alla nascita di prodotti che vanno a piazzarsi a metà strada tra il titolo della major e quello indipendente. Giochi come i recenti Kena: Bridge of Spirits o Sifu hanno un’anima da gioco indipendente, “impreziosita” da una presentazione visiva e una campagna marketing che si avvicina a quella dei tanto cari e ormai “superati” titoli doppia A. Stray rientra proprio in questa fascia di mercato.
Stray è disponibile dallo scorso 19 luglio per PlayStation 4, PlayStation 5 e PC.
Versione testata: PS5
Che gioco è?
Dopo essere precipitati in una città cyberpunk dimenticata nel sottosuolo, nei panni (o per meglio dire, nel pelo) di un piccolo randagio arancione dovremmo ritornare dalla nostra famiglia. Nel nostro viaggio incontreremo robot che hanno sviluppato delle coscienze come gli esseri umani e che ci aiuteranno a superare diversi pericoli. Tra questi, vanno sicuramente menzionati gli Zurk, dei mostriciattoli nati dall’immondizia, fondamentali per il background narrativo del titolo.
Per evitare qualsiasi tipo di spoiler, non vogliamo aggiungere altro sulla trama di Stray. Sappiate solo che la narrativa ruoterà intorno ad una serie di denunce sociali molto attuali che vi faranno riflettere in più di un’occasione.
Ma cerchiamo di rispondere alla domanda di questa sezione della recensione: “che gioco è Stray?”
Prima di tutto, vogliamo sottolineare cosa non è Stray. Il titolo di Annapurna Interactive, contrariamente a quanto si possa pensare (anche logicamente) sulla base del protagonista, NON è un platform.
Stray è un’avventura dinamica in cui controlleremo un piccolo e peloso eroe a 4 zampe. Le vicissitudini raccontate nel gioco si svolgeranno in diversi scenari, visivamente tutti molto ispirati. In queste location risolveremo semplici enigmi ambientali, intervallati da inseguimenti, qualche sezione stealth e leggeri set-pieces.
Le prime ore di Stray, visto il ritmo lento e compassato, possono addirittura avvicinarlo ad un punta-e-clicca in cui “indirizzare” il nostro micio verso il punto A per prendere l’oggetto X, poi indirizzarlo verso il punto B per lasciare l’oggetto X in cambio di quello Y e quindi proseguire.
Fortunatamente superate le prime ore di “assestamento” gli sviluppatori ci proporranno una discreta varietà di situazioni che andrà a rendere molto più piacevole l’incedere dell’avventura.
L’obiettivo degli sviluppatori, tuttavia, è lapalissiano pochi minuti dopo aver preso il pad in mano: hanno voluto farci immedesimare in un gatto, adorabile e agile. Tutto il gioco è stato costruito sulla base di questo assunto.
Il gameplay è semplice e funzionale tanto da far sentire il pieno controllo della simpatica palla di pelo a tutti i videogiocatori, anche quelli alle prime armi. A tal proposito, la scelta della “navigazione” automatica/assistita relativamente ai salti la riteniamo saggia e precisa, anche perché, sulla base dell’assunto di cui prima, diversamente si sarebbero potute generare situazioni “stranianti” che avrebbero potuto minare l’armonia ricercata dagli sviluppatori, pertanto hanno giustamente scelto di “proteggerci” dalle nostre stesse azioni.
Anche il mondo di gioco è stato costruito tenendo a mente questo obiettivo. Ogni angolo del bellissimo e decadente mondo cyberpunk di Stray è disseminato di interazioni “feline” a cui non riusciremo a sottrarci.
Alla luce di tutto ciò, possiamo confermare che gli sviluppatori hanno centrato in pieno l’obiettivo.
Perché giocarlo?
Ad un gameplay ed una struttura di gioco, basilari, elementari ma funzionali e con chicche “feline” che danno carattere a tutta la produzione si affiancano una serie di elementi collaterali che sono il vero pezzo forte dell’opera e che sono la discriminante del successo dell’esperienza di Stray.
Prima di tutto, non possiamo non citare la superba direzione artistica. La decadenza e il putridume dei bassifondi hanno un fascino impareggiabili, così come le luci al neon delle zone più “elevate” del mondo di gioco. La scelta dei colori e il binomio luci e ombre ci regalano uno spettacolo non indifferente, soprattutto se si pensa al tenore della produzione. Nota di merito per le animazioni del gatto, i cui movimenti sono sempre fluidi e credibili.
Anche il character design ci è piaciuto moltissimo. Per quanto il protagonista sia un “semplice” micio, i robot, nella loro “standardizzazione”, riescono ad essere peculiari, grazie ad una caratteristica estetica o ad una caratterizzazione più “particolare”.
Promosso a pieni voti come il comparto visivo anche quello sonoro. Grazie ad una scelta di musiche sempre azzeccata, ma soprattutto grazie ai rumori (e anche i silenzi) ambientali, l’accompagnamento sonoro è sempre “on point”.
Insomma, Stray è un’esperienza unica che consigliamo di provare a tutti i videogiocatori, anche grazie alla sua giusta durata che elimina ridondanze e tempi morti.
Perché no?
Il grosso problema di Stray, paradossalmente, è una componente del suo pacchetto che fino ad ora abbiamo comunque lodato.
Se da una parte, infatti, l’intera struttura ludica del prodotto è funzionale al suo scopo, cioè farci immedesimare al meglio in un gatto, dall’altro non nascondiamo che una maggiore profondità delle meccaniche e scelte ludiche avrebbe sicuramente giovato alla produzione.
Forse la semplicità di tutte le meccaniche di gioco proposte è da ricercarsi nella volontà di permettere ad un pubblico molto ampio di usufruire dell’opera. Se da un lato possiamo capire la scelta, dall’altro non possiamo soprassedere su una struttura ludica così elementare, snella, poco approfondita e accennata da apparire quasi accessoria.
Quanto appena detto non deve essere inteso come un “capriccio da videogiocatori elitari”. Siamo consapevoli (e contenti) che, nell’ultimo periodo, il media si sta rivolgendo a quante più persone possibili, anche perché la sostenibilità di questo mondo passa soprattutto dalle “nuove leve”, ma allo stesso tempo non riusciamo a far finta di niente e chiudere gli occhi su un impianto ludico così povero, solo accennato. Perché stiamo pur sempre parlando di un video-gioco.
Commento finale
Indubbiamente, il “selling point” di Stray è quello di proporre un’esperienza che possa far immedesimare il videogiocatore nella pelliccia di quel carinissimo e dolcissimo micio arancione. L’obiettivo degli sviluppatori, dunque, è stato centrato in pieno. Tuttavia, nonostante ciò, non possiamo sorvolare sulla pochezza della struttura ludica.
In caso vi foste persi il nostro coverage di guide su Stray vi lasciamo i link: